Come ha spiegato pochi giorni fa il presidente Sergio Mattarella, alla democrazia serve la conoscenza, giacché in assenza di quest’ultima diventa difficile, se non impossibile, valutare opinioni, tesi e giudizi e decidere sulle politiche da votare. E la libera informazione è strumento essenziale per la conoscenza. Nel suo viaggio in Cina la premier Giorgia Meloni ha voluto mostrare quanto i pericoli che la conoscenza corre siano in agguato.

Il problema non è solo la complessità della cucina cinese, di cui Meloni ha dato prova di avere una conoscenza sommaria e pittoresca, interrogata da alcuni giornalisti – sempre loro, sempre da loro arriva la domanda irriverente, anche quando la bonomia della premier riesce a dribblarla.

Più spinoso è stato l’uso che Meloni ha fatto del termine “stakeholder, traducendolo con «portatori di interesse» e poi lasciando intendere che si tratti di interessi opachi, occulti, partigiani. Dice Meloni: «La Commissione europea riporta accenti critici di alcuni portatori di interesse, diciamo stakeholder. Chi sono quegli stakeholder? Il Domani, il Fatto Quotidiano, la Repubblica».

Gli interessi coinvolti

Il termine ricorre un po’ ovunque nella terminologia dei report di organizzazioni governative e non governative e deriva dalla business ethics. Nel 1984 Edward Freeman introdusse il vocabolo per indicare tutti quelli i cui interessi sono toccati dal comportamento di un’azienda e tutti quelli che possono influenzare l’interesse dell’azienda, cioè dei suoi azionisti e lavoratori.

Freeman usava il termine per sostenere che le aziende non debbono pensare solo al profitto degli azionisti (come sosteneva Milton Friedman), ma debbono tenere conto di tutti gli interessi coinvolti, cercando un bilanciamento accettabile. Per esempio, non possono, per aumentare il profitto degli azionisti, inquinare un fiume causando malattie e morti. Tutto questo è senso comune, ormai.

Talmente tanto che negli ambienti internazionali più svariati, il termine si impiega per indicare chiunque abbia un punto di vista su una questione, un punto di vista pubblico e accettabile, da considerare. Gli stakeholder sono gruppi e categorie da sentire quando si progetta un’opera pubblica, quando si valutano le opportunità di certe politiche e così via. Sono i portatori di interessi nel senso più nobile: siamo tutti noi, sostanzialmente.

Gli interessi opachi

In questo senso, i giornalisti sono non tanto portatori di interessi, ma la voce di chiunque abbia un interesse e il canale necessario per cercare una conciliazione degli interessi in gioco nelle società complesse in cui viviamo.

Per rendere meno elevato il quadro teorico del presidente Mattarella: non solo la democrazia abbisogna di conoscenza di fatti e di opinioni. Serve anche conoscere quali sono gli interessi in gioco, e sentirli dalla viva voce di chi li ha.

E il buon giornalismo, il giornalismo d’inchiesta, che ancora consuma le suole, è uno dei modi migliori per comunicare gli interessi, per metterli in circolo. Ostacolare il giornalismo significa chiudere i canali di comunicazione degli interessi, lasciando liberi e visibili solo gli interessi di alcuni.

Gli interessi opachi non sono quelli scoperchiati dal giornalismo, quelli che affiorano dalle inchieste, quelli ovvi delle fonti che è poi compito del buon giornalista neutralizzare. Gli interessi opachi sono quelli del giornalismo che si nutre solo di allusioni, di commenti che lisciano il pelo a chi ha il potere e dileggiano chi non ce l’ha, magari anche attaccando gli altri giornalisti. Tutti gli altri interessi sono pienamente legittimi, alla luce del sole, ovvi. Gli interessi opachi sono quelli di chi maneggia il linguaggio e i suoi sottintesi in questo modo. Si prende una parola, un po’ complicata, e la si usa comunque, ma stravolgendola a proprio favore, facendo così una doppia mossa: la mossa populista di far finta di parlar chiaro, come il popolo, e la mossa totalitaria di lasciar passare insinuazioni, sottintesi, a uso e consumo di sostenitori e contro gli oppositori. Il gioco non è nuovo.

Di liste di proscrizione, di editti, se ne sono visti nella storia recente, spesso emanati all’estero (in Bulgaria, ora in Cina: dev’essere il fascino del viaggio di stato in regimi semi o del tutto totalitari che accende la fantasia e le turpi voglie degli statisti nostrani). Adesso si sale di un gradino: si comincia a configurare una neolingua, in cui i termini vengono stravolti. Tutti gli interessi diventano cattivi interessi, interessi opachi. O forse ci saranno i buoninteressi e gl’interessireato? Ma avranno letto Orwell, dopo Tolkien?

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