Un viaggio lungo mille anni. Nato da un incontro casuale, una fusione, accaduto quando a Venezia venivano posate le prime pietre dell’attuale Basilica di San Marco; proseguito per secoli, apparentemente senza meta, nello spazio profondo.

Bastava un battito di ciglia, lo sguardo rivolto altrove per inseguire il verso di un uccello insonne e quell’itinerario sarebbe terminato – come tanti altri simili - sulla palpebra, nell’erba, magari negli occhi di un gatto di passaggio. Chissà se quel gatto ci avrebbe fatto caso; di certo non avrebbe pensato «La Via Lattea più incredibile di sempre. Una striscia bianca. Mai viste tante stelle».

Invece quel raggio di luce, quel pacchettino di fotoni, si è posato negli occhi di chi, sotto la Via Lattea che si stagliava contro la notte buia, ha cristallizzato in quelle poche parole uno stupore antico quanto l’umanità, ma che ogni volta si rinnova e toglie il fiato. Una persona amica ha condiviso con me via Whatsapp quell’emozione, palpabile pur nella sintesi scritta di un breve messaggio, ispirandomi una riflessione sulla lavagna dipinta di luci che abbiamo sopra le nostre teste.

Illuminazione artificiale

La meraviglia dell’osservare un cielo stellato in luoghi remoti e bui è un’esperienza rara nel nostro mondo sempre più urbanizzato. Secondo la Banca Mondiale, il 56 per cento della popolazione del pianeta vive in città, una frazione che in Europa sfiora il 75 per cento. Tre quarti degli europei quando si affaccia alle finestre o passeggia attorno a casa difficilmente ormai riesce a scorgere le stelle, tanta è l’illuminazione artificiale. Ancor più raramente distingue la nostra galassia, la Via Lattea, un disco di stelle fatto a spirale.

La Terra si trova lungo uno dei bracci della spirale, a circa metà strada dal centro. Dal punto di vista di noi umani, la Via Lattea appare come una debole banda di luce lattiginosa che attraversa il cielo, che di fatto rappresenta il disco centrale della galassia visto di profilo. Essa comprende circa cento miliardi di stelle e il nostro sistema solare si trova più o meno in periferia, a mezza strada tra il centro e il bordo della galassia. Con buona pace di chi, sulla terra, pensa che un luogo o un pensiero possa essere il centro del mondo.

Se vi potete ancora godere qualche momento libero in quest’ultimo scorcio d’estate – approfittando pure del periodo attorno alla luna nuova del 3 settembre – cercate un luogo buio e fermatevi a guardare le stelle. In condizioni ideali di oscurità, a occhio nudo si può distinguere nella volta celeste solo circa un migliaio di stelle, ma non è il numero che conta, quanto l’insieme e ciò che esse rappresentano.

Uno spettacolo emozionante non solo per la sua bellezza, ma anche perché è una finestra aperta sull’universo e sulle sue origini, una lavagna dove le stelle disegnano storie che raccontano delle principali leggi fisiche, dalla relatività alla meccanica quantistica, dalla fisica nucleare all’elettromagnetismo. Una lavagna – il cielo notturno – che dimostra come le meraviglie della scienza possano e debbano essere accessibili a ogni persona curiosa, e non solo a una ristretta cerchia di addetti ai lavori, come la conoscenza possa trovare infinite strade per essere condivisa.

Secondo gli astronomi una parte della Via Lattea si è formata circa tredici miliardi di anni fa, poco dopo il Big Bang. Di esso rimane una tenue eco nel fondo di radiazione cosmica di microonde, generato a ridosso, che ha viaggiato per oltre tredici miliardi di anni. Fu rivelato da Penzias e Wilson nel 1965 – vinsero il Nobel per questa scoperta – e rappresenta una sorta di istantanea di come era l’universo appena nato. 

La luce delle stelle che vediamo da un prato buio magari non è così vecchia, ma sicuramente ci espone a una delle rivoluzioni introdotte dalla teoria della relatività di Albert Einstein; il fisico tedesco capì che la luce viaggia sì a una velocità elevata – 300.000 chilometri al secondo nel vuoto, la massima raggiungibile nell’universo – ma pur sempre non infinita. E quindi se per arrivare dal lampadario ai nostri occhi il tempo è brevissimo, tanto che ai fini pratici possiamo considerare il fenomeno istantaneo, già la luce che viene dal sole impiega 8 minuti, mentre quella che arriva dalla stella più vicina alla terra, Proxima Centauri, circa 4 anni.

E da altre stelle molti di più. L’immagine della stella che magari stasera, in un giorno di agosto del 2024, si imprime nei nostri occhi non è quella di adesso, ma di quando l’ha prodotta una reazione di fusione nucleare, peraltro lo stesso processo che sulla terra studiamo per dare un contributo fondamentale a un futuro energetico sostenibile. Un istante che è indietro nel tempo, di tanto quanto è stato necessario alla luce per percorrere la strada dalla stella ai nostri occhi.

Macchine del tempo

Noi oggi vediamo le stelle come erano nel passato, un passato differente per ciascuna di loro, perché ognuna è a una distanza diversa. È come se avessi di fronte la mia mamma novantenne, ma i miei occhi la vedessero com’era quando era una ragazzina. Le stelle, e la relatività di Einstein, sono delle straordinarie macchine del tempo: quando non ci saremo più, le nostre figlie e i nostri figli guarderanno le stelle e da alcune di esse vedranno una luce emessa o che stava viaggiando quando noi eravamo ancora lì con loro.

Da sempre l’umanità ha osservato il cielo per conoscere e tanta fisica fondamentale è nata proprio alzando gli occhi; ecco qualche esempio.

Nel 1610 Galileo Galilei decise di puntare verso l’alto il suo primo cannocchiale – frutto anche della maestria dei vetrai di Murano – e scoprì i quattro satelliti medicei di Giove, un’osservazione che rappresentò un pilastro per la conferma della teoria copernicana e la moderna astronomia.

Fu durante un’eclissi totale che Stanley Eddington, nel 1919, misurò la posizione apparente di stelle vicino al sole e diede la prima conferma sperimentale della teoria della relatività generale.

Dall’Osservatorio astronomico del Monte Wilson, in California, Edwin Hubble ottenne i primi dati che confermavano l’espansione dell’universo.

Lo spazio è una miniera di informazioni per la scienza. È notizia di queste settimane l’installazione dello specchio secondario dell’Osservatorio, in costruzione in Cile, intitolato all’astronoma americana Vera Cooper Rubin. È un pezzo unico di vetro di tre metri e mezzo di diametro che, insieme allo specchio primario da 8,4 metri e alla fotocamera digitale da 3.2 gigapixel sarà il cuore di un telescopio riflettore che realizzerà una campagna osservativa fotografando durante dieci anni l'intera volta celeste notturna visibile dal settentrione del Cile.

Ciò fornirà dettagliatissime informazioni del cielo notturno non soltanto nello spazio, ma anche nel tempo. Il telescopio costruirà un’immagine dell’intero cielo visibile ogni 3-4 notti. Questo progetto, cui partecipa anche il nostro Istituto Nazionale di Astrofisica, consentirà di indagare alcune tra i più importanti problemi sulla struttura e l’evoluzione dell’universo e degli oggetti che lo compongono. Gli scienziati studieranno la materia e l’energia oscura; costruiranno una mappa precisa della Via Lattea e un catalogo dettagliato del sistema solare; identificheranno processi rapidamente variabili nel tempo, come le dinamiche di supernove e stelle di neutroni.

Come tanta letteratura e scienza ci mostrano, ogni lingua comunica le emozioni e la sapienza contenute in un cielo stellato: quanto l’umanità sia piccola e grande cosa insieme, nulla rispetto anche solo alle dimensioni della nostra galassia, ma allo stesso tempo capace di esplorare fino alle origini dell’universo; quanta preziosa diversità ci sia nel cosmo e sulla terra, e quanto sia inutile e sciocco pensare di negarla in nome di improbabili omologazioni; quanto il tempo di una vita sia un’inezia su scala astronomica, ma unico e irripetibile nel suo qui e ora; quanto un incontro casuale, sia quello con l’eco del Big Bang o con la luce della Via Lattea o quello tra i percorsi di persone che d’un tratto si incrociano, possa cambiare le storie delle vite.

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