Nella discussione corrente sul servizio sanitario nazionale, che poi è un puzzle di servizi sanitari regionali, prevale l’aspetto economico, spesso con un approccio economicista: il dibattito più acceso verte sulla sufficienza o insufficienza del fondo sanitario nazionale o FSN, o meglio il fabbisogno sanitario nazionale che non muta l’acronimo.

Da parte governativa si sostiene che gli aumenti previsti sono di entità senza precedenti, dall’opposizione che i calcoli vanno fatti considerando l’erosione dovuta all’inflazione e che gli stanziamenti vanno notevolmente aumentati. Ma, a parte la divisione su cifre e percentuali, c’è un aspetto che lascia allibiti: nessuno eccepisce o si stranisce che nella costruzione del fabbisogno sanitario non si parli mai di prevenzione primaria delle malattie, cioè delle misure in grado di agire sulle cause della perdita di salute.

Come non essere d’accordo sulla necessità di maggiore attenzione e finanziamenti per il trattamento del personale sanitario e la riduzione delle liste di attesa, ma con una perdurante visone imperniata solo sulla cura si profila uno sforzo con scarsi risultati, qualcosa che ricorda il mito della fatica di Sisifo, condannato a rotolare eternamente sulla china di una collina un macigno che, una volta spinto sulla cima, ricade sempre giù in basso.

Anche nel meccanismo del riparto del FSN di prevenzione primaria non si parla, neanche a proposito dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e del rafforzamento della sanità territoriale, anch’essa vista in termini assistenziali.

Un vero e proprio baco di ragionamento che di fronte ad un rubinetto che perde acqua si pone il problema di come gestire la perdita e non di come impedirla.

Malattie evitabili

Quante volte si è letto o sentito dire che bisogna fare in modo che al Pronto Soccorso arrivino solo pazienti con problemi appropriati, che i medici di famiglia si facciano più carico dei loro assistiti per le cronicità, che la popolazione più anziana e fragile pone problemi crescenti al servizio sanitario, tutte proposizioni giuste ma che vedono solo una faccia della medaglia. L’altra faccia racconta invece di malattie che sarebbero evitabili, di fragilità mitigabili intervenendo sulle vulnerabilità ambientali e suscettibilità individuali e collettive.

Una impostazione stupefacente, specie se si pensa all’appesantimento degli impatti sulla salute che dopo l’avviso della pandemia da Covid19 sono attesi, al proliferare di nuove e vecchie malattie infettive e non trasmissibili anche a causa del peggioramento dell’impatto dei cambiamenti climatici. C’è da rimanere senza fiato: come inquadrare l’attitudine a agevolare l’acquisto di climatizzatori per gli anziani anziché creare isole di verde in grado di contrastare le ondate di calore?

Per capire bisogna innanzitutto ragionare sul sistema sanitario nel suo complesso, che include sia il servizio sanitario pubblico che quello privato, poiché sta nella loro relazione e negli interessi più o meno palesi la chiave principale per comprendere scelte apparentemente incomprensibili, come giusto appunto quella di sottovalutare o peggio ignorare la prevenzione.

Eppure la prevenzione era uno dei cardini della legge costitutiva del SSN, la 833 del 1978, anche se più in teoria che in pratica; basti considerare che ci sono voluti 26 anni per avere un Piano nazionale per la prevenzione che organizza e pianifica le diverse attività, pure nei limiti delle risorse invariabilmente fissate al 5 per cento del FSR, che molte regioni non riescono neanche a spendere, e che – non per inciso – includono anche esami diagnostici che pure essendo importanti non sono propriamente misure in grado di prevenire le malattie ma semmai di identificarle precocemente.

Fondi e priorità

La legge di Bilancio 2024 prevede per il FSR 11,2 miliardi in più nel triennio 2024-2026 da aggiungere ai 7,5 miliardi già stanziati dalla legge di bilancio 2023 per lo stesso triennio (2,3 + 2,6 + 2,6), sottolineando le due priorità di ridurre le liste d’attesa e valorizzare il personale sanitario. I capitoli di finanziamento vanno da 2,4 miliardi di euro per il rinnovo contrattuale del personale del SSN, a 280 milioni di euro per la riduzione delle liste di attesa, al potenziamento dell’assistenza territoriale (250 milioni per il 2025 e di 350 milioni dal 2026), alle risorse per garantire i livelli essenziali di assistenza, LEA (50 milioni per il 2024 e 200 milioni a decorrere dal 2025), fino agli “spiccioli” come 1 milione di euro dal 2024, per l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà, 1 milione di euro per nuovi test diagnostici per le malattie rare e altro ancora. Il FSR nel 2023 era stato pari a 128.869,2 milioni di euro che su un Pil nominale di 1.960,104 miliardi, vale il 6,6 per cento, mentre per il 2024 considerando l’aumento di 5,3 miliardi per il FSR e un aumento del PIL dello 0,9 per cento, la percentuale sarà del 6,8 per cento (fonte AGENAS).

Queste percentuali sono sensibilmente inferiori a quelle della Germania (10,9 per cento), della Francia (10,3 per cento) e anche della Spagna (7,3 per cento), di poco superiori a quelle del Portogallo (6,7 per cento) e superiori solo alla Grecia (5,1 per cento). Fa ancora più effetto la disparità della spesa pro capite: a parità di potere d’acquisto quella italiana risulta meno della metà di quella della Germania (Fonte Corte dei Conti).

Spesa privata

Non si può parlare di spesa sanitaria pubblica, e anche di fabbisogno, senza parlare di spesa privata, non solo e tanto per le strette connessioni tra pubblico e privato (esempio, il fenomeno delle liste di attesa ha come corollario una consistente spesa privata al di fuori del Servizio sanitario nazionale), ma anche perché il sistema privato non si fa carico di molti costi, sia per la cura e tantomeno per la prevenzione delle malattie.

Ebbene, la spesa privata in Italia è molto elevata, è crescente ed è molto superiore a quella degli altri paesi dell’UE: nel 2022, la spesa diretta a carico delle famiglie italiane è stata il 21,4 per cento di quella totale, notevolmente più alta rispetto alla Francia (8,9 per cento) e alla Germania (11 per cento).

Nel 2023 è stato introdotto un nuovo sistema di ripartizione del fabbisogno sanitario nazionale non molto diverso dal precedente, ancora centrato sul riparto pro-capite (criterio capitario), e con una pesatura parziale per tenere conto dell’influenza dell’età sui consumi sanitari, per la mortalità sotto i 75 anni, considerata il principale determinante dello stato di salute e del consumo sanitario, e per alcuni indicatori delle condizioni socio-economiche. La considerazione della deprivazione socio-economica ha prodotto un effetto correttivo a favore delle regioni più disagiate (in particolare Sicilia, Puglia, Calabria) che però risultano svantaggiate dalla ponderazione della quota capitaria con i consumi per fascia di età.

Una quota non marginale, la cosiddetta quota premiale (circa un terzo degli 1,8 miliardi stanziati nel 2023 in base alla mortalità prematura e alla deprivazione) è lasciata alla negoziazione tra le Regioni e consente parziali riequilibri.L’uso dell’algoritmo relativo ai nuovi criteri mette in luce numerose criticità legate al sistema dei pesi e delle correzioni.

Deriva pericolosa

Anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio offre utili suggerimenti a favore di valutazioni da farsi a consuntivo sul ruolo delle due determinanti del bisogno sanitario (mortalità e deprivazione)” aggiungendo appropriatamente “malgrado il consumo stesso non rifletta pienamente i bisogni”.

Scarsa attenzione ai bisogni reali di salute e alla prevenzione, rappresentano una deriva pericolosa in contrasto col concetto di salute che non significa solo diritto alle cure, e con lo stesso articolo 32 della nostra Costituzione "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti".

L’assegnazione alla prevenzione bloccata al 5 per cento di un fabbisogno sanitario insufficiente è una miscela esplosiva in generale e specialmente in aree inquinate e più esposte ai cambiamenti climatici dove vivono comunità rese fragili da esposizioni dannose e suscettibilità acquisite: dalla Pianura Padana a Taranto a tante altre aree dove vivono milioni di persone, molte al sud che soffre già di disparità ambientali, di salute e di tutela dei diritti.

Per queste zone di sacrificio, definite dall’Onu come “aree estremamente contaminate dove i gruppi vulnerabili ed emarginati sopportano un peso sproporzionato delle conseguenze sulla salute, e l’intossicazione cronica impatta sui diritti umani”, occorre considerare indicatori.

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