L’impressione è che la politica sia ridotta soltanto a un gioco di specchi in cui ognuno comunica ciò che il suo elettorato pretende ma alla fine ci si accordi per ragioni di bassa convenienza reciproca e mantenimento dello status quo
Le nebbie della piazza e la saggezza del palazzo. Bisogna ricorrere all’immaginario politico di Francesco Guicciardini per analizzare il rapporto tra l’Italia e l’Unione europea.
Una relazione caratterizzata da una notevole ipocrisia di fondo, che si muove in modo bidirezionale, tra Roma e Bruxelles. L’ipocrisia è consustanziale al potere ed è in generale un comportamento molto diffuso nei governanti, d’altronde Machiavelli suggeriva ai politici di simulare e dissimulare i comportamenti, ma qui l’impressione è che la politica sia ridotta soltanto ad un gioco di specchi in cui ognuno comunica ciò che il suo elettorato pretende ma alla fine ci si accordi per ragioni di bassa convenienza reciproca e mantenimento dello status quo.
Da questo punto di vista la nomina di Raffaele Fitto è un capolavoro di mascheramento per tutti. Perché? Giorgia Meloni aveva scelto di votare no alla rielezione di Ursula von der Leyen dopo l’arrocco dei partiti europeisti contro le destre, ma alla fine davvero poco è cambiato. Meloni voleva nominare Fitto e, per ora almeno, è lui che è riuscita a imporre.
Nonostante il muro contro le destre, nessuno in Europa è riuscito a sanzionare la scelte di opposizione di Fratelli d’Italia mettendo in dubbio il nome scelto per il Commissario. Nelle prossime settimane inoltre si scopriranno le deleghe che Fitto potrebbe ricevere e il vento sembra a favore del neo commissario.
Se il portafoglio sarà importante, significherà che il voto parlamentare contrario a von der Leyen di Fratelli d’Italia avrà contato poco. Se invece, come sostengono alcuni retroscena, Fitto ottenesse addirittura una vicepresidenza esecutiva, cioè la prima fila del potere europeo, questa non sarebbe soltanto una vittoria per Meloni ma il segno tangibile della debolezza dei partiti europeisti.
Ipocrisie incrociate
È vero che questa seconda apertura a Meloni avviene nella logica di dividere la destra, separando FdI dai Patrioti e dagli altri partiti conservatori, ma mostrerebbe il fallimento dell’arrocco tentato da Scholz e Macron. Entrambi troppo deboli per sbarazzarsi del tutto della destra italiana nonostante l’atteggiamento ostile verso Meloni.
Se ciò accadesse sarebbe il segnale che il complesso di governo europeo di questa legislatura non potrebbe prescindere da una buona collaborazione con Fratelli d’Italia per funzionare bene a livello politico. E questa è l’ipocrisia degli attori europei a cui si aggiunge però quella del governo italiano.
Meloni dopo aver bocciato von der Leyen ha abbassato i toni con l’Ue, costretto gli alleati a cedere sull’attuazione della Bolkenstein, lavorato per una legge di Bilancio che rispetti il Patto di stabilità e gli accordi con la Commissione.
In conclusione viene da chiedersi perché Meloni abbia votato contro il bis di von der Leyen in nome dell’euroscetticismo quando oggi la premier stessa impegnata per tenere l’Italia nei binari delle regole europee. La risposta è tutta propagandistica, volta a evitare le critiche dei Patrioti e del suo elettorato più radicale.
Tuttavia nella pratica Meloni prosegue con la linea che aveva qualche mese fa, con un governo che più condizionato dalla politica europea di quanto lasci trasparire. Così nascosta tra le nebbie della piazza emerge prepotente la saggezza del palazzo. E anche per i sovranisti si consuma l’avvento dell’ipocrisia.
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