I gruppi su Whatsapp dei docenti sono come fiocchi di neve: non ce n’è una uguale all’altra. Ma possiamo provare a individuare alcune macrotendenze. Si può finire in quelle freudiane, quelle beckettiane, quelle espressioniste
Non è vero che i docenti sono preparati a tutto. Non è vero che conoscono ogni insidia dell’apprendimento. Non è vero che i corsi di formazione e aggiornamento li forgiano per (tentare di) affrontare e superare gli ostacoli sulla strada dell’istruzione pubblica.
C’è qualcosa che tutti sanno ma di cui nessuno menziona i pericoli.
Qualcosa che esiste, che non dorme mai, che è in agguato e non lascia scampo perché nessun luogo è abbastanza lontano dalla sua forza d’attrazione.
Un’arena virtuale e tentacolare: le chat dei professori.
Le chat dei professori sono come i fiocchi di neve: non ce n’è una uguale all’altra. Si può, tuttavia, provare a individuare qualche macrotendenza in questo nuovo e immaginifico genere letterario.
Le chat freudiane
Il consiglio di classe è composto prevalentemente da colleghe e colleghi che inviano gif e meme con orsacchiotti che tengono tra le zampe una tazza di caffè fumante e che ti guardano con occhi dolci e un po’ assonnati. Spesso l’immagine è associata a un «Buongiorno». I più audaci mandano immagini con baci e cuori.
Le fondamentali comunicazioni che intercorrono in questa tipologia di chat iniziano intorno alle sei del mattino e, nell’arco della giornata, si trasformano magicamente in link che rimandano a notizie eclatanti: pioggia di rane, invasione di cavallette, una nota disciplinare qua e là, circolari già comparse da giorni sul sito della scuola, la morte del vicino di casa, lo sciopero dei mezzi pubblici.
Qualcuno, ogni tanto, chiede informazioni su un consiglio di classe che è stato rimandato. Verso le otto di sera iniziano le gif e i meme della buonanotte. I più colti mandano vignette dei Peanuts. La frase più ricorrente è «Sogni d’oro». Noi docenti sappiamo che è importante sognare bene per affrontare la vita scolastica. Sappiamo che il rimosso rischia di tornare. To die, to sleep, perchance to dream. Noi docenti sappiamo di essere tutti Amleto. In questa tipologia di chat, tuttavia, ci sono anche contatti silenziosi e invisibili.
Le chat espressioniste
In questa macrocategoria rientrano i consigli di classe in cui i docenti, virtualmente evoluti, invece di scrivere, mandano messaggi vocali la cui lunghezza varia, a spanne, dai trenta secondi ai cinque minuti e mezzo. Alcuni, quando la gravità lo richiede, sfiorano i dieci minuti (e non solo per dire quanto sono felici): si tratta, a tutti gli effetti, di un sequestro di persona.
Nei messaggi si discute sempre di questioni fondamentali: chi fa i corsi di recupero, quanto ci si mette ad arrivare a scuola se si vive fuori Roma, i corsi di tango, le feste di pensionamento, il diritto alla disconnessione (per chi ci legge: il diritto a non collegarsi e a non rispondere né a mail, né a telefono, né a comunicazioni Whatsapp dopo le sei del pomeriggio e durante il fine settimana).
Sono messaggi che vengono inviati quasi sempre verso le otto di sera e, se trovano terreno fertile, la discussione rischia di andare avanti anche fino alle undici. Noi docenti sappiamo che è importante esprimersi, hic et nunc. In questa tipologia di chat, tuttavia, ci sono anche contatti silenziosi e invisibili.
Le chat beckettiane
Sono messaggi che toccano le vette della letteratura alta. I componenti di questa tipologia di chat hanno perfezionato, negli anni, l’arte del nonsense. C’è chi chiede se la studentessa X è rientrata in classe due ore dopo averle dato il permesso di andare in bagno. C’è chi continua a chiamare Graziella la rappresentante di classe che invece si chiama Mariella.
C’è chi scrive quattro volte «a che ora è oggi il consiglio di classe straordinario?» malgrado abbia avuto risposta già dalla prima domanda. C’è chi chiede «Io non sono d’accordo con il pdp di Y» e chi risponde «Oggi non ci sono i colloqui».
Chi dichiara: «Secondo me Z è depresso» e chi replica: «Alle undici c’è orientamento in Aula Magna». In tutto ciò, Godot non arriva ma Beckett è molto fiero di noi. «Non posso continuare, e allora continuerò». Noi docenti sappiamo che la parola è stata svuotata di significato. Noi docenti sappiamo di essere Vladimir ed Estragon. In questa chat, tuttavia, ci sono anche contatti silenziosi e invisibili.
Le chat joyciane/woolfiane
I continui spostamenti di punti di vista, i chilometrici monologhi interiori, la creazione di una lingua nuova, le epifanie improvvise caratterizzano questo agone letterario in cui ciascun componente fa parte di una coscienza collettiva e condivisa.
Sono chat equivalenti a un prisma che riflette le diverse anime di un’unica persona. In generale, i membri di questo gruppo vanno abbastanza d’accordo, ogni tanto gli scappa anche qualche battuta di spirito. Alcuni invidiano un po’ le chat freudiane o beckettiane, vorrebbero poter ignorare le comunicazioni virtuali con più leggerezza.
Nessuno, però, desidera far parte delle chat espressioniste. Anche nelle chat joyciane/woolfiane, tuttavia, ci sono contatti silenziosi e invisibili.
Le chat inesistenti
Si tratta di un fenomeno meno raro di quanto si creda e si verifica quando chi coordina la classe è refrattario a dare il proprio numero di telefono a colleghe e colleghi, oltre a essere ontologicamente contrario ai gruppi Whatsapp.
Questa anomalia può provocare alopecia, fauci riarse, psoriasi, crisi di panico e di astinenza soprattutto in chi, per vocazione, ambiva a far parte di un consiglio di classe freudiano/espressionista.
Anche nelle chat inesistenti, tuttavia, ci sono contatti silenziosi e invisibili.
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