Dando uno sguardo alla lista di nomi per le onorificenze quirinalizie pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, troviamo quello di Diana Di Segni, a cui è stato concesso il prestigioso titolo di Cavaliere al merito. È, anzitutto, un riconoscimento alla studiosa, ricercatrice nel Dipartimento di Filosofia dell’università degli Studi di Milano con grande esperienza internazionale, fra Italia, Germania, Francia e Israele, dove ha approfondito i suoi interessi per la filosofia ebraica medievale.

Studi che hanno portato, tra il 2019 e il 2023, alla curatela, per la Casa editrice Peeters di Lovanio, di due volumi, al confine fra filologia e filosofia, sulla Guida dei perplessi, principale testo di Moshè ben Maimon (Mosè figlio di Maimon), noto con l’abbreviativo Maimonide, dai più, considerato la più grande figura del medioevo ebraico. Tanto da esistere un detto, «Mi Moshè ad Moshè ahyà KeMoshè», da Mosè, quello originale, a Mosè, appunto il Maimonide, non c’è stato che Mosè. Un lavoro che già valse a Di Segni l’assegnazione del Premio internazionale Thomas Ricklin nell’anno appena trascorso.

Avendo conosciuto personalmente Di Segni, posso solo confermare la bontà dell’assegnazione dell’onorificenza, non foss’altro per la severità con cui la studiosa giudica sé stessa. Qualità che, ma sarà una mia tendenza superegoica, se può essere faticosa da sopportare sul piano personale, su quello della ricerca scientifica garantisce standard molto alti, come sono appunto i due volumi appena ricordati.

Il Quirinale, però, non è un ente accademico. È dunque facile intuire, anche se io non sono a conoscenza delle motivazioni ufficiali, che la commissione che ha optato per conferire l’onorificenza sia stata stimolata dal carattere interculturale della ricerca. Scritta originariamente in arabo alla fine del XII secolo (Maimonide ha vissuto in un contesto musulmano) e tradotta in ebraico da Shmuel Ibn Tibbon nel 1204, l’opera è, come dice Andreas Speer nella prefazione al secondo volume, «un esempio eccezionale del movimento di traduzione dall'arabo all’ebraico al latino nei secoli XII e XIII».

Sì, perché La Guida ha anche profondamente influenzato il contesto latino-cristiano, dove comincia a circolare in varie versioni ridotte già a partire dal XIII secolo, influenzando l’opera di autori come Tommaso d’Aquino. Fino a trovare una definitiva traduzione nell’edizione di Agostino Giustiniani del 1520. Al di là del carattere specialistico del lavoro, con cui si confronteranno sia questa che le generazioni successive di studiosi e studiose, ciò che interessa un occhio più generalista come il mio è il carattere interculturale del lavoro, dove convergono pensiero ebraico, islamico, cristiano e anche filosofico, essendo tutto il lavoro del Maimonide, così come quello dei pensatori musulmani contemporanei e di Tommaso d’Aquino, all’ombra di Aristotele.

Una dimostrazione anche della traducibilità del pensiero da una lingua all’altra, tema quanto mai attuale e rivendicato da tutto un mondo post-coloniale che rifiuta la tesi eurocentrica della possibilità di fare filosofia solo nelle lingue occidentali. Come se l’Occidente fosse il luogo della razionalità e il resto del mondo cupa superstizione. Quando, nel secolo scorso, si è cominciato a dire che si poteva fare filosofia solo in tedesco, le cose non sono poi finite troppo bene. Aggiungo che il lavoro di Di Segni è anche una testimonianza di un ebraismo che non teme il confronto con le altre culture.

Il Maimonide è il grande codificatore della legge ebraica ed è, a tutt’oggi, un imprescindibile riferimento normativo per lo stesso mondo rabbinico. Se una figura così centrale della storia ebraica ha subito ed esercitato influenze dalle e sulle culture a lui vicine, significa proprio che il dialogo non è una minaccia identitaria. In un momento in cui l’ebraismo, per i noti motivi, è ancora una volta rappresentato come identità chiusa e indifferente alle sorti degli altri, questo premio assume un significato particolare.

Mi piace pensare che non sia casuale che questo premio sia stato conferito da quello stesso presidente che inaugurò la sua avventura quirinalizia deponendo una corona di fiori alle Fosse ardeatine.

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