Sul ruolo di segretario del Tesoro il presidente eletto farà nuovi colloqui dopo il conflitto fra Howard Lutnick e Scott Bessent, investitori di Wall Street e principali concorrenti per il ruolo. Intanto l’uomo più ricco del mondo si gode la nomina dell’alleato all’authority per le comunicazioni: ha il potere di indirizzare un flusso di miliardi verso Starlink
La scelta del segretario del Tesoro sta rallentando il ritmo forsennato con cui Donald Trump ha riempito finora le caselle del suo governo. Il motivo generale è che il Tesoro è un posto centrale di responsabilità e va maneggiato con molta cura, ma ci sono ragioni particolari molto più trumpiane per il ritardo.
Si sta consumando infatti un conflitto a metà fra il reality show e un ring della Ufc fra i due principali candidati per la posizione. Il primo è Howard Lutnick, investitore eterodosso di Wall Street e amministratore di Cantor Fitzgerald, a cui Trump ha affidato un ruolo centrale nella transizione. È coinvolto in alcune delle scelte significative fatte finora dopo le elezioni. Il secondo è un altro player finanziario dal profilo più convenzionale: Scott Bessent, fondatore della finanziaria Key Square Capital, che in passato ha gestito i fondi di George Soros.
Lutnick negli ultimi tempi ha fatto la cosa che Trump non tollera: lo ha oscurato. Si è mosso troppo e in modo troppo sbrigliato, promettendo e millantando per conto del presidente eletto, che non ha gradito l’attivismo eccessivo.
Ha però dalla sua parte il gradimento di Elon Musk, che su X lo ha indicato come un segretario del Tesoro che saprà «portare un reale cambiamento», mentre ha declassato Bessent a scelta «business as usual». Poi ha invitato gli utenti a dare il loro parere e si è offerto di intervistare i due sulla piattaforma, per vedere un po’ l’effetto che fa.
La scelta di Trump darà anche qualche indicazione sull’effettiva influenza che Musk avrà sulle scelte del presidente, visto che finora i due non hanno avuto particolari divergenze pubbliche sulla linea o sulle candidature. Dalla parte di Bessent sono schierati invece altri consiglieri di Trump legati al suo primo mandato e che ora sono in cerca di nuova fiducia da parte del capo.
Fra questi ci sono Larry Kudlow, già direttore del consiglio economico, e Steve Bannon, advisor e malvissuto criminale caduto da tempo nella parte bassa della classifica di gradimento del presidente.
Questo clima di incertezza ha convinto Trump a fare una cosa che non fa di solito: prendersi altro tempo per fare valutazioni. La selezione doveva chiudersi la settimana scorsa con un annuncio per completare la sequenza senza fiato di nomine, mentre continuerà anche queste settimana con nuovi colloqui nella residenza di Mar-a-Lago. Nella mischia si sono aggiunti anche l’ex governatore della Fed Kevin Warsh e il miliardario Marc Rowan, che saranno a loro volta interrogati da Trump in Florida.
Deregolamentare per Musk
Un’altra nomina importante è quella del commissario della Federal Communications Commission, l’authority delle comunicazioni, che ha ampio margine di azione in un settore politicamente delicato e ricchissimo. Il commissario sarà Brendan Carr, che era il più anziano fra i membri repubblicani della commissione, ed era a sua volta stato nominato per la prima volta da Trump nel 2017.
Il presidente eletto lo ha definito «un guerriero della libertà di parola che ha combattuto contro la macchina amministrativa che ha compresso le libertà americane e frenato l’economia». Si tratta di una scelta politicamente scontata ma dalle conseguenze potenzialmente enormi, soprattutto per Musk, che si è prontamente congratulato per la decisione. Carr è un alleato di ferro del magnate di origine sudafricana, a cui la sua furia deregolamentatrice non può che piacere. Il membro della commissione ha pubblicamente sostenuto l’imprenditore in molte occasioni, dicendo perfino che è sottoposto a un «assalto regolatorio» da parte della Fcc.
Come Trump vede ovunque i segni della caccia alle streghe giudiziaria ai suoi danni, così Carr è ossessionato dalla guerra fatta dalle autorità a Musk, al quale verrebbe ingiustamente impedito di mettere le mani sulle telecomunicazioni. In ballo c’è innanzitutto la ricostruzione delle infrastrutture per la banda larga, che Musk vorrebbe fare per via satellitare. Guarda caso è anche il proprietario dell’unica azienda privata in grado di fornire il servizio, Starlink. E – guarda ancora che caso – ora guiderà anche l’agenzia Doge che ha fra i suoi compiti quello di disboscare la giungla delle regolamentazioni.
Il nuovo commissario è talmente vicino a Musk che si è anche premurato di scrivere un’accorata lettera di protesta al governo del Brasile quando ha deciso di oscurare X nel paese, curioso caso di regolatore che prende le difese di un’azienda privata.
Carr, ha detto Trump, «metterà fine al disastro regolatorio che frena gli innovatori e i creatori americani, e assicurerà che la Fcc lavori per l’America rurale». Il riferimento all’America rurale non è casuale. La Starlink di Musk, infatti, ha messo gli occhi sui 42 miliardi di dollari già stanziati dall’amministrazione Biden per portare la banda larga nelle zone meno servite del paese.
Il governo ha anche messo dei paletti molto stringenti sulla quota dedicata alla banda satellitare, settore in cui c’è essenzialmente un solo attore che opera in regime di monopolio, e Carr ha già detto che almeno un terzo di quella torta deve andare alla banda satellitare. Questo senza considerare tutte le altre torte che verranno.
Ma non è certo solo Musk che esulta. La metà della Silicon Valley che si è spostata a destra ha finanziato generosamente la campagna di Trump. Ora si aspetta che il presidente eletto restituisca il favore. Come? Abbattendo regole e facendo spazio alla voracità dei capitalisti che un tempo erano allineati a sinistra.
Marc Andreessen, il signore dei venture capitalist della California, si aspetta che l’amministrazione limiti il potere dei regolatori sull’intelligenza artificiale, più spazio legale per le criptovalute, una frenata alla crociata antitrust di Biden (e non solo, anche J.D. Vance è stato parte di quella vicenda), nuovi investimenti militari e niente nuove tasse per i super ricchi.
L’intera categoria esulta per la nomina di Carr e si aspetta profili analoghi per tutte le commissioni regolatorie.
Le deportazioni
E intanto il tycoon conferma anche i suoi piani di deportazione di massa degli immigrati irregolari. Con un post su Truth, il presidente eletto si dice pronto a dichiarare l'emergenza nazionale nell'ambito del suo piano per una deportazione di massa e utilizzare risorse militari per raggiungere lo scopo.
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