Pubblicata la nuova enciclica di papa Francesco, “Dilexit nos”, “ci ha amati”, dedicata al tema dell’amore di Dio. Bergoglio descrive un mondo incapace di uscire dall’autoreferenzialità individuale, dagli egoismi e dalle guerre perché incapace di amare. E riscopre la devozione per il sacro cuore di Gesù
“Dilexit nos”, “ci ha amati”, è il titolo di questa quarta enciclica di papa Francesco (in realtà la terza se si considera che la prima era stata scritta in buona parte da Benedetto XVI il quale ne consegnò poi il testo al successore affinché la completasse e la pubblicasse), e potrebbe anche intitolarsi, visto il contenuto, “ci ama ancora?”.
Sì, perché quello descritto da Bergoglio è un mondo dominato dall’individualismo, dai conflitti, dal narcisismo o anche da concetti filosofici importanti, quali ragione, volontà, libertà, ma che, senza l’amore dato da Dio, diventano vuoti e aridi e contribuiscono, di fatto, alla deriva di un mondo dominato da appetiti egoistici.
Dunque, l’invito del pontefice, fin dal principio, è quello di riscoprire l’amore come dato essenziale delle relazioni umane, capace di farci immedesimare nell’altro.
«Per esprimere l’amore di Gesù – scrive infatti Francesco all’inizio dell’enciclica – si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore».
E poco dopo aggiunge: «Molti si sono sentiti sicuri nell’ambito più controllabile dell’intelligenza e della volontà per costruire i loro sistemi di pensiero. E non trovando un posto per il cuore, distinto dalle facoltà e dalle passioni umane considerate separatamente le une dalle altre, non è stata sviluppata ampiamente nemmeno l’idea di un centro personale in cui l’unica realtà che può unificare tutto è, in definitiva, l’amore».
La modernità fa paura
Si rimane a lungo incerti, leggendo l’enciclica, se ci si trovi di fronte a una semplificazione eccesiva dei temi sollevati, o se, al contrario, se la semplicità è solo un modo per esprimere concetti più articolati in modo comprensibile.
Detto questo, il testo riassume molte delle idee di Francesco, tuttavia con una evidente nota di nostalgia e pessimismo in più rispetto al suo precedente magistero. Quello che emerge, ancora una volta, è il timore verso una modernità che è vista in modo negativo nel suo complesso, capace sì di produrre l’intelligenza artificiale ma incapace di dare vita a comportamenti ispirati all’amore e al gesto solidale.
In tal modo, il pontefice si ricollega a un filone di pensiero conservatore del cattolicesimo che vede nei progressi scientifici e tecnologici essenzialmente un fattore di disumanizzazione, perché, e qui sta il nodo irrisolto della questione, hanno contribuito ad allontanare l’uomo da Dio.
Il tutto è condito da una vena nostalgica, dal sentimento della perdita per quello che, in definitiva, viene considerato il buon vecchio mondo antico. Scrive Bergoglio: «Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta».
«Penso – prosegue Francesco cavalcando l’onda della memoria – all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro. Come questo della forchetta, potrei citare migliaia di piccoli dettagli che compongono le biografie di tutti: far sbocciare sorrisi con una battuta, tracciare un disegno al controluce di una finestra, giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita. Tutti questi piccoli dettagli, l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi. Perché la forchetta, le battute, la finestra, la palla, la scatola di scarpe, il libro, l’uccellino, il fiore... si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore».
C’è da chiedersi cosa c’entri l’intelligenza artificiale con i panzerotti della nonna, soprattutto alla luce di riflessioni più approfondite sul tema potate avanti dal Vaticano e dallo stesso pontefice nei mesi passati, in cui anche l’intelligenza artificiale veniva passata al setaccio dei pro e dei contro, delle promesse positive insite nella sua applicazione e nei rischi che pure ne derivavano.
Guerre e interessi di parte
Francesco, dicevamo, non rinuncia ad alcuni elementi classici del suo magistero, come il rifiuto della guerra, e risultano questi, in fondo, i momenti migliori del testo: «Vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore».
«Basta guardare e ascoltare le donne anziane – delle varie parti in conflitto – che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. È straziante vederle piangere i nipoti uccisi – osserva il papa – o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto. Esse, che tante volte sono state modelli di forza e resistenza nel corso di vite difficili e sacrificate, ora che arrivano all’ultima tappa della loro esistenza non ricevono una meritata pace, ma angoscia, paura e indignazione. Scaricare la colpa sugli altri non risolve questo dramma vergognoso. Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore».
Ma subito dopo si torna alla riflessione che caratterizza in modo pressoché esclusivo l’intera enciclica: «Quando ognuno riflette, cerca, medita sul proprio essere e sulla propria identità, o analizza le questioni più alte; quando pensa al senso della propria vita e pure se cerca Dio, quand’anche provasse il gusto di aver intravisto qualcosa della verità, tutto ciò esige di trovare il suo culmine nell’amore. Amando, una persona sente di sapere perché e a che scopo vive».
In tal senso «tutto confluisce in uno stato di connessione e di armonia. Pertanto, di fronte al proprio mistero personale, forse la domanda più decisiva che ognuno si può porre è questa: ho un cuore?».
Un devozionismo ambiguo
Il papa, infine, con questa enciclica, va a risollevare un devozionismo, quello del sacro cuore di Gesù (sviluppatosi alla fine del ‘600), che è stato appannaggio della Chiesa più tradizionalista e antimoderna; è anche vero che prova a reinterpretarlo spogliandolo delle scorie più politicamente compromettenti (si pensi per esempio, alla Chiesa del sacro cuore nella capitale francese, la cui edificazione nacque come una sorta di gesto di “riparazione” dopo la Comune di Parigi) che non vengono nemmeno citate, e fondandolo su una lettura biblica che arriva fino a Charles de Foucauld, ma certo la contraddizione non può essere rimossa tanto facilmente.
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