Prima di lei, 41 anni, ex nuotatrice d’oro nel 2004 e 2008, ministra della gioventù nello Zimbabwe, nessuna donna aveva guidato quel movimento olimpico che sotto De Coubertin inizialmente neppure le vedeva partecipare. Ha sbaragliato la concorrenza, non è un mistero che l’uscente Thomas Bach si sia battuto per lei, attenta in campagna elettorale a non sbilanciarsi Avrà sfide complesse da affrontare, a cominciare dagli attacchi di Trump alla partecipazione transgender a LA2028
Prima donna e prima africana. A guardarla solo dai titoli, l’elezione di Kirsty Coventry, ministro dello sport dello Zimbabwe, alla presidenza del Cio, il massimo organismo dello sport mondiale e il padrone delle Olimpiadi, sa di rivoluzione.
L’ex nuotatrice, 41 anni, due volte d’oro fra il 2004 e il 2008, ha vinto per k.o., superando il colle della maggioranza assoluta già al primo turno, ottenendo 49 preferenze su 97 voti staccando nettamente il catalano Juan Antonio Samaranch junior, fermo a 28, e l’inglese Sebastian Coe, il capo dell’atletica mondiale considerato da qualcuno in rimonta, a quota 8.
Un finale tanto a poco con un regista neanche troppo occulto: non è un mistero che Thomas Bach, il numero 1 uscente, si sia battuto per lei. La prima volta al femminile è senz’altro la copertina della giornata in una storia che all’inizio, con le stesse parole di Pierre De Coubertin, aveva detto alle donne di farsi più in là perché lo sport e le Olimpiadi non erano fatte per loro.
Certo era tanto tempo fa, certo a Parigi nel 2024 le Olimpiadi hanno sostanzialmente tagliato il traguardo della parità del genere. Ma una cosa sono le atlete e gli atleti, un’altra la classe dirigente. Che al Cio, è vero, è diventata sempre più femminile (48 membri su 109), ma altrove – comitati olimpici nazionali, federazioni internazionali – continua a essere molto maschile come lei stessa ha rilevato nelle sue interviste elettorali.
Non è un caso che in Italia – i nostri tre membri, Giovanni Malagò, Ivo Ferriani e Federica Pellegrini avrebbero votato per lei – una delle prime voci di complimenti sia stata quella dell’associazione Assist, impegnata per la lotta contro le discriminazioni di genere nello sport. Luisa Rizzitelli, la sua presidente, confida «che la sua guida sia fortemente improntata al rispetto di uno sport che abbia come priorità il rispetto dei diritti e della parità di genere».
In campagna elettorale, però, Coventry è stata molto… democristiana, particolarmente attenta a non sbilanciarsi. Oltre a una maggiore presenza femminile nelle stanze dei bottoni sportive, l’altro grande bastione del suo programma è stata la possibilità di una prima Olimpiade africana. Per il resto, ha rivendicato un ruolo maggiore del Cio sulla vicenda della partecipazione delle donne transgender alle competizioni dopo il brutale attacco di Donald Trump, sempre però sottolineando la necessità di lasciarsi guidare dalle «evidenze scientifiche» e dialogando con le federazioni internazionali.
Un no, invece, ai premi in denaro per i medagliati olimpici, visto che il problema, questa è la sua opinione, è quello di aiutare gli atleti prima del traguardo più che dopo. Infine la questione Zimbabwe. Coventry ha avuto in mano il dicastero dello sport in un paese più volte accusato per una democrazia non veramente tale. La neopresidente del Cio ha però rivendicato nel suo percorso alcune posizioni coraggiose, per esempio per la sospensione della federcalcio locale per i casi di molestie sessuali.
Insomma, per la donna dalle sette medaglie olimpiche, le sfide dall’ufficio di Losanna dove entrerà a pieno titolo il 23 giugno alla fine dei 12 anni di Bach, sembrano persino più complicate di quelle in piscina. Sarà semplicemente una «erede» nel segno della continuità o riuscirà a lasciare in qualche modo un segno?
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