D'accordo che siamo onnivori, e che quindi mangiamo di tutto. Ma almeno il cibo disgustoso dovremmo lasciarlo perdere. E invece, paradossalmente, esiste un «disgustoso che piace». Piatti che dovrebbero respingerci per gli ingredienti-base che contengono o per il loro aspetto esteriore in realtà finiscono per esercitare su di noi un fascino che a volte supera quello di pietanze studiate nei minimi dettagli da famosi chef o di cibi di gran successo da secoli in tutto il mondo.

A cercare di far luce sul «paradosso del disgusto» sono stati due ricercatori, Mailin Lemke e Bas de Boer. Non a caso olandesi, in quanto i Paesi Bassi sono da sempre all'avanguardia nell'analisi delle nostre reazioni sensoriali di fronte a cibi insoliti; e non a caso esperti di food design. Sì, perché all'inizio si pensava che questi cibi disgustosi ci mmaliassero esclusivamente in virtù del loro aspetto esterno. In effetti questo accade, ma meno di quanto ci si poteva aspettare.

Accanto alla bellezza, infatti, si è visto che contano anche altre virtù, e soprattutto qualche furbizia da parte di chi questi cibi li producono, commercializza e promuove. Per esempio rendere il mangiare questi piatti una sfida o un'occasione da non perdere per nulla al mondo.

Ma andiamo con ordine. Secondo Lemke e De Boer esistono quattro strategie quasi infallibili nel farci piacere i cibi disgustosi, addirittura nel creare una vera e propria esperienza estetica del disgusto; e quindi altrettante categorie di cibi che vogliamo rifiutare e che invece amiamo mangiare, godendo non solo del loro sapore ma a volte anche del loro disgustoso aspetto esteriore.

Specificità 

La prima di queste strategie consiste nel rappresentare questi cibi come qualcosa che si può, o meglio si deve mangiare solo quando ci si trova in luoghi specifici o in occasione di particolari ricorrenze. Questi cibi vengono venduti, a livello mediatico e culturale, come necessari per entrare nello spirito del luogo o dell'evento.

Vuoi davvero capire la Cambogia? Allora devi per forza mangiare gli spiedini di tarantola. È ovvio che quasi nessuno lo farebbe a casa propria. Ma mangiarli dove rappresentano un elemento fondamentale della cultura del cibo locale diventa un'esperienza che renderà più autentico il viaggio. Grazie a quell'avventura gastronomica, se sarai abbastanza forte da vincere il disgusto, capirai davvero il luogo in cui ti trovi e il carattere dei suoi abitanti.

Analogamente, i biscotti di Halloween hanno a volte sembianze umane o ributtanti, ma lo spirito della festa ci induce a fare qualcosa che, appunto, non faremo mai negli altri periodi dell'anno: mangiarli. E allora sotto con biscotti a forma di ragni, pipistrelli e ancora teschi e dita mozzate, questi ultimi tra i più apprezzati. Ma attenzione, oltre al disgusto fisico, la festa può anche farci superare il disgusto morale.

Nel 2014 alcuni ricercatori della Cornell University hanno creato dei biscotti di Halloween a forma di incappucciati del Klu Klux Klan e li hanno fatti mangiare a un gruppo di persone. A metà di questo pubblico hanno detto che erano biscotti fatti dal KKK per incoraggiare una loro raccolta fondi a scopi razzisti; all'altra metà del campione hanno fatto credere invece che erano ironici biscotti di Halloween e nulla più. 

Ebbene, i primi non li hanno apprezzati per niente, trovando quei dolcetti banali e senza sapore.  Molto meglio è andata con il secondo gruppo, che ha trovato quei biscotti saporiti e piacevoli al palato. Nel primo caso, il disgusto morale per le ideologie violente del Kkk ha portato gli assaggiatori al disgusto sensoriale per i biscotti. Nel secondo, l'idea della festività, della pausa rispetto alla vita di tutti i giorni in cui si può anche trasgredire e ironizzare su qualsiasi cosa, ha portato il campione ad apprezzare i biscotti incappucciati. La festa ha vinto sul disgusto morale.

Attenuare 

La seconda strategia finalizzata a rendere piacevoli i cibi disgustosi prevede di attenuare l'esperienza sensoriale che può risultare sgradevole.

La locusta si serve spesso con altri cibi dal sapore forte (il miele o il pepe di Cayenna) per distrarre il palato da quel gusto decisamente forte. Qui entriamo in un campo interessantissimo e in continua evoluzione, quello dell'accostamento dei sapori.

Il disgusto infatti può essere causato da qualsiasi gusto che in un determinato piatto è presente in maniera eccessiva. Di fronte a un cibo troppo grasso, ad esempio, per eliminare il disgusto dobbiamo aggiungere qualcosa di acido (il vino nel risotto o il pomodoro nell'ossobuco).

Un piatto troppo acido va attenuato con qualcosa di dolce (formaggio fresco). A un piatto troppo dolce va aggiunto un ingrediente agro. E così via, con mille sfumature a volte davvero sorprendenti. Il disgusto in questo caso è quindi reso piacevole semplicemente attenuando il gusto che ci respinge.

Nascondersi 

Il terzo accorgimento prevede di nascondere l'oggetto del disgusto dalla vista di chi mangia il piatto ma non dal suo contenuto. Ne è un esempio il cibo fatto con le farine di insetti, animali che quindi il consumatore non vede, evitando così di provare disgusto.

Questa strategia non è una novità. È successo già con l'antica abitudine di portare in tavola l'animale intero. Man mano che abbiamo cambiato il nostro rapporto con gli animali e con l'idea di mangiare un essere vivente, questa abitudine è diventata sempre meno frequente.

Oggi certo rimangono delle eccezioni, si pensi al maialino in Sardegna, ma l'avere nel piatto parti animali come testa, zampe, coda, ecc. Oggi preferiamo mangiare tagli di carne che non ci ricordano che quello che stiamo mangiando era prima un animale.

È stato provato il senso di disgusto che prende molti alla vista di un piatto con dentro l'animale intero.

La vecchia abitudine resiste ancora con il pesce, che spesso finisce nel piatto così com'è in vita, anche se meno che in passato.

I ricercatori sostengono che la testa di un pesce non ci disgusta quanto la testa di un maialino o di un pollo perché un branzino non vive nel nostro stesso ambiente e quindi viene percepito come più lontano da noi.

Esclusività 

La quarta strategia consiste nell'ammantare il cibo disgustoso di un'atmosfera esclusiva, per esempio facendolo preparare da uno chef di altissimo livello. Uno dei ristoranti più premiati al mondo, il Noma di Copenhagen, deve la sua fortuna anche a una serie di cibi fermentati, come le mele lasciano all'aperto per settimane e servite come base del brandy solo quando sono totalmente nere, mentre a casa nostra finiscono nei rifiuti quelle con appena qualche macchiolina che dimostra l'inizio del deperimento. Ma se lo fa il Noma, non può essere disgustoso.

Ideali superiori 

La quinta strategia la aggiungiamo noi infine, ed è quella di legare il prodotto considerato disgustoso a un ideale superiore, per esempio la salvezza del pianeta. Si pensi alla carne coltivata, che se consumata in massa consentirebbe in un sol colpo di avere minori emissioni, di risparmiare la vita a milioni di animali e di risolvere, almeno parzialmente, il problema del riscaldamento globale.

Per attenuare il disgusto che la circondava soprattutto all'inizio, un collettivo di designer olandesi (ancora loro!) ha creato per questo prodotto innovativo nuove forme che lo differenziano dalla carne tradizionale. Sono nati così un libro di ricette, promosso nel sito https://bistro-invitro.com/en/cookbook/ e un ristorante virtuale, il Bistrò in vitro, dove si cucinano solo piatti basati su muscoli cresciuti in provetta. In questi esperimenti estetici, la carne coltivata assume aspetti davvero impensabili, proprio per stupire chi la mangia e far dimenticare la natura «da laboratorio» che ha spaventato da subito molti consumatori.

Il prodotto è però stato molto critico da vari attori, tra cui quella destra che fonda il suo consenso anche su una mitizzazione del passato e su una supposta autenticità e naturalità del cibo tradizionale, bistecca compresa. Così, questa parte politica ha di nuovo propagandato la carne coltivata come disgustosa, ignorando per fini ideologici i benefici che potrebbero apportare una volta sul mercato.

Insomma, dai biscotti di Halloween agli spiedini di tarantola alla carne coltivata, come sempre il disgusto è un concetto costruito e in continuo cambiamento, ea farcelo piacere possono essere strategie di marketing, tecniche sensoriali ma anche valori culturali, interessi politici e tutto ciò che agita la nostra società.


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