Gli unici tetti che non sono a rischio crollo nella scuola italiana sono quelli dei libri. Anche questa, però, non è una buona notizia. Perché? Fissati inizialmente nel 2002, i tetti di spesa per l’acquisto dei libri di testo sono stati pressoché gli stessi fino ad oggi.

Ventidue anni sono un’eternità per il mercato, che di anno in anno muta ed è condizionato dall’inflazione, ovvero dall’aumento dei prezzi al consumo, che nel 2022 è arrivato all’8,1%. Per non parlare dell’aumento della carta. Eppure, tutti i libri della scuola secondaria di primo grado, secondo le leggi italiane, dalla prima alla terza classe, non possono costare più di 543 euro, ovvero 31 euro in più rispetto ai 512 complessivi del 2002.

In ventidue anni il tetto è rimasto sostanzialmente invariato, aumentando solo del 5,7%, mentre l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), da gennaio 2002 a maggio 2024, è aumentato del 50,8% (fonte: Istat). L’inflazione quindi ha superato il 50%, ma il tetto neanche il 6%.

Si potrebbe ripetere l’operazione anche per la scuola secondaria di secondo grado, dove i tetti variano a seconda dell’indirizzo di studi. Nel 2002 il tetto per i libri di testo del primo anno del liceo Classico, preso come caso paradigmatico, era 317 euro, nel 2024 è di 335, con un aumento del 5,38%.

Com’è possibile? Gli editori del settore denunciano il paradosso da anni. In un’inchiesta di «Tuttoscuola.com» del 2010, per esempio, si affermava che i prezzi dei libri scolastici «sono quasi in libera uscita» e «possono aumentare senza blocco alcuno». Albertina D’Anna, titolare dell’omonima casa editrice, specializzata in editoria scolastica, scrisse una lettera alla redazione, notando che «non è vero che i prezzi sono in libera uscita e che possono aumentare senza blocco alcuno, dal 2002 esiste un tetto di spesa che le scuole sono tenute a rispettare e che fino ad ora hanno rispettato contenendo al massimo gli sforamenti».

Dopo questa precisazione, D’Anna pose il problema nei termini che conserva ancora oggi: «Nessuno dubita dell’importanza di un’istruzione di qualità, anzi è uno dei maggiori problemi della Scuola italiana, e nessuno dubita del fatto che la qualità si paghi; eppure sembra che solo per l’editoria scolastica non valga l’equazione qualità = costi maggiori. Fare un buon libro di testo costa: gli autori, la redazione, le collaborazioni, le immagini, la grafica, la stampa, la legatura e, da ora in poi con i libri misti imposti dalla legge, anche i materiali multimediali disponibili in internet».

In questi 12 anni la questione è rimasta intatta. Il paradosso è che i limiti di spesa – aggiornati nel 2013 con un decreto ministeriale, ai sensi del decreto legge 112 del 2008, convertito dalla legge 133 – prevedono che per i libri misti (cartacei e digitali) il tetto diminuisca del 10%. Se si acquistano libri misti, quindi si deve spendere meno. Eppure, produrre un libro misto, come notava D’Anna quattordici anni fa, costa di più di produrne uno soltanto cartaceo. In una nazione che si vanta di avere il genio matematico di Galilei tra i suoi numi tutelari sono forse ammissibili queste assurdità?Famiglieabbandonateaicentriestivi

Nella scuola primaria non c’è un massimo di spesa ma è il prezzo dei libri stessi a essere fissato per legge e, pur essendo bloccato, è aggiornato di anno in anno in base al tasso di inflazione programmata.

Tuttavia, se andiamo a controllare scopriamo che la percentuale di aumento dei prezzi dal 2002 al 2024 è molto al di sotto sia dell’inflazione (50,8%), sia della percentuale ridotta (38,1%), usata per tutelare i consumatori.

Vediamo. Alla scuola primaria sono pochi i libri in dotazione. Nel 2002 al primo anno era previsto un solo libro, la lingua straniera non si studiava ancora. Usiamo come parametro, dunque, il massimale per i libri del quarto anno, che sono tuttora tre, come nel 2002: libro di letture, sussidiario, lingua straniera. Ventidue anni fa il totale dei prezzi era 35,97 euro, mentre quest’anno è fissato a 45,97 euro. L’aumento non arriva al 22%. Sebbene lontana dall’inflazione effettiva, la variazione percentuale dei prezzi dei libri della scuola primaria è meno bizzarra di quella dei limiti per le scuole secondarie di primo e secondo grado.

In questo teatro dell’assurdo, gli editori fanno la parte di Estragone che aspetta il Godot dell’adeguamento inflattivo anche per le scuole superiori. La parte di Vladimiro è riservata al Collegio dei docenti che ogni anno, en attendant, dovrebbe togliere dai libri in adozione un manuale, perché il tetto non consente di ordinarlo. Nonostante si abbia la possibilità di sforare il tetto del 10%, neanche questo è sufficiente.

Si arriva così a un altro controsenso, tipico del paese dell’Azzaccagarbugli: fatta la legge, scoperto l’inganno. I Collegi dei docenti deliberano che è necessario sforare il limite. Dopo avere dichiarato che le scelte operate sono giustificate da un punto di vista didattico e di risparmio per le famiglie, i docenti segnalano che «non c’è alternativa», perché nella definizione dei tetti non sono stati considerati il tasso di inflazione né gli aumenti operati dalle case editrici, pure per le nuove edizioni di testi già adottati.

Tutto ciò nonostante ogni dipartimento disciplinare abbia proposto l’adozione di manuali più economici possibile, che nel contempo garantiscano una didattica adeguata.

In Italia la spesa delle famiglie per i libri di testo è tra le più alte delle principali economie europee, perché gli aiuti pubblici per l’acquisto dei manuali sono limitati alle famiglie meno abbienti, mentre in Belgio, Olanda e Svezia l’insegnamento e le relative spese didattiche, salvo alcune eccezioni sono pressoché gratuite in tutto il periodo dell’obbligo.

La spesa dell’amministrazione pubblica italiana per l’istruzione è la più bassa d’Europa, insieme a quella greca: in percentuale sulla spesa generale per l’istruzione Italia e Grecia spendono il 7,2% contro una media del 9,5% (dati Eurostat 2022). Con il suo 8% ci supera persino la Romania, che rappresenta appena l’1,81% dell’economia europea contro il 12,02% dell’Italia (dati IMF 2023). Urge un rovesciamento, dal tetto alle fondamenta.

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