Il seguito del film che nel 2019 vinse la Palma d’oro è un’opera da 200 milioni di dollari, con “numeri” cantati e ballati che sono la proiezione dell’immaginario del cattivissimo protagonista. Joker: Folie à Deux è meraviglioso. Joaquin Phoenix è di una fedeltà commovente al suo sorriso, Lady Gaga conferma un talento anticonvenzionale
In sala abbiamo applaudito in tre ma l’orecchio può avermi tradito: forse eravamo in cinque. Joker: Folie à Deux è il “pazzo" seguito del “pazzo” Joker, Leone d’oro alla Mostra di Venezia del 2019, due Oscar (tra cui quello a Joaquin Phoenix miglior attore) e uno status da film di culto.
Lo stesso regista, Todd Phillips, ritrova il villain antagonista di Batman che ha convertito in simbolo degli emarginati e dell’odio di classe che cova in tutte le società occidentali due anni dopo, dietro le sbarre dell’Arkham State Hospital, in attesa di processo per i suoi cinque omicidi accertati. E costruisce un film da duecento milioni di dollari sulla sua musica interiore, “numeri” cantati e ballati che sono la proiezione del suo immaginario. Joker: Folie à Deux è un musical. Meraviglioso.
Anche perché Joaquin Phoenix fa coppia con Lady Gaga, scusate se è poco, che si prepara qui a diventare un altro personaggio iconico dei DC Comics, Harley Quinn, spin-off dell’universo a fumetti creato da Bob Kane e Bill Finger e ideata per dare una compagna di vita allo psicopatico Principe Clown. Stando alle classificazioni cliniche dei trattati, la folie à deux è un disturbo psicotico condiviso, identificato nel 1887 dagli psichiatri francesi Ernest-Charles Lasègue e Jean-Pierre Falret. È una sindrome che si trasmette tra individui asociali che vivono a stretto contatto.
E qui abbandono materie su cui non sono ferrata per rilevare le singolari affinità con un altro musical carcerario e senza happy ending, protagonista un’eroina non meno reietta: la Bjork di Dancer in the Dark conquistò a Lars Von Trier la Palma d’oro di Cannes. I modelli visivi di Phillips sono altri, però: in primis il coloratissimo Francis Ford Coppola di Un sogno lungo un giorno, musiche di Tom Waits, clamoroso flop al box office nel 1982. La letale Harley Quinn sullo schermo ha avuto l’energia delirante di Margot Robbie per ben due volte, in Suicide Squad e in Birds of Prey.
Sia ben chiaro però: questo in concorso a Venezia con i cine-comics non ha niente a che fare. L’occasione per la verifica è a breve: Joker: Folie à Deux sarà in sala da noi con Warner già dal 2 ottobre, prima che negli Usa.
Il catalogo è questo
Chi di noi non è afflitto da una debolezza segreta? Alla radice di ogni umana debolezza c’è di norma un qualche amore ostinato. Tutte le cose importanti in questo film si dicono cantando. Per me in certe note risuona la Storia, con la maiuscola. Se ascolto un classico come Bewitched intonato da Joaquin Phoenix-Arthur Fleck carcerato, la mia intera vita mi scorre davanti, come si dice che accada in punto di morte.
Vedo Rita Hayworth che la canta sotto la doccia in Pal Joey, perché si è presa una cotta per Frank Sinatra. That’s Entertainment, cantata in coppia, mi proietta negli anni d’oro di Spettacolo di varietà (The Band Wagon, 1953). That’s Life, cantata da Frank Sinatra, era già la sublime, dissacrante chiusura del primo Joker.
E vogliamo parlare di Ne me quitte pas, Jacques Brel qui tradotto in inglese e singhiozzato al telefono da Phoenix? Burt Bacharach impera, Get Happy di Judy Garland è in una sequenza da antologia e l’intero repertorio è da brividi, un regalo per gli occhi e per l’anima, anche e soprattutto perché genialmente decontestualizzato.
Sono le allucinazioni di un derelitto che evade sognando l’amore a passo di danza. Il web ha già coniato la sua brava formula per questo musical fuoriserie: Ha Ha Land, ossia il La La Land di Damien Chazelle riletto con la tragica risata di Joker. Phoenix e Lady Gaga cantano tutto dal vivo, Joaquin non è Pavarotti ma chissenefrega.
Parliamo di lei
I Looney Tunes all’inizio del film sono già una trovata folgorante, un autoironico omaggio alla Warner Bros. produttrice, storica titolare del marchio. Il Joker in cartone animato è una superstar popolare e acclamata, ma lo è anche Arthur Fleck nella sua squallida cella reale. Il film, i libri, il fragore mediatico provocato dall’omicidio di Robert De Niro (Murray Franklin, il suo mito) in diretta tv nazionale gli hanno guadagnato una legione di fans e il cauto favore delle guardie carcerarie, tra cui spicca il sempre eccellente Brendan Gleeson. Pelle e ossa, emaciato come il se stesso di cinque anni fa, Arthur scopre una ragione di vita e speranza nell’ammirazione di Harleen“ Lee” Quinzel, piromane confessa e sfigata come lui.
Sta per andare sotto processo e sarà «il processo del secolo», trasmesso in diretta tv, perché Arthur rischia la sedia elettrica. L’amore appena sbocciato però lo sostiene. Il primo bacio con Lee è scoccato davanti a Spettacolo di Varietà proiettato per i detenuti, e in cella di isolamento i due intrecciano le coreografie di Fred Astaire e Ginger Rogers. Le strade intorno al tribunale sono assediate dai fans inneggianti al clown che incarna una voglia diffusa di vendetta sociale.
Sarà un trauma per questa superstar dei poveri scoprire che Lee gli ha mentito: è una riccona dell’Upper East Side, ha studiato medicina, in galera ci è andata volontariamente solo per incontrarlo. L’incanto dei duetti da show, palcoscenico, lustrini e tip tap, si spezza quando Arthur-Joker ricusa la sua brava avvocata e decide di difendersi da sé. Autocondannandosi a morte. Perché lascia cadere la maschera, e con questa la tesi difensiva dello sdoppiamento che poteva salvarlo.
«Joker non esiste, è un mito. Ho ucciso anche mia madre. Esisto solo io, Arthur Fleck, di cui non importa a nessuno». L’aureola svanisce e Lee non canterà più quel loro radioso avvenire promesso da una celebre hit di Sammy Davis Jr., I gonna build a mountain. L’addio ha per teatro la mitica scalinata di Brooklyn che dopo l’icastico balletto di Joker è oggi tra le mete più gettonate del turista-tipo a New York. Per niente al mondo mi lascerò sfuggire una sillaba sul finale.
Joaquin Phoenix è di una fedeltà commovente al suo sorriso dipinto di pura finzione. Lady Gaga è all’ennesima conferma di un talento anticonvenzionale. I lampi di regia sono magistrali. I nostalgici della tragica compattezza di cinque anni fa chiedono al cinema di fossilizzarsi in un eterno passato. E forse non sognano in musica. Come Arthur Fleck. Come i sopravvissuti che hanno sempre trovato nei musical le parole per dirlo. Ma sì: come me.
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