Oltre cento registi e personalità del cinema del paese hanno firmato una petizione in sostegno del documentario dopo l’attacco del ministro della Cultura Miki Zohar che lo ha bollato come una forma di «sabotaggio contro lo Stato di Israele» Il film non ha una distribuzione ed è visibile solo sul sito del giornale di sinistra Sicha Mekomit
Oltre cento registi e personalità del mondo del cinema israeliano hanno firmato una petizione in sostegno del documentario No Other Land dopo l’attacco frontale del ministro della Cultura Miki Zohar che lo ha bollato come una forma di «sabotaggio contro lo Stato di Israele».
Il film, una collaborazione fra i palestinesi Basel Adra e Hamdan Ballal e gli israeliani Yuval Abraham e Rachel Szor, ha vinto l’Oscar come miglior documentario raccontando la triste vicenda di un villaggio palestinese in Cisgiordania costantemente sottoposto agli ordini di demolizione israeliani.
Malgrado in passato sia capitato soltanto due volte che artisti israeliani si aggiudicassero un Oscar, la notizia è stata relegata nei titoli conclusivi dei telegiornali locali e non ha raccolto il plauso di rappresentanti istituzionali. Nell’attuale clima di nazionalismo il documentario, inoltre, non trova spazio per proiezioni pubbliche nel Paese.
«Siamo solidali con i creatori e ci opponiamo ai tentativi di silenziare [il documentario] e di istigare [contro gli autori] del ministro della cultura e di altre personalità», hanno scritto i firmatari della petizione. «Si tratta di tendenze pericolose, continue e profonde, che riflettono un ulteriore deterioramento della libertà creativa nel Paese».
Fra i promotori più noti ci sono Ari Folman, regista del film Valzer con Bashir sui massacri di Sabra e Shatila in Libano; Shira Geffen, attrice e regista oltre che moglie dello scrittore Etgar Keret; il regista Nadav Lapid e l’attrice di origini marocchine Hanna Azoulay.
Tradizione critica
Israele ha una solida tradizione di documentari critici dell’occupazione della Cisgiordania. Fra gli altri Five broken cameras, sulle proteste nel villaggio palestinese di Bil'in, The law in these lands, sul doppio binario legale che discrimina israeliani e palestinesi in West Bank, e il più recente H2 occupation lab su Hebron, l’unico luogo in cui i coloni israeliani vivono in un centro abitato palestinese.
In passato questo tipo di prodotti trovavano spazio presso centri culturali come le Cinematheque di Tel Aviv e Gerusalemme, o presso festival come “Docaviv”, nella città costiera. Ma il governo più di destra del paese si è espressamente opposto alla distribuzione di opere che mettano in cattiva luce lo stato ebraico, tanto più all’indomani dell’inizio della guerra.
Ecco allora che gli autori di No Other Land non hanno neppure tentato di percorrere la strada della distribuzione tradizionale. Per rendere il documentario il più possibile accessibile hanno deciso di pubblicarlo online, sul sito del giornale di sinistra Sicha Mekomit, per gli utenti geolocalizzati in Israele-Palestina.
Le proiezioni pubbliche invece si contano sulle dita di una mano e sono state proposte in sordina, per non creare polemiche, da istituzioni private. Alla biglietteria della Cinematheque di Tel Aviv, alla domanda se pensino un giorno di proiettarlo, l’impiegato risponde con un sorriso fra l’ironico e l’imbarazzato: «Sicuramente non in tempi brevi».
No Other Land è stato realizzato senza finanziamenti pubblici israeliani e solo in seconda battuta ha ottenuto contributi alla produzione da donatori norvegesi. Malgrado ciò la dichiarazione contro il film del ministro Zohar ha citato i suoi sforzi per impedire l’uso di soldi pubblici per realizzare opere critiche di Israele.
«La libertà di espressione è un valore importante, ma diffamare Israele per affermarsi sul piano internazionale non è arte», ha dichiarato Zohar, «per questo ho passato una riforma per assicurarmi che i soldi dei contribuenti vengano destinati a opere apprezzabili dal pubblico israeliano, non a un’industria che si afferma infangando Israele sul palcoscenico globale».
Idit Avrahami, autrice di H2 occupation lab insieme a Noam Sheizaf, ha vissuto in maniera diretta questa transizione. Il suo documentario è uscito circa sei mesi prima l’insediamento dell’ultimo governo Netanyahu a fine 2022. Aveva ricevuto finanziamenti pubblici israeliani e goduto di una normale distribuzione.
Dopo la nomina alla cultura Zohar, un politico privo di background in ambiti culturali ma fedelissimo a Bibi Netanyahu, è subito intervenuto per bloccare le proiezioni pubbliche del documentario. Si è poi spinto fino a reclamare per vie legali ex post i contributi statali erogati per la sua produzione.
Avrahami ricorda come tutto fosse partito da una segnalazione di Shai Glick, un attivista di ultradestra che lavora instancabilmente per censurare materiali culturali critici di Israele e segnalarli alle autorità. L’associazionismo di ultradestra ha spesso trovato sponde benevole per collaborare in vari campi con questo governo.
«Questo fenomeno esisteva già quando Miri Regev era ministra della cultura, nel precedente governo Netanyahu», ha detto Avrahami, «Ma Zohar lo ha portato a un livello completamente diverso». Secondo Noa Pinto, responsabile in Israele della diffusione di No Other Land presso la piattaforma Sicha Mekomit, questa trasformazione va inserita in un contesto più ampio.
«Credo che il discorso pubblico sia cambiato nel corso dell’ultimo anno», ha detto. «Quello della distribuzione dei film è solo un esempio della pericolosa trasformazione che sta avvenendo nella società israeliana».
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