«Zecche rosse, comunisti delinquenti». Matteo Salvini ha declamato la sua visione del mondo e della cittadinanza lanciando la marcia sull’Emilia-Romagna (domenica prossima si voterà per il governo regionale). Pensa di capitalizzare dagli (impediti) scontri sul ponte di Galliera, a Bologna, tra i neri di CasaPound e la sinistra dei centri sociali.

I neofascisti erano calati in città per provocare scontri, volendo arrivare in piazza delle Medaglie d’Oro dove ancora si vede l’orologio della stazione fermo alle 10.25, l’ora in cui una bomba fascista esplose, il 2 agosto del 1980. La destra è violenta e non ama la politica, che repelle la violenza. La violenza della destra comincia dal linguaggio. Con la violenza delle parole la destra ha aperto la breccia all’arbitrio. E il marchio di fabbrica è Donald Trump.

Se Ronald Reagan ha incarnato la svolta liberista, Trump incarna la svolta verso l’arbitrio. La vittoria del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti avrà una ricaduta prevedibile sulle destre europee, un tema che ci occuperà per mesi e anni. Le destre metteranno il turbo, lanciandosi alla conquista delle democrazie costituzionali e alla destrutturazione del progetto unitario del continente. Si tratta di timori più che di fatti. Ma timori fondati perché al principio di tutto c’è la violenza della lingua.

La parola, che in democrazia dovrebbe servire a creare un foro di discussione pubblico e aperto, è usata dalla destra come arma di attacco. Non dialogo, ma offesa, non compromesso, ma vendetta. La forza di chi vince. La maggioranza come forza dominante. L’autenticità è il canovaccio che tiene insieme questa spirale di violenza di piazza e di governo.

Trump ha impostato la sua campagna elettorale promettendo cose estreme, senza pudore. È probabile che alle parole non seguiranno i fatti, tutti i fatti, e viste le promesse c’è da augurarsi che non vengano mantenute. Trump ha promesso di espellere dodici milioni di immigrati irregolari e di punire quei funzionari federali che ostacoleranno il progetto.

Del lavoro irregolare degli immigrati gli americani non possono fare a meno: dalle pulizie domestiche alla consegna delle pizze al lavoro nei campi. Come in Italia. Le società capitaliste senza immigrati sono inimmaginabili. Perché il lavoro degli immigrati non è sostituibile con quello dei connazionali. Nell’economia capitalistica che vive di eserciti di manodopera a buon mercato sono le classi egemoni a guadagnare dal lavoro irregolare, non le zecche rosse: sono le classi che votano per chi promette tagli fiscali, che vogliono tenere bassi i salari e possibilmente desindacalizzare il lavoro.

Ci si è mai chiesti perché è così difficile in Europa come negli Stati Uniti avere una politica dell’immigrazione che tenga insieme regolarità degli ingressi e possibilità di lavoro decente? Le destre ingrassano con questa menzogna radicale che i social amplificano, facendo diventare vere e credibili cose false e assurde. Trump reitera queste menzogne da almeno otto anni. Come i suoi amici europei. Da Le Pen a Orbán a Salvini a Meloni: i diversi (etnici, religiosi, politici) sono nemici e delinquenti. Gli immigrati sono i “cani e i porci”, gli stupratori seriali, i divoratori dei “cani e dei gatti”, gli assassini.

Le passioni alimentano la politica. Quelle della destra si diramano dalla paura. Paura per tutto quel che non appartiene a “noi”. La paura immobilizza l’azione. Solo l’unione può allentarne la morsa sulla volontà. La paura unisce i deboli. E dei deboli uniti si serve un capo qualunque che scatena la paura contro quel che non ha un contorno specifico, che è rappresentato da una parola generica che diventa mitica. Immigrazione è il mito irrazionale della destra del Ventunesimo secolo. In Polonia come in Ungheria come in Italia come in Francia come negli Stati Uniti.

Questa parola, che decretò le sorti della Brexit nel 2016, è il collante di tutte le destre. Dalla paura discende la reazione emotiva più antipolitica: il disprezzo per chi non è dei “nostri”; Salvini ha messo insieme le zecche rosse e la «Signora Schlein» (che non è una privata signora, ma deputata al parlamento). Dal disprezzo discendono la minaccia e la vendetta: se andremo al governo, ha dichiarato Trump durante la campagna elettorale, sostituiremo i giudici che ci ostacolano, e tutti i funzionari dei dicasteri che non sono persone di fiducia.

Dunque, la lealtà: la qualità che unisce la compagine dei forti che vivono della paura dei deboli. A Roma come a Washington, una fiera di pavida arroganza. Un tempo difficile, questo, che ha messo al bando il discorso, la tolleranza e l’idea del limite. A rischio non c’è tanto la democrazia, ma una democrazia costituzionale e liberale, il governo della legge ottenuto con la divisione dei poteri. A deperire sarà il clima di tranquillità per tutti, del quale vive la libertà.

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