«The look-alike contests are so Great Depression era coded.», scrive un utente su X facendo riferimento a una interessante moda recente che consiste nell’organizzare competizioni di sosia di attori e personaggi del momento in giro per le grandi città; Jeremy Allen White, Jack Schlossberg, Tom Holland, Zendaya. Si dice che Charlie Chaplin si classificò terzo nella gara di suoi imitatori, e quel «Great Depression era coded» non può che far riferimento al fatto che a questi eventi, ultimamente, capita di trovarci proprio gli attori imitati in carne e ossa.

Succede, infatti, che Timothée Chalamet sorprende tutti a New York passeggiando tra ragazzi magri, pallidi, con riccioli castani e vestiti da Willy Wonka per fare una sorpresa ai suoi look-alike, scatenando il panico tra la folla, ma soprattutto sul web. I parallelismi con gli anni venti del Novecento si sprecano, ma su una cosa possiamo essere tutti d’accordo, per quanto i corsi e ricorsi siano la comfort zone della storia: cento anni fa sarebbe stato impossibile avere un video di Paul Mescal che in diretta radio si confronta in una videochiamata con il vincitore del contest di suoi sosia.

Nell’ultima stagione di Buffy – L’ammazzavampiri, la cacciatrice, protagonista della serie cult, decide di rompere l'incantesimo che la rende l’unica vera eletta salvatrice del mondo – l’ammazzavampiri, appunto, la prescelta – e fare in modo che tutte le cacciatrici potenziali possano usufruire dei loro poteri per unirsi in una grande lotta comune. Ciò che hanno fatto i social all’industria dell’intrattenimento, solida di cento anni di verticalità, è stata un po’ la stessa cosa: non serve più un provino a Hollywood per diventare famosi, né una videocamera di un grande regista, tutti e tutte, potenzialmente, possono diventare divi, negli anni venti del Duemila la fama è orizzontale.

In questa nuova configurazione della popolarità, filtrata dall’auto-racconto che anche gli attori e le attrici stesse possono fare di sé attraverso il proprio feed di Instagram o dai tweet che decidono di sparare nell’etere – con buona pace dei paparazzi, sostituiti dalle fotocamere dell’iPhone –, ci siamo sempre più convinti di sapere cosa pensa, cosa mangia, cosa indossa una celebrità, accorciando la distanza tra noi e loro.

Abbiamo deciso, in altre parole, che non solo Paul Mescal avrebbe potuto dialogare con il ragazzo irlandese che sostiene di somigliargli tantissimo, ma anche che la ragazza che gestisce la pagina fan «Paul Mescal Pics» potesse incontrarlo e sfidarlo in un test su chi dei due conosce meglio l’attore irlandese. Non sappiamo se Charlie Chaplin sia davvero arrivato terzo in quella famosa competizione, né se ci sia mai andato davvero, ma abbiamo la testimonianza del fatto che Mescal abbia perso un quiz di cui l’oggetto era lui stesso.

Il fenomeno 

Tra i meriti di Sally Rooney, oltre al fatto di aver ridato linfa vitale al romanzo in un’epoca in cui la letteratura non se la passa molto bene, c’è quello di essere stata la creatrice indiretta del fenomeno Paul Mescal. Nel domino degli eventi, una linea collega il best-seller dei millennial all’erede diretto di Massimo Decimo Meridio: se non fosse stato per il suo ruolo in Normal People, adattamento televisivo del romanzo di Rooney, oggi probabilmente l’attore irlandese non sarebbe il protagonista del tanto atteso sequel di Ridley Scott.

E dalla serie Bbc ambientata al Trinity College e il kolossal con gli squali nell’arena del Colosseo passa l’essenza di Paul Mescal, del modo in cui è diventato non solo il volto scolpito del cinema d’autore targato Mubi e un sex symbol da multisala con parcheggio interrato, ma anche l’incarnazione di tutte le qualità che vorremmo avesse il nostro divo contemporaneo, quello di cui crediamo di sapere tutto.

Nessuno di noi spettatori conosce Paul Mescal di persona, eppure siamo pronti a giurare che si tratti dell’esempio più lampante di kalokagathìa che abbiamo a disposizione.

Mescal ha il fascino di chi riesce a farti credere di non essere affatto consapevole della propria bellezza. È il bello forgiato dal calcio gaelico, mica dalla sala pesi e dai bibitoni proteici, romanticamente scolpito da uno sport che sembra inventato da JK Rowling.

Ha una famiglia normalissima, all’interno della quale la sua avvenenza acquista ulteriore valore, essendo frutto di un caso fortunato di genetica che supera ogni aspettativa; facile nascere belli se i tuoi genitori sono Angelina Jolie e Brad Pitt.

Ridere 

La sua dating history include cantanti indie molto cool – Phoebe Bridgers – e cantanti pop molto Gen Z – Gracie Adams, figlia di J.J. Abrams –, mentre lo scandalo più grave, se scandalo vogliamo chiamarlo, che lo abbia mai sfiorato è stata una voce di corridoio secondo cui è sua abitudine correre via dopo un appuntamento galante.

La sua aura di bellezza e bontà è così forte che invece di tramutare questa sua presunta abitudine in un tratto di mascolinità tossica ha dato vita a un fiume di meme che lo ritraggono mentre corre lontano per Hyde Park, con le sue proverbiali cosce in bella mostra, gli shorts corti da sportivo, o da sfilata Gucci, il sorriso coinvolgente.

Perché Mescal, ovunque si trovi, ride senza preoccuparsi di perdere carisma e sintomatico mistero: ride imbarazzato mentre viene intervistato dalla comica Amelia Dimoldenberg, autrice del format Chicken Shop Date, ride con goffaggine quando deve mangiare alette di pollo cosparse di salse piccanti ospite da Hot Ones, ride beato mentre viene sommerso da cuccioli di cane per BuzzFeed, ride con sguardo adorante durante il press tour de Il Gladiatore II, al fianco di Denzel Washington e Pedro Pascal, che gli dedica caroselli di backstage su Instagram che valgono più di mille inserti speciali sul film.

Ride di gusto e sa farsi serio quando c’è da difendere la collega Saoirse Ronan che al Graham Norton Show spezza l’umorismo del momento con un commento amaro sul fatto che le donne sono abituate a dover vivere con il pensiero di sapersi difendere, o quando qualcuno gli chiede se è contento per la presenza del re Carlo alla prima del film: non mi interessa granché, dice, sono irlandese.

Niente machismo

In sostanza, Mescal è ciò che in linguaggio contemporaneo potremmo definire l’anti-maschio alfa, è il divo che non ha bisogno di essere divo, ciò di cui il presente, ormai intossicato dalla sovrapproduzione di idoli e icone, chiede a gran voce dopo decenni di irraggiungibilità e distacco; siamo tutti super star, siamo tutti cacciatrici.

E così, sia che si trovi a vestire i panni complessi di un fantasma queer come in All of us strangers, sia che venga diretto da una giovane regista donna in Aftersun, sia che la sua carriera faccia un salto esponenziale verso il grande pubblico generalista in un film in cui il metro di paragone è l’inferno scatenato da Russell Crowe, Mescal trasuda divismo senza arroganza, fascino senza spocchia, virilità senza machismo.

Nel flusso di un’industria culturale in cui tutti possono diventare famosi per un giorno e in cui siamo talmente abituati a condividere ogni pezzo della nostra esistenza dando per scontato che sia una rappresentazione esatta anche di ciò che siamo a telefoni spenti, il pubblico ha deciso che Paul Mescal è ciò che sembra: un ragazzo d’oro, o più semplicemente, un ragazzo normale, proprio come i protagonisti del romanzo di Sally Rooney.

Poi però, quando lo vediamo parlare con il suo sosia, basta fare un piccolo e infelice paragone con la vera normalità per rendersi conto del fatto che non è proprio così.

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