- Il trionfo di T’appartengo coincide con la coccola rivolta a noi, giovanissimi dei 90s, comunità Lgbt che abbiamo eletto Ambra a icona.
- La clip è schizzata al 1° posto delle tendenze YouTube e, quel che sconvolge di più, la canzone ha raggiunto la vetta delle classifiche, superando gli stessi concorrenti del talent e finendo col diventare uno tra i brani più scaricati su iTunes.
- Eppure, allora, il brano respirava, così come faceva Ambra, erano cioè entrambi avvolti da una naïveté ariosa che era la loro forza.
Una delle cose più interessanti che accadono invecchiando è il fatto di iniziare a mettersi nei panni degli altri, di domandarsi come si sentano a fare questa o quell’altra cosa; se da giovani è più facile giudicare, gradire o sgradire assertivamente qualcosa o qualcuno, con il procedere del tempo diventa più naturale, semplicemente, empatizzare e abbandonare le certezze del proprio sentire per fare spazio al dubbio circa il sentire dell’altro.
Ecco quello che insomma mi è accaduto nel vedere in differita Ambra mentre cantava T’appartengo ventotto anni dopo la prima volta in quel pomeriggio del 13 settembre del 1994, allora in diretta a Non è la Rai, oggi sul palco del Forum di Assago per la finale, in diretta anche lei, della sedicesima edizione di X Factor.
Come si sentirà? Come dev’essere salire su uno dei palcoscenici più importanti della tua nazione, da donna adulta, con una carriera in corso e alle spalle quasi tre decenni di fatiche indicibili per realizzarla cercando di dimostrare di essere credibile ben oltre il gioco dello zainetto e quella canzoncina di quando eri giovanissima, che ora stai cantando dopo una vita a cercare di affrancartici?
Come ci si sente a essere vestite facendo il verso alle sé stesse minorenni in una mise apertamente sexy ma adulta insieme perché ora, ben più che maggiorenne, si può fare? Nel giro di pochissime ore dopo la diretta, il video dell’esibizione di X Factor ha raggiunto numericamente un successo esorbitante: sui social la performance conta oltre 12 milioni di views sugli account di X Factor – tra YouTube, Instagram, Facebook, Twitter e TikTok – la clip è schizzata al 1° posto delle tendenze YouTube e, quel che sconvolge di più, la canzone ha raggiunto la vetta delle classifiche, superando gli stessi concorrenti del talent e finendo col diventare uno tra i brani più scaricati su iTunes.
Eppure, in uno stile di attenzione tutto contemporaneo che non fa che conteggiare e porre cura ai numeri ben prima e più che al cuore delle cose, tutto questo gran viraleggiare non mi distoglie dal domandarmi come stesse, come si sentisse lei, Ambra, e non tanto quanto mi sia piaciuto o meno vederla lì sopra.
La protagonista del più grande successo di questa stagione di X Factor, infatti, non ha mai nascosto la sua scarsa adesione a questo pezzo, e questo fin da quando all’epoca dell’uscita si ritrovò a vederlo in cima alle chart nazionali e a ottenere un sorprendente successo anche all’estero (in Sudamerica la versione spagnola andò fortissima); all’epoca dichiarò di sentirsi complice dell’illusione collettiva della cantante di successo pur essendo ben consapevole di essere una ragazzina che non sapeva cantare.
La coccola
Durante l’esibizione al Forum pochi i suoi sorrisi, percepisco dall’altro lato dello schermo un certo distacco, la freddezza che sa sempre tradire l’inconscio di chi in fondo non si sente troppo al proprio posto, vale a dire a fare ciò che più ama: il momento, certo, le regalerà un nuovo trionfo e un rinnovato entusiasmo del pubblico, ma quanto di questo entusiasmo ha effettivamente a che fare con la qualità e la forza di quello che abbiamo visto, quanto c’entra con lei?
C’è qualcosa nel luminoso ingranaggio del risuccesso che non funziona appieno, qualcosa di drogato, nebuloso, ed è qualcosa che ha a che fare anche col sentire di chi lo sta rigenerando, cioè col protagonista di quel rinnovato successo, questo qualcosa si aggancia bene a un tema che nello spettacolo fa sempre la differenza centrale, generando uno scarto: l’esigenza, l’urgenza.
Il trionfo di T’appartengo (2022 edit, con un nuovo arrangiamento se possibile pure infinitamente peggiore del primo originale) coincide con la coccola, la rassicurazione rivolta a noi, giovanissimi dei 90s, comunità Lgbt che abbiamo eletto Ambra a icona, che siamo ancora qui e che nonostante i traumi, le fatiche, il precariato e la crisi del 2008, i terrorismi, i manganelli e le armi da fuoco che ci hanno fatti scappare dalla piazza, abbiamo ancora le nostre piccole eroine stonate che possono conquistare il mondo suggerendoci che forse, chissà, potremo farlo ancora anche noi.
Se ci aggiungiamo che nei corsi e ricorsi che oltre alla storia investono la retromania, ora è tempo di riscoperta piena degli anni Novanta, eccoci qui tutti primi in classifica. Questo, però, non riguarda affatto né la canzone né chi la canta, non riguarda cioè minimamente ciò che va a definire la qualità del discorso artistico e della performance.
Dopo Non è la Rai Ambra, come alcune delle sue colleghe, ha anzitutto acquisito pubblicamente un cognome, è diventata Ambra Angiolini, è stata ed è un’attrice in teatro, cinema e tv, una conduttrice radiofonica e televisiva, ha rivelato un’intelligenza, un certo gusto e squadernato davvero il talento che Gianni Boncompagni, l’autore e inventore del programma e delle ragazze che ne erano protagoniste, aveva perfettamente fiutato e messo di fronte alle telecamere.
Posto che di divertissement si parla, guardando la performance, più che divertirmi, sentirmi rappresentata o anche solo raccontata, mi è parso di vedere il solito brodo di nostalgia pronto per essere gustato ma in fondo per niente gustoso.
Quanto pesa, pensavo, questa nostalgia? Cosa sacrifichiamo in suo nome? Mi domando se, a furia di rimestare il passato anche nelle sue espressioni più povere, non ci stessimo perdendo qualcosa, non tanto canzoni migliori, cantanti migliori, spettacoli migliori, ma forse espressioni migliori di quella incarnata da ciò che non saremo mai più e incarnazioni nuove, originali e rappresentative di ciò che invece siamo diventati. Una forma di affermazione al presente.
T’appartengo la scrissero Stefano Acqua, Bruno Zambrini (tra gli altri autore di varie canzoni “per te” per Gianni Morandi, come Non sono degno di te, In ginocchio da te e Se non avessi più te, ma pure di La bambola per Patty Pravo) e Franco Migliacci, re dell’autoralità canora italiana che si prestò al gioco con la complicità dei figli Ernesto e Francesco Migliacci Jr. (che si firmava con lo pseudonimo di Assolo per aggirare l’omonimia).
Nostalgia
Il pezzo è una love song ma anche un rap stinto, con un seducente scioglilingua come ritornello e davvero poche intuizioni (su tutte metto in salvo quel piccolo enjambement che dice “i pianti / che io per colpa tua non piangerò mai più” che mi interrogava a dieci anni e mi appassiona ancora un po’).
All’epoca il singolo superò le centomila copie vendute in tre giorni e le star in classifica, proprio come oggi. Circa il doppio di quante ne aveva vendute Bedtime Stories, il nuovo album di Madonna, uscito tre settimane prima. Il testo, che racconta i turbamenti e le emozioni di un amore giovanile, fa impazzire le giovani spettatrici di Non è la Rai, che lo imparano presto a memoria: «E adesso giura, adesso giura / adesso giura che non hai paura / che sia una fregatura dirmi, “Amore mio” / perché un amore col silenziatore / ti spara al cuore e “pum”, tu sei caduto giù».
Il singolo esce nell’ottobre del 1994, l’album un mese dopo. Contiene, oltre a T’appartengo, altre sette canzoni. Eppure, allora, il brano respirava, così come faceva Ambra, erano cioè entrambi avvolti da una naïveté ariosa che era la loro forza. Nei risuccessi, invece, è impossibile scorgere qualcosa di ingenuo, di dolce, di naïf, ed è facile sentire la tensione asfittica della spirale da cui non si esce, e questo perché i risuccessi nascondono, e ormai neppure troppo bene, un gesto programmato, studiato al dettaglio per far leva sulle debolezze dell’audience, sulle sue malinconie e, appunto, sulla sua domanda di brodi nostalgici, più facili da digerire perché, in fondo, sommersi dal tempo.
Quest’artificio, mi pare, è ben più artefatto, manovrante, di quanto Gianni Boncompagni manovrasse programmaticamente i microfoni ad archetto e la carriera della giovane Ambra che nel frattempo, da qui, ragazzina dei Novanta che oggi si avvia con calma ai quarant’anni, preferisco ascoltare al presente, col suo cognome bene in vista.
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