Oggi, come mezzo secolo fa, l'acqua in Sicilia dà più da mangiare che da bere: un commercio perenne. Tra venditori di contrabbando antichi come i templi greci e fontanieri che contano più del sindaco
Ma cosa vanno cianciando quegli astuti politicanti e quei rappresentanti di un giornalismo da operetta che si accalorano a descrivere una Sicilia sempre più felice? Ma che cosa vedono e soprattutto cosa vogliono farci vedere?, raccontandoci di un'isola da cartolina con la mafia che ormai c'è solo sullo sfondo come fenomeno pittoresco, tipico del luogo come può essere la pasta con le sarde o i frutti di martorana.
Un'informazione zuccherosa, pettinata e soprattutto falsa sta provocando equivoci che ci stanno trascinando in un'altra stagione melmosa, di indifferenze e di silenzi.
Ma oggi non voglio parlare di Totò Cuffaro che comanda a Palermo come comandava trent'anni fa, non voglio parlarvi nemmeno dei voti che ancora si vendono a Caltanissetta (lo leggo su un sito, Seguonews) come si faceva quarant'anni fa, ma voglio parlarvi della maledizione dell'acqua.
La Sicilia è così cambiata ed è diventata per alcuni divulgatori di fandonie così splendida splendente che i siciliani scendono ancora in piazza a migliaia - è accaduto ad Agrigento, a Bivona, a Ribera - per gridare “vogliamo l'acqua”. La sentono arrivare, preceduta da un sibilo, un paio d'ore ogni quattro o cinque giorni. In alcuni paesi non viene distribuita da quasi due settimane, in certe campagne deviano il corso dei torrenti per rubarla, nei pressi degli acquedotti c'è un intreccio di tubi volanti abusivi.
Oggi, come mezzo secolo fa, l'acqua in Sicilia dà più da mangiare che da bere. È un commercio perenne. Cinquant'anni fa ho conosciuto ad Agrigento il signor C. che vendeva acqua di contrabbando e qualche mese fa ho rivisto il figlio del signor C. che vende ancora acqua di contrabbando, i signori C. - padre e figlio - fanno parte del paesaggio urbano come i palazzoni in bilico sull'argilla, sembrano eterni come i templi greci. Agrigento, che sarà capitale italiana della cultura 2025, è anche capitale storica della sete. Ci sono fontanieri comunali che contano più del sindaco perché posseggono le mappe del sottosuolo, conoscono i segreti percorsi dell'acqua.
Capita anche che l'acqua arrivi in un appartamento e che non arrivi nell'altro appartamento, sullo stesso pianerottolo: misteri idrici. Nel centro Sicilia tutti, dai più vecchi ai più giovani, hanno un gran sapere di fontane e di litri al secondo, di vasche, di allacci. Provenendo da Caltanissetta me ne sono fatta una discreta competenza anch'io.
Lì ho cominciato a scrivere i primi articoli e, alla fine degli Anni Settanta, su cento cronache consegnate al giornale L'Ora novantanove erano sull'acqua che non c'era. Ero un cronista idrico, come lo sono oggi i miei colleghi dei fogli locali che sono costretti ogni giorno a fare il resoconto spaventoso degli animali che muoiono per arsura nelle campagne. E intanto c'è una diga, a Blufi, sulle Madonie, che è in costruzione da una sessantina di anni.
E intanto si spendono soldi per dissalatori che erano stati abbandonati. E intanto il ministro Salvini promette 122 interventi con un investimento di 899 milioni di euro per dissetare i siciliani? Sì, ma quando? L'anno prossimo? Fra dieci anni? Fra cento? E intanto è sparito pure il lago di Pergusa, nemmeno una goccia nel catino, solo fango.
E intanto c'è pure il sindaco di Castellammare del Golfo Giuseppe Fausto che informa “sul modo impeccabile” con cui il governatore Schifani sta affrontando la crisi idrica e invita i giornalisti a non parlare di siccità per non impaurire i turisti. Poi fa il suo appello: «Venite, venite in Sicilia, perché noi i siciliani i problemi li affrontiamo, li trasformiamo in opportunità».
Fra qualche giorno scenderò giù nella mia Sicilia per le vacanze e ho già preso contatti per prenotare una “bonza“ - così chiamano le cisterne d'acqua nell'agrigentino - al signor C. figlio. Meglio non fidarsi di chi dice che laggiù è tutto cambiato.
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