«Tennis, Italian Style». Basterebbe l’omaggio che il celebre columnist statunitense Jon Wertheim fece sulle pagine di Sports Illustrated nel 2002, a misurare la grandezza e l’originalità di Gianni Clerici e Rino Tommasi nel raccontare il tennis in televisione. Una rivista sportiva internazionale (poi l’articolo venne più volte ripreso anche da altre testate) dedicava spazio a una coppia di telecronisti italiani e al loro curioso modo di commentare gli Us Open, uno stile, appunto, stretto tra precisione e colore, tra competenza e fantasia.

Dopo Clerici, scomparso nel giugno del 2022, anche l’altra anima di quell’iconico duo ci ha lasciati all’età di novant’anni, proprio mentre il movimento tennistico nazionale ha raggiunto il suo apice adagiandosi su vette mai toccate prima. Veronese, ma fortemente legato anche a San Benedetto del Tronto dove frequentò il liceo, Tommasi si è avvicinato allo sport da atleta, vincendo diversi titoli di campione italiano universitario di tennis e conquistando anche due medaglie di bronzo ai Giochi mondiali studenteschi negli anni Cinquanta.

L’altro amore: la boxe

L’attrazione per il giornalismo avvenne sin dagli anni dell’università, sia come redattore di Tuttosport e Gazzetta dello Sport, sia curando le pubblicazioni del mensile specialistico Tennis Club. Un’attività a cui Tommasi affiancò sempre anche l’impegno diretto nella pratica sportiva e nell’organizzazione degli eventi delle sue discipline predilette: il tennis e il pugilato, l’altro grande amore della sua lunga carriera.

Per tutti gli anni Sessanta animerà incontri e tornei della boxe fino a quello del novembre 1969 tra Nino Benvenuti e Luis Rodríguez, trasmesso dalla Rai e che gli farà dire che «la boxe è finita» perché ormai fagocitata, come altri sport, dalle logiche televisive.

Alla televisione, però, Tommasi passerà presto, dapprima nel 1981 come direttore dei servizi sportivi della neonata Canale 5 (primo giornalista a ricoprire questo ruolo in casa Fininvest) e poi, dieci anni più tardi, a Telepiù, il canale satellitare che portò in Italia la pay-tv, con la trasformazione del contenuto sportivo in prodotto pregiato e fruibile solamente dietro abbonamento.

Al pugilato non rinunciò mai veramente, ideando ai tempi di Canale 5 la rubrica “La grande boxe”, rotocalco settimanale che contribuì ad alimentare la curiosità verso la storia e la tecnica di uno sport di nobile ed eccellente tradizione nazionale e depurandolo da un’idea distorta di violenza e marginalizzazione; rese popolari anche in Italia gli sport a stelle e strisce come il football americano.

La coppia con Clerici

Ma fu soprattutto con il tennis che raggiunse i più elevati livelli professionali, in quelle telecronache in coppia con Gianni Clerici avviate sulle frequenze di Tele Capodistria, il canale ponte tra Italia e Jugoslavia, uno dei più interessanti esperimenti di programmazione a trazione sportiva quando ancora non esisteva il concetto di tv tematica né quello di telecronaca a più voci.

Tommasi era il dato, la statistica, il compendio maniacale; Clerici l’estro, l’elzeviro, la suggestione capace di prendere traiettorie sghembe (Rino coniò per il compagno di strada il fulminante soprannome di “Dottor Divago”).

Nella sua carriera giornalistica, Tommasi ha incarnato quell’equilibrio essenziale di rigore e ironia, di garbo e puntualità, inventando locuzioni divenute celebri come il “circoletto rosso” per esprimere un punto di rara bellezza nel tennis, che rivelava ancora una volta quel suo gusto per l’annotazione, per il non lasciare mai nulla di sospeso.

Se, per usare le parole di David Foster Wallace, il tennis «è un’esperienza religiosa», Tommasi ne è stato un profeta razionale e geometrico, tradizionalista e conservatore anche nella visione del mondo, custode di un dogma che solo l’amico e collega Clerici riusciva (a fatica) a scalfire e ammorbidire.

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