Come ha detto Gino Cecchettin, una sentenza non risolve il problema della violenza di genere. Né cura quella malattia del maschile denunciata con estenuante lucidità da Edoardo Albinati ne La scuola cattolica (Rizzoli, 2016).

Una sentenza non è mai verità morale, né verità definitiva. Non lo è quando è di primo grado, come questa che condanna Leonardo Caffo a quattro anni, al risarcimento per 45 mila euro e all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, per le violenze verbali, morali e fisiche contro la sua ex compagna e madre di sua figlia.

Non lo è quando è definitiva, perché la verità può sfuggire alla giustizia, e la verità morale è più ampia di quella giudiziaria. Quindi a Caffo si deve augurare che la vicenda proceda nei gradi di giudizio che il nostro sistema giudiziario garantisce ai cittadini imputati. E insieme gli si deve augurare la forza di concentrarsi su essa, più che sugli atteggiamenti da martire o da Pavese 3.0 che ha utilizzato ultimamente.

A noi rimane un esercizio di immaginazione. Dovremmo cercare di immaginare i sentimenti dell’altra parte coinvolta in questo processo, l’ex compagna di Caffo, o magari anche del padre di questa donna, o i sentimenti di Gino Cecchettin o di tutti i parenti, gli amici e le amiche di donne vittime o scampate per un pelo alla furia di un maschio, un maschio spesso perbene (contrariamente alle falsità propalate da ministri e altri politici), spesso colto e intento ad ammaestrare dalle cattedre, come faceva Caffo.

Come si sentono adesso, queste persone? E come si sarebbero sentite se questa sentenza fosse giunta, come voleva Chiara Valerio, a pochi giorni dalla lezione di Caffo sull’anarchia a Più libri più liberi? Come si sarebbero sentite prima a vedere una persona che potrebbe essere capace di violenze del genere parlare a giovani studenti e studentesse? E come si sarebbero sentite adesso, a vedere dei giudici sostenere che il sospetto odioso ha delle prove? Ma soprattutto: come si sente Chiara Valerio, che ha usato molte argomentazioni, tutte astratte e razionali, per difendere la sua scelta di dare un palco a Caffo, prima di recedere piuttosto maldestramente?

Il 7 luglio 2023, su Repubblica, Valerio ha scritto un bellissimo articolo a commento del comunicato stampa che il ministro La Russa diffuse dopo la scoperta del presunto stupro perpetrato dal figlio Leonardo. La Russa scriveva: «Dopo averlo a lungo interrogato ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante».

Valerio scriveva, a proposito dell’avverbio "penalmente”: «Avverbio coerente con il termine interrogatorio, ma che dovrebbe seguire altri avverbi che riguardano comportamenti e modi che possono pure non essere giuridicamente rilevanti o perseguibili ma che possono esserci comunque stati ed essere gravi, violare insomma quei patti di civiltà e cultura che sono alla base della democrazia e direi della vita in comune».

Che cosa è successo in poco più di un anno? Che cosa ha condotto l’autrice di queste parole a ridurre tutto a un astratto diritto di parola, alla presunzione di innocenza, a schiacciare tutto sul diritto? Come ho già avuto modo di dire, l’altra faccia del giustizialismo è l’idea che non ci sia nessuna sfera di giudizio, di opportunità, di valore, al di là del diritto.

Una visione piattamente positivista, che neanche i positivisti giuridici veri hanno mai sostenuto, attenti com’erano alle basi morali del diritto vigente. Una visione che porta o al panpenalismo – tutto si corregge con la pena, occhio per occhio, dente per dente – o alla licenza – liberi tutti, specialmente se si hanno avvocati ed amicizie potenti.

Sempre Valerio, in quell’articolo di poco più di un anno fa, scriveva: «Mi domando quale mito del maschio senza macchia e senza peccato, quale norma del sapere e dell’insegnare, del comandare e dell’obbedire abbia in mente Ignazio La Russa, avvocato, Presidente del Senato, politico di lungo corso e seconda carica dello Stato, per non mostrare tenerezza né comprensione per una giovane donna e per un giovane uomo, il figlio – lui presunto abusante, lei vittima, una giovinezza non simmetrica, insomma – immersi in un sistema di violazioni e controllo dei corpi che questo suo comunicato non fa che ratificare».

Mi domando io, a questo punto, che cosa può aver distolto lo sguardo di Valerio dalla compassione e tenerezza che alcuni di quelli che la criticavano avevano per Caffo e la sua vittima, e per Valerio stessa e il suo passato. Che cosa può averle impedito di ratificare anche lei un sistema di diseguaglianze patriarcali di potere, evitando che Caffo abusasse ancora del suo potere. Questo rimarrà un mistero.

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