Vladimir Putin, si legge da varie parti, è diventato folle. Perlomeno, c’è la possibilità che soffra di turbe mentali. Certo chi vede oggi il suo volto gonfio, i suoi occhi che sembrano fissi o invasati, e assiste con stupore misto a inquietudine alle sue minacce ed esplosioni d’ira, potrebbe sospettarlo, se lo paragona all’uomo freddo e razionale, indubbiamente di grande intelligenza, che siamo stati abituati a conoscere.

Naturalmente, bisognerebbe in proposito consultare uno degli psichiatri del Cremlino per sapere se questa notizia ha qualche fondamento, ma non credo che sarebbe molto salutare.

Nel 1927 uno dei più autorevoli psichiatri mondiali, Vladimir Bektherev, si azzardò a pronunciare la diagnosi di paranoia nei confronti di Stalin e poche ore dopo fu trovato morto, ufficialmente “per disturbi gastrici”, cioè avvelenato - cosa che tra l’altro conferma la bontà della sua diagnosi.

La follia del tiranno

Il fatto che un dittatore soffra di una sindrome paranoica non implica che non sia in grado di perseguire i suoi fini, perché è anzi proprio il suo disturbo mentale che lo mette in grado di proiettare nell’azione le sue visioni megalomani e patologiche. 

Hitler di sicuro era un paranoico, come altri tiranni della storia, quali Ivan il terribile o Caligola (loro sì folli riconosciuti come tali);  ma quella del tiranno, se follia è, è un tipo di follia particolare.

È una forma suprema di crudeltà e alienazione, in cui null’altro conta se non la solipsistica volontà di dominio, alla quale tutto il resto è subordinato. Non è “la banalità del male” di cui parlava Hannah Arendt a proposito di uno squallido criminale come Adolf Eichmann: è una follia capace di soggiogare milioni di uomini sotto una sola sanguinaria volontà, di circondarsi di individui altrettanto folli o scellerati, instillando terrore nelle persone più coraggiose.

La cerchia

La mediocrità non appartiene al tiranno: piuttosto, la sua è una visionaria volontà di potenza che si proietta su orizzonti grandiosi. In più, un tiranno è contagioso perché tende a rendere tali i suoi complici: e, se vogliamo credere a Platone, i germi della tirannide, ossia un misto di ferocia e violenza, giacciono sepolti da qualche parte nella zona più buia dell’anima di ogni essere umano, da dove possono attivarsi.

Guardiamo appunto la cerchia di Hitler: un gruppo di criminali a cui la follia del capo faceva da moltiplicatore. Il tiranno per sua natura si circonda dei peggiori e dei più viscidi: e tiranni si può essere in scala mondiale o anche in scala piccola o addirittura microscopica, ovunque ci sia un’ombra di potere da esercitare.

Odiare i propri cittadini

Le prime parole sulla psicopatologia del tiranno ci vengono da Erodoto, nel passo del terzo libro in cui paragona tra loro le varie forme di costituzione: un tiranno, dice, è l’espressione di un paradosso perché dovrebbe essere felice, dato che gli è concesso tutto, e invece germoglia in lui l’odio verso i suoi cittadini: invidia i migliori, sinché sono ancora in vita, sta bene con i peggiori ed è perfetto nell’accogliere calunnie, dato che la sospettosità e la crudeltà sono suoi aspetti fondamentali e alimentano progressivamente l’ondata di male che diffonde attorno a sé, ma prima di tutto dentro di sé.

Così, finisce per odiare i suoi cittadini; Putin difatti afferma che ucraini e russi sono lo stesso popolo, ma poi bombarda questo popolo. Nulla si dice attorno al tiranno se non quello che si pensa possa piacergli, non lo si contraddice mai: è la legge della sopravvivenza che chiunque circolasse nel bunker di Hitler o tra i corridoi del Cremlino al tempo di Stalin doveva imparare a conoscere.

Attorno a Putin, oggi, circolano vecchi amici o compagni dei servizi segreti: cioè comunisti senza comunismo, il cui progetto non è rivolto verso la società, ma verso lo yacht più lussuoso.

Il tiranno greco

I primi che esaminarono la natura del tiranno si chiesero: il tiranno è, per sua intrinseca natura, una persona mentalmente disturbata? Oppure lo diventa a mano a mano che sale i gradini del potere assoluto e si allontana quindi dall’umanità in quanto tale? 

La parola tiranno viene, come tutti sappiamo, dal greco (anche se non è una parola greca); la tirannide greca fu però un fenomeno storicamente definito, ma come non di rado accade nella nostra cultura, i Greci ebbero il potere di sviluppare un’astrazione, se non anche una categoria dell’essere.

A partire dall’epoca in cui si andò affermando la democrazia ateniese, sul finire del VI secolo a.C., il tiranno oppressore dei cittadini era visto con orrore, come simbolo di tutto ciò che c’è di nefasto al mondo.

Per gli Ateniesi  lo spettro del tiranno era un’ossessione; tante volte è ritratto nella tragedia, come simbolo del male, ed era quindi per la mentalità collettiva il peggior tipo d’uomo che possa esistere sulla terra (tranne per coloro che, di nascosto, ordivano congiure per rovesciare la democrazia).

Forme dell’anima

Queste idee erano generalmente condivise da chi era cresciuto nell’Atene democratica del V secolo. I detrattori della democrazia ateniese sono ben pronti anche oggi a vederne i limiti; resta il fatto che i princìpi su cui si basava, cioè isegorìa (diritto per tutti di parlare) e isonomia (perfetta uguaglianza davanti alle leggi) difficilmente si potrebbero trovare ora, venticinque secoli dopo, nei regimi totalitari. Per citare una frase di Churchill: la democrazia è la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre che sono state sperimentate sinora. 

La teoria politica di Platone (formulata in modo particolare nella Repubblica) stabilisce un parallelismo tra la natura dell’anima e quella della società. Giustizia e ingiustizia nello stato sono scritte in caratteri più grandi che nell’anima dell’uomo, ma rimangono le stesse: «cinque sono le forme di governo, dice, e cinque quelle dell’anima». 

Miseria morale

All’ultima e peggiore di queste forme di governo, che è la tirannide, corrisponde la peggiore forma di degradazione dell’anima, quella che produce l’uomo tirannico il quale, prima ancora che un criminale, è un individuo «a cui fa scorta la follia», e non può essere altro che un alienato.

L’uomo democratico non può essere tirannico: non perché i germi del dispotismo non alberghino nella sua anima, ma perché c’è qualcosa che in qualche modo impedisce ad essi di prendere il sopravvento, ed è appunto la costituzione democratica in cui vive, oltre che l’educazione dell’anima che si esercita a conoscere e a soffocare questi germi.

Il vero tiranno, continua Platone, è un essere che tocca i peggiori vertici di miseria morale, e in fondo finisce per essere un poveraccio, e per di più pieno di paura e di angosce, infido, crudele, senza amici. Il risultato è che sprofonda ogni giorno di più nell’abiezione e rende uguale a sé chi gli sta accanto.

Un’unica ossessione

Un tiranno, quindi, oltre che il peggiore dei pazzi, è il peggiore degli infelici, poiché le componenti più alte dell’anima sono soggiogate da quella più crudele e folle, che esercita sulle altre lo stesso potere che un padrone ha sugli schiavi.

È a poco a poco che un uomo perde il contatto con la parte migliore di sé, quando consente che la ragione con cui si discerne il bene e il male si indebolisca, e le passioni, in particolare quelle che alimentano la sua brama di potere, prendano ad ampliarsi sino a diventare un’unica, divorante ossessione.

Parole di un antico pensatore, che mantengono la loro validità; e c’è da credere che se Platone e Aristotele anziché nell’imperfetta democrazia ateniese fossero vissuti all’epoca dei totalitarismi contemporanei la loro destinazione finale sarebbe stato un Gulag o un Lager.  

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