Il secondo, mirabolante romanzo di Jacopo De Michelis ne conferma il talento crossover. Protagonista è un cronista di nera, la cui indagine incrocia anche l’epoca del fascismo
Pieno di sogni di gloria, Pietro era partito per Milano deciso a diventare un giornalista famoso e a lasciarsi alle spalle il lago d’Iseo, un lembo di paradiso che gli andava stretto e che presupponeva un destino di pescatore come suo padre, suo nonno, suo bisnonno.
Qualche tempo è passato e la collezione di illusioni perdute di Pietro farebbe morire d’invidia un personaggio di Balzac. Giornalista è diventato ma è il giornalista infelice e sconosciuto di un fogliaccio scandalistico che si chiama Shock. Lo pagano due soldi, la tariffa sindacale che tocca all’ultima ruota del carro, e lui di soldi ha estremo bisogno da quando è finito nelle grinfie di Toni Tagliola, nomen omen di un usuraio che al debitore insolvente amputa progressivamente falangi, falangette e altri componenti della mano, in una versione meneghina della classica punizione impartita dalla Yakuza, la mafia giapponese. È tutta colpa della cocaina.
Nella «folle e sfrenata» vita notturna della Milano da bere (siamo nel 1992, albori di Tangentopoli), Pietro ci ha dato dentro. Ecco una sua testimonianza personale: «Ti dico solo questo: una volta una modella sudafricana si è sniffata una pista direttamente dal mio uccello nei cessi di una discoteca».
Dopo La stazione, il suo sorprendente romanzo d’esordio, dove maneggiava virtuosisticamente una materia incandescente tra giallo e fantasy con il piglio di un Indiana Jones alla ricerca dell’arca letteraria perduta, Jacopo De Michelis torna con La montagna nel lago (Giunti) e conferma un talento crossover.
Rituffarsi nell’adolescenza
Il protagonista è, dunque, Pietro Rota che aveva tagliato per sempre i ponti con il suo passato e giurato di non voltarsi mai indietro. Mai dire mai: inaspettatamente motivi gravi e urgenti, ragioni di stato (di famiglia), lo costringono a tornare. Suo padre, con cui non ha mai avuto un buon rapporto, è sospettato di omicidio. Avrebbe ucciso Emilio Ercoli, uomo ricchissimo, praticamente padrone di quei posti con uno stile di comando quasi medievale, da ius primae noctis e dintorni.
Tra i due non correva buon sangue e non soltanto Nevio, il padre di Pietro, avrebbe ucciso Ercoli, ma lo avrebbe torturato spietatamente e, sevizia finale, avrebbe tracciato con il coltello sul petto del signorotto locale un segno a forma di X (un po’ come faceva Brad Pitt in Bastardi senza gloria tatuando a sangue svastiche sulla fronte dei nazisti che catturava).
Da cronista di nera di serie B, Pietro si autopromuove detective per tirare fuori dai guai il non tanto amato genitore, sospettato preferito dall’investigatore ufficiale, un commissario che ricorda celebri figure letterarie: «Il corpo debordante fasciato in un completo blazer di sartoria con tanto di panciotto, Edmondo Cortinovis ha stampigliato sulla faccia, dalle rosee gote sbarbate di fresco e i baffetti ben curati, un sorriso mefistofelico difficile da decifrare. Nero Wolfe, ma con un pizzico di Poirot…».
Tornare sul lago significa per Pietro rituffarsi nell’adolescenza, ritrovare gli amici di un tempo. Cristian, per esempio, che ora fa il vigile urbano, ed è sposato con Betta. Loro tre erano indivisibili ed erano più che amici. Pensate a Jules e Jim (e Catherine), ma anche a triangoli non considerati e pensieri stupendi, a Renato Zero e Patty Pravo. Lui li tradì scappando a Milano e le ferite sono ancora aperte.
Un ritorno al passato (prossimo) privato al quale si aggiunge (nel doppio e largo movimento da sinfonia descritto nel romanzo) un ritorno al passato (remoto) pubblico, agli anni della guerra, perché è lì che l’inchiesta personale di Pietro va a parare. Negli anni sepolti tra segreti e bugie della repubblica di Salò quando sul lago aveva fatto base la Decima MAS di Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, medaglia d’oro al Valor Militare.
Maestro di location
De Michelis è maestro di location. Nel suo primo romanzo raccontava la stazione centrale di Milano come un Grand Hôtel dell’orrore, adesso è direttamente un albergo, il Riviera, a essere il centro della trama. Qui alloggiava uno strano gruppo («cosmopolita, gaudente e sofisticato»), capitanato dal tenente Palmieri, amico fraterno di Borghese, sposato con un’americana (mentre il suo capo era sposato con una nobile russa), amante del gioco d’azzardo, un tipo sui generis («pare che in quel periodo di carestia nutrisse il suo cane con pasta al burro e uova al tegamino»).
Al Riviera fascisti e nazisti organizzavano spesso festicciole ballando con foga al ritmo di musiche proibite. E ostriche, champagne, caviale, mentre tutt’intorno il mondo sprofondava nel buio del coprifuoco. Intanto in una location meno allegra, la Rocca Martinengo, gli aguzzini dell’Ufficio I, il reparto più feroce della Decima, torturava senza tregua partigiani e civili presi in ostaggio come avveniva nelle altre ville tristi sparse per l’Italia.
Le indagini di Pietro procedono a fatica tra crisi di astinenza da coca, sensi di colpa verso Betta e l’angoscia di ritrovarsi in un mondo a cui aveva detto addio, il mondo fatto di barche e reti da pesca che sta scomparendo e al quale suo padre resta abbarbicato, deciso ad affondare con esso come un capitano con la sua nave. La montagna nel lago è anche un romanzo sul rapporto tra un padre e un figlio (e non è una novità per De Michelis, nella Stazione il tema tornava con uguale potenza e uguale strazio).
Ad alleviare le pene di Pietro è un formidabile personaggio, Lea Falchi, inviata speciale dalla vita avventurosa al tramonto della carriera. Lea, che è stata in Vietnam durante la guerra, ha sfiorato l’intervista impossibile a J.D. Salinger e si è ubriacata con la Fallaci a Beirut, ha intuito che l’omicidio Ercoli può essere una grande storia e si è precipitata sul lago d’Iseo sognando il rilancio professionale.
Intanto, l’inchiesta di Pietro si tinge del bianco e nero dei cinegiornali Luce. Sulla scena appaiono Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, i divi del regime, ospiti d’onore a una festa al Riviera. Il detective mette assieme tessere di un domino sempre più complicato o, se preferite, enigmatiche carte di tarocchi che leggono il passato e non il futuro. In particolare, ad affascinare Pietro è una figura femminile dai contorni dubbi. Si tratta di una «fatua sgualdrinella» che tira a campare vendendosi a chi offre di più nell’annus horribilis 1944? Oppure di una intrepida Mata Hari partigiana pronta al martirio per la causa? O ancora di un remake di Cenerentola al tempo di Salò?
Un pot-pourri di misteri
Tra vecchie faide di paese, antiche e oscure leggende della zona, romantici capitani delle SS con il mito del giovane Werther, un Don Abbondio locale che porta il cilicio (quel ramo del lago d’Iseo), mostri tipo Lochness, attacchi di sommergibili per una Pearl Harbor newyorkese, il romanzone di De Michelis assume il profumo amaro di un pot-pourri di misteri macerati dal tempo e dall’odio. E addirittura esorbita dalle pagine per trasformarsi in un sorta di Cluedo. Accade quando Pietro scopre lo scrigno in cui Emilio Ercoli, «il più ricco e di successo tra gli abitanti di Montisola», custodiva i ricordi della sua vita e gli oggetti di quel museo personale paiono materializzarsi, quasi animarsi in un puzzle, per raccontare come sono andati i fatti: «Il coltello a serramanico regalato da Nevio, il rocchetto di filo di nylon, i certificati della Decima MAS e del CLNAI, le mutande di Luce, l’orologio di Greim, la banconota da mille lire, gli occhialetti del padrone del retificio…».
Romanzo mirabolante (non segue dibattito) e Jacopo De Michelis deve essersene reso conto perché alla fine della storia spunta un produttore cinematografico interessato a trarne un kolossal internazionale «e per la parte del giovane reporter vedrebbe bene Kyle MacLachlan, il protagonista di Twin Peaks». La notizia la dà l’indomita Lea Falchi (e chi sarebbe l’attrice giusta per interpretare lei?), e sento che potrebbe rivelarsi una profezia che si avvera.
P.S. All’eventuale sceneggiatore segnalo la frase più bella del romanzo. Si trova a pagina 341 e dice: «È forse chiedere troppo a un cunnilingus, per quanto eseguito con encomiabile dedizione».
La montagna nel lago (Giunti 2024, pp. 576, euro 19) è un libro di Jacopo De Michelis
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