- Perché possiamo vedere in diretta integrale i 3.405,6 chilometri che ci vorranno per andare dal museo Guggenheim di Bilbao agli Champs-Élysées di Parigi, sono necessari altri 38 chilometri di cui non vediamo assolutamente niente
- Ogni giorno si spostano tre semirimorchi carichi di 20 tonnellate di attrezzature. Nella notte li precedono i 120 camion dell’organizzazione: trasportano il podio, l’arco che sovrasta la linea d’arrivo e la flamme rouge a un chilometro dal traguardo, ma anche 17 studi televisivi
- Ai 38 km di cavi dobbiamo aggiungere per ogni tappa sei reti wi-fi per le 6 aree arrivi e la sala stampa, 40 ripetitori mobili temporanei per 52 milioni di connessioni dati mobili al giorno
Il capriolo che taglia la strada al gruppo nelle campagne dell’Auvergne e fugge via, più veloce dei corridori, lo hanno visto in diretta in 190 paesi del mondo. Tadej Pogacar che prima di scattare guarda in faccia il suo rivale Jonas Vingegaard per indovinarne la fatica. Gli occhi vuoti di Mark Cavendish sull’ambulanza che lo porta via dal suo ultimo Tour de France, togliendogli la possibilità di staccare Eddy Merckx almeno nel libro dei record. Le volate che il vincitore di Sanremo e Roubaix, Mathieu van der Poel, lancia per il suo compagno di stanza Jasper Philipsen. Fa tutto parte dello spettacolo quotidiano del terzo evento sportivo più grande del mondo, trasmesso in tivù su 100 catene televisive, di cui 60 in diretta. Nel 2022 le ore live sono state 7.450.
Soltanto i Giochi Olimpici e i Mondiali di calcio sono più grandi, ma li fanno ogni quattro anni. Il Tour invece arriva a casa nostra tutti i mesi di luglio.
Perché possiamo vedere in diretta integrale i 3.405,6 chilometri che ci vorranno per andare dal museo Guggenheim di Bilbao agli Champs-Élysées di Parigi, seguendo il disegno delle 21 tappe dell’edizione 2023, sono necessari altri 38 chilometri di cui non vediamo assolutamente niente. Dietro ogni tappa del Tour c’è una piccola città viaggiante – 4.500 persone – che assicura che tutto si svolga sono i nostri occhi: ogni giorno vengono posizionati appunto 38mila metri di cavi di fibra ottica, che alla fine delle trasmissioni vengono arrotolati sui camion e trasportati alla tappa successiva.
Un’impresa non inferiore a quella dei campioni in bici, che richiede organizzazione, precisione e anticipo. Spesso pure inventiva, in luoghi difficilmente raggiungibili com’è stato quest’anno il traguardo sul Puy-de-Dôme, che mancava al Tour da 35 anni, un’èra fa. Per la prima volta sulla cima del vulcano sono state interconnesse sei diverse zone tecniche.
In tre ore
Ci si muove di notte, si dorme pochissimo (di giorno), e non si può sbagliare niente. Una volta c’erano i tecnici di PTT, poi quelli di France Télécom, ma il mondo era più semplice e anche il lavoro: riservavano linee telefoniche negli alberghi o nei caffè vicini al traguardo ai giornalisti che dovevano dettare gli articoli alle redazioni o andare in onda sulle radio. Alla fine è arrivato Orange, l’operatore di telecomunicazioni che da 26 anni assicura la connessione tra il Tour de France e il resto del mondo.
Se il gruppo va a oltre 40 km/h di media, quelli di Orange hanno un passo decisamente più feroce: ogni giorno, poche ore prima dell’arrivo dei corridori, installano dal nulla la zona tecnica, una cittadina da cui vengono prodotte le immagini da inviare in tutto il mondo. Ogni giorno arrivano tre semirimorchi carichi di 20 tonnellate di attrezzature. Nella notte li precedono i 120 camion dell’organizzazione: trasportano il podio, l’arco che sovrasta la linea d’arrivo e la flamme rouge a un chilometro dal traguardo, ma anche 17 studi televisivi, le squadre di France Télévisions, di Eurosport e delle emittenti straniere, le squadre radiofoniche e le postazioni dei commentatori.
Contando autisti, tecnici, ingegneri, giornalisti, corridori e direzione gara, sono 1.800 le persone che prima o poi arrivano nell’area tecnica insieme alla tappa. Quelli di Orange hanno in media tre ore di tempo per posare 280 linee che servono per portare le immagini ai canali tv, ma anche per dare a tutti elettricità, televisione e wifi, dati e classifiche alla direzione gara e ai giornalisti, e persino una rete di videosorveglianza.
Il polpo
«Non pestare i cavi», è la frase che si sente più spesso entrando nella zona tecnica. Evitare distorsioni è il primo obiettivo. Il buio, cioè l’assenza di immagine per un quarto di secondo, è un’eventualità tragica. Nel 1999 lo storico commentatore di France Télévisions, Patrick Chêne, rimasto senza immagini a pochi minuti da un arrivo in salita, minacciò di dire in diretta che la colpa del “nero” era dell’operatore telefonico: un collegamento satellitare installato a tempo di record scongiurò il peggio.
Le esigenze di connettività crescono di ora in ora, e riguardano contemporaneamente l’organizzazione, i media e il pubblico a bordo strada: in questo Tour Orange ha moltiplicato per cinque la capacità di ogni connessione ad ogni tappa. L’anno scorso i collegamenti andavano a due gigabyte. La tappa dell’Alpe d’Huez registrò 32 milioni di connessioni in un’ora e lo scambio di 12,7 milioni di sms. Quest’anno Orange ha aumentato la capacità di connessione a dieci gigabyte, la portata media di 1.250 abitazioni.
Le immagini ci arrivano grazie a Octopus, uno strano camion parcheggiato ogni giorno poco lontano dal traguardo. Lo riconosci perché a 45 metri di altezza è sovrastato da una navicella, con due antenne paraboliche che comunicano con aeroplano. Il velivolo disegna dei cerchi a 3.500 metri di quota, seguendo il corso della tappa, e fa da staffetta: trasmette le immagini riprese dalle nove telecamere installate sulle sette moto e sui due elicotteri che seguono i corridori dal chilometro zero.
Le immagini arrivano a Octopus, che non si chiama così per caso: da lì, come se fosse un polpo con infiniti tentacoli, rilancia le informazioni alle diverse emittenti, collegate grazie ai famosi cavi, che rendono possibile la trascrizione delle immagini sui televisori di tutto il mondo con appena un secondo di ritardo sulla realtà. Se vi capitasse di ripassare sulla zona del traguardo, vi accorgereste che un’ora prima della mezzanotte non c’è più traccia della cittadina viaggiante che ha permesso tutto.
Monsieur Terreaux
L’uomo che dirige l’orchestra si chiama Henri Terreaux, dorme 200 notti l’anno in un letto che non è il suo per portare nel mondo le immagini dei grandi eventi francesi, dal G20 al Festival di Cannes. È uno dei pochi a conoscere con largo anticipo il percorso del Tour de France, per organizzare l’impossibile: quando la Boucle arrivò in cima al Peyragudes, lo scorso anno, Terreaux portò più tecnici di quelli che ci erano voluti per trasformare l’altiporto dei Pirenei in un anonimo confine tra l’Afghanistan e il Pakistan a beneficio di un filmone di James Bond, Tomorrow never dies.
La sua è la squadra più numerosa del Tour: 54 persone (38 tecnici operativi giorno e notte, più gli addetti alla logistica e gli autisti). Ogni giorno installano la loro rete a fibra ottica nei villaggi più sperduti, su salite inedite e sempre più impervie. Ai 38 km di cavi dobbiamo aggiungere per ogni tappa 6 reti wi-fi per le 6 aree arrivi e la sala stampa, 40 ripetitori mobili temporanei per 52 milioni di connessioni dati mobili al giorno. Tutti i comuni attraversati dalla corsa vengono studiati e passano sistematicamente al 4G: 592 soltanto quest’anno.
Altre 18 località di tappa saranno coperte in 5G: un’accelerazione dovuta al Tour che rimarrà come eredità perenne. Monsieur Terreaux è appena tornato da Firenze, dove ha cominciato a studiare la logistica per la prima storica partenza dall’Italia, il 29 giugno 2024. Quel giorno il mondo vedrà tutta la nostra bellezza in diretta. E noi capiremo di colpo che cosa vuol dire grandeur.
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