Il Centro Studi Erickson nei mesi scorsi ha avviato uno studio su scala nazionale per indagare le pratiche didattiche d'aula in Italia. Il questionario si è rivolto a tutto il personale docente di tutti gli ordini e gradi scolastici ed ha raccolto 1.965 risposte. Il campione di insegnanti (1.018 curricolari, 1.508 sono femmine) copre tutti i gradi scolastici e tutte le regioni italiane e ha un’età media di 45,83 anni (deviazione standard 10,03). Dalle prime analisi, in capo al ranking delle metodologie didattiche più usate rimane quella frontale: il 70 per cento dichiara di usarla nella maggior parte delle sue lezioni.

Risultato abbastanza sorprendente è quello della diffusione dell’uso del peer tutoring e della didattica laboratoriale: 1 su 2 dichiara di usarle frequentemente nella pratica didattica. Brutta posizione per la didattica aperta, metodologia che sosteniamo per il pregio di saper valorizzare le differenze, personalizzando l’apprendimento: solo il 13 per cento dichiara di utilizzarla nella quotidianità didattica e addirittura il 21 per cento dichiara di non conoscerla. Simile risultato per la didattica in contesti reali, usata con frequenza solo dal 12 per cento del campione.

Permangono enormi differenze tra i gradi scolastici, con le scuole secondarie (I e II grado) che continuano ad utilizzare prevalentemente le metodologie di didattica frontale o di lavoro e studio individuale tramite i libri scolastici. L’analisi dei trend rileva un netto calo col crescere del grado scolastico in tutte le metodologie didattiche attive. Lo stesso accade per la codocenza inclusiva che viene svolta quotidianamente solo dal 17 per cento del campione, con un netto calo nelle scuole secondarie.

La dominanza della lezione frontale conferma purtroppo le aspettative riguardo alle metodologie didattiche maggiormente usate nella nostra scuola, ma si intravedono elementi positivi. Il fatto che la metodologia che si è classificata come seconda in termini di frequenza d’uso sia la didattica laboratoriale in tutti gli ordini e gradi di scuola promette bene in termini di efficacia didattica per lo sviluppo di competenze e per l’inclusività. Le stesse considerazioni, in positivo, valgono per la terza classificata, il peer tutoring, che valorizza la risorsa compagni/e di classe in una didattica partecipativa e prosociale.

La didattica con le tecnologie è presente come quarta metodologia in generale e particolarmente nella secondaria: questo effetto positivo potrebbe essere attribuito alle azioni effettuate con i fondi Pnrr.

Per quanto riguarda ciò che maggiormente incide sulle prassi didattiche si evidenziano la giovane età, con effetti positivi sull’uso di metodologie innovative (anche se i docenti più giovani sono anche quelli che usano maggiormente la lezione frontale), mentre gli anni di esperienza non sembrano avere effetti. Un dato che va segnalato riguarda invece il livello di istruzione, dove risulta chiaro che a livelli alti di formazione corrispondono usi più alti di metodologie innovative e tecnologiche.

La scuola dell’infanzia si conferma come il segmento pedagogicamente più attivo, che utilizza in modo significativamente maggiore didattiche attive e creative, mentre la scuola secondaria si conferma un segmento ancorato non solo alla spiegazione frontale al gruppo classe ma anche all’uso individuale del libro di testo e/o schede didattiche, anche se si classifica come la scuola più tecnologica.

In conclusione la prima posizione della lezione frontale non durerà ancora a lungo se sapremo potenziare la pattuglia delle inseguitrici: la didattica laboratoriale, il peer tutoring e l’apprendimento cooperativo.

L’innovazione didattica sarà prodotta investendo sulla formazione universitaria dei futuri docenti, soprattutto nella secondaria. Non solo, l’innovazione didattica sarà prodotta anche contaminando tutti gli ordini di scuola con lo “scuola dell’infanzia approach”, più attivo e partecipativo.

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