È uscito per Drumeo Drummer first, che promette di essere il documentario definitivo sulla vita e le invenzioni del musicista inglese. Tre anni di lavoro per raccontare il genio di un uomo che è stato un’icona del rock progressivo, un talentuoso inventore di tormentoni pop, un autore di colonne sonore, un compositore di ballate romantiche
Nel trailer di presentazione c’è lui che cammina a fatica, con un bastone, sorretto dal figlio. C’è lui che tiene in mano una bacchetta e che si siede incerto dietro una batteria. C’è lui che scandisce con voce inequivocabile: «Sono Phil Collins, sono un batterista».
È uscito il 18 dicembre per Drumeo – il canale YouTube che raccoglie la più grande comunità batteristica del mondo (4 milioni e mezzo di iscritti) – un documentario che promette di essere definitivo sulla vita e sulle invenzioni di uno dei più grandi artisti del Novecento.
Brandon Toews, l’autore di Drummer First, ha impiegato tre anni di lavoro per raccontare il genio musicale di un uomo che ha saputo essere un’icona del rock progressivo, un talentuoso inventore di tormentoni pop, un apprezzato autore di colonne sonore, un grande compositore di ballate romantiche. Dentro, ci sono Phil Collins che parla di sé stesso e tanti altri batteristi che parlano di lui: da Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) a Mike Portnoy (Dream Theater), a Dom Famularo (compianto e insuperato didatta internazionale della batteria).
Oggi Phil Collins è il ritratto del titolo che scelse otto anni fa per la sua autobiografia: Non ancora morto. Classe 1951, tre volte marito, padre di cinque figli, tra cui Lily Collins, protagonista della celebre serie Emily in Paris. Un altro figlio, Nic, ne ha seguito le orme e ne ha suonato i pezzi nell’ultimo tour mondiale dei Genesis.
Salite e discese
La sua vita, come spesso accade ai grandi, è stata un rincorrersi di salite e discese. I primi sei anni con i Genesis hanno segnato per sempre la storia della musica. Ancora cinquant’anni dopo, Steve Hackett, chitarrista della band, riempie i palazzetti di mezzo mondo riproponendo gli album degli esordi.
Poi è arrivata la svolta pop, l’adesione agli stilemi del mercato musicale americano, le critiche e leggende del tutto inventate: l’esser stato causa della dipartita di Peter Gabriel dai Genesis, l’essere insipido (il «santo patrono della gente comune»), l’essere evasore fiscale, l’essere un uomo insensibile e capace di lasciare la seconda moglie con un fax. Tutto riassunto da una celebre frase di Noel Gallagher, frontman degli Oasis: «Solo perché vendi un sacco di dischi non significa che sei bravo. Guarda Phil Collins».
I fatti però dicono leggermente altro. Phil Collins è stato storicamente uno dei pochissimi batteristi in grado di raccontare percussivamente il testo di una canzone (Can-Utility and the Coastliners, dove le maree salgono e un Re spaccone affoga), è stato uno dei primi a rendere musicali i tempi dispari (oggi, nelle scuole di musica, si studia spesso il suo spartito batteristico per The Cinema Show), è stato l’ideatore del fill di batteria più copiato di sempre (In the Air Tonight), è stato il sublime compositore di ballate immortali (Against All Odds), è stato compositore per la Disney, è stato l’animatore di Big Band, di tour mondiali, di concerti storici (Live Aid).
A Mr. Collins e al suo perenne sorriso bonario è solo mancata la solennità alto-borghese degli altri membri dei Genesis, quasi tutti usciti dalla Chartehouse, una delle scuole private più prestigiose del Regno Unito. Lui, che aveva lasciato il liceo anzitempo e che sin da adolescente faceva l’attore a tempo perso, era altro. Per lui contava il palco e contava il pubblico. Fino a oggi, quando una malandata schiena e l’obbligo di sedersi lo costringono a raccontare una vita che è già storia.
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