Il 28 maggio 2008 una massa di ghiaccio larga cinque chilometri e alta più di un chilometro e mezzo si staccò dal ghiacciaio Ilulissat, nella Groenlandia occidentale. Per settantacinque minuti si divise in blocchi enormi, alti fino a mille metri, che rivoltandosi e rombando scivolavano nell’oceano.

A un certo punto, dalle acque ne emerse uno che somigliava a un cetaceo di dimensioni incredibili. Adam LeWinter e Jeff Orlowski, che lo immortalarono nel documentario Chasing Ice (2012), spiegano che «per renderci davvero conto delle proporzioni del fenomeno dovremmo immaginare che di colpo tutta Manhattan cominciasse a tremare, a disgregarsi e a crollare, a rotolare (…) un’enorme città che ti crolla a pezzi sotto il naso».

Nonostante l’effetto distanziatore di YouTube, l’enormità di immagini e suoni così estranei alla quotidianità umana lascia a bocca aperta, ed è difficile non rimanere incollati allo schermo a vedere e rivedere il filmato. Il distacco degli iceberg dai ghiacciai rientra in un ciclo naturale, ma è raro che abbia le proporzioni di quel giorno all’Ilulissat.

Ed è soltanto l’infinitesima parte di un lungo insieme di cambiamenti che, a prescindere dalla presenza di occhi e orecchie umani, avvengono più in fretta che mai e su una scala che in diversi milioni di anni, come minimo, non ha precedenti. Nell’ultimo ventennio il tasso di scioglimento dei ghiacciai mondiali causato dall’emissione di gas serra, che nel 2000 era già ben oltre la media storica, è raddoppiato. Con tutta probabilità, nei decenni a venire molti di quelli rimasti si rimpiccioliranno e scompariranno.

Il ghiaccio che si scioglie

Spesso gli effetti del cambiamento climatico sul paesaggio glaciale prendono una forma più silenziosa e sottile rispetto allo schianto dell’Ilulissat. In visita al ghiacciaio Knud Rasmussen, in Groenlandia, Robert Macfarlane udì il rombo grave, e sempre più potente a mano a mano che si avvicinava, del ghiaccio che sciogliendosi riempiva un mulino (cioè uno stretto canale), e lasciava presagire l’incontro con «lo spazio più bello e spaventoso dentro il quale abbia mai guardato».

Secondo Matthew Burtner, autore dell’album Glacier Music, i ghiacciai sono esseri cantanti. «Accompagnano le fasi dello scioglimento con intricate emissioni acustiche, un ricco complesso di voci paragonabile alla trama di un arazzo sinfonico di rumori». E una volta raggiunto il mare, i blocchi di ghiaccio alla deriva non smettono di fare rumore: sono soprannominati “growlers” perché rilasciando i gas intrappolati al loro interno ringhiano (to growl) come animali.

Nei cambiamenti in atto si può cogliere una strana bellezza. Il giornalista Jonathan Watts ascolta con strumenti speciali lo scioglimento di un iceberg al largo della penisola Antartica, distingue il suono delle bolle d’aria che sfuggono alle sue profondità e si sente «trasportato, ma, anziché dentro l’oceano, in una grande caverna dove l’acqua sembra cadere da un alto soffitto, e ogni goccia della cascata echeggia nel vuoto».

Anche il disgelo del permafrost può emettere suoni quasi musicali. «È come una composizione orchestrale», dice il geografo Julian Merton riguardo a un cratere della Jacuzia, nell’estremo oriente russo. «D’estate, quando il primo strato ghiacciato si scioglie in fretta, si sente il gocciolio costante dell’acqua, come i primi violini. Poi i pezzi massicci di permafrost, che pesano fino a mezza tonnellata, si schiantano sul fondo con grandi colpi. Sono le percussioni».

Ecosistemi e rumore

L’impatto del cambiamento climatico sulla vita terrestre si nota benissimo anche nella trasformazione dei suoni della foresta e degli altri ecosistemi. Per vent’anni, sempre nella stessa stagione, il musicista ed ecologista acustico Bernie Krause ha registrato i suoni degli uccelli, dei mammiferi, degli anfibi e degli insetti di Sugarloaf Park, in California; il confronto tra le registrazioni audio di anni diversi è impietoso nel rivelare la diminuzione e la frammentazione della fauna.

Altrove, i ricercatori hanno scoperto che il degrado del paesaggio non implica un aumento del silenzio: in luoghi come l’Amazzonia ecuadoriana può capitare che gli ecosistemi danneggiati diventino più rumorosi in certe fasce di frequenze, almeno per un po’, perché le creature venute a riempire i “buchi” nel paesaggio sonoro se li contendono a colpi di botta e risposta.

Gli ecologisti acustici tengono d’occhio anche le trasformazioni che avvengono al di fuori dello spettro uditivo umano. Quando l’utilizzo massiccio di pesticidi, le conseguenze del riscaldamento globale o altri fattori riducono il numero degli insetti e dei pipistrelli, il paesaggio sonoro ultrasonico si svuota. Quando sulle barriere tropicali i picchi di calore uccidono la maggior parte dei coralli da cui essi dipendono, i pesci e gli altri animali che intonano il “coro dell’alba” tacciono.

Il “collasso”

Negli ultimi anni sentiamo parlare sempre più spesso di “collasso climatico”: dà l’idea di un mondo che di colpo crolla e smette di funzionare, ma è una descrizione a dir poco riduttiva di ciò che sta avvenendo. Sì, la rapidità del cambiamento climatico minaccia la sopravvivenza di molte specie ed ecosistemi, e senza una pronta riduzione delle emissioni è probabile che danneggerà e metterà in pericolo gran parte dei viventi umani e non umani. Se non avviene una transizione senza precedenti, il cambiamento climatico innescato dall’uomo rischia di imporre condizioni di vita insostenibili a miliardi di persone. Ma è anche vero che il clima in quanto tale non sta “collassando”.

Piuttosto, come spiega il climatologo Wally Broecker, «il sistema climatico è un animale arrabbiato e noi continuiamo a infastidirlo punzecchiandolo». E grazie all’aumento netto di energia sotto forma di calore, il processo sta persino accelerando. I suoni del cambiamento climatico non sono soltanto quelli della diminuzione e della scomparsa, ma anche quelli di uragani più potenti, precipitazioni più intense, inondazioni più distruttive e incendi più grandi e impetuosi.

Può darsi che in futuro siano anche i suoni di sofferenze e tormenti più umani, perché salvo sorprese è probabile che un mondo troppo caldo sia anche un mondo troppo violento. Il cambiamento climatico potrebbe causare ulteriori danni perché ad aumentare non saranno soltanto le  temperature estreme, ma anche le probabilità che scoppino nuove guerre.

«Ormai è passato del tempo da quando si poteva trovare conforto nella natura e misurare l’arco di una vita confrontandolo con l’eterno ciclo delle stagioni», osserva la poetessa Kathleen Jamie; «oggi si vive in una continua sensazione di pericolo.» In tali circostanze uno dei suoni più preziosi è quello della voce.

«La cosa più importante», dice Katharine Hayhoe, scienziata dell’atmosfera, «è parlare del cambiamento climatico». Ogni frazione di grado di riscaldamento globale conta, ogni anno conta, ogni azione conta, e c’è bisogno di discutere di come migliorare la nostra esistenza e quella degli altri riducendone l’impatto negativo e trovando sempre più maniere di trasformare le nostre parole in gesti concreti.


Il testo è un estratto di Cosmofonia, Utet, 2024

Copyright © 2023, Caspar Henderson

© 2024, De Agostini Libri S.r.L.

Cosmofonia è un grande catalogo dei suoni dell’universo, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, dal gracidare di una rana in una notte d’estate all’esplosione di un vulcano, dal silenzio gelido del cosmo al battito del nostro cuore. Il libro si compone di quattro parti I suono dello spazio, I suoni della Terra, I suoni della vita, I suoni dell’umanità – da cui pubblichiamo il capitolo “I suoni del cambiamento climatico”.

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