«Devo molto ai Baustelle, quando nel 2017 Francesco Bianconi mi ha invitato a seguire il gruppo per tutto il tour nei teatri. Devo molto a Dario Brunori che per primo ha prodotto il mio Lp, e anche a Federico Dragogna dei Ministri, grande scrittore, che mi ha sostenuto nel mio secondo progetto. Ma ringrazio anche quei fischi incessanti, dal primo all’ultimo minuto, quando ho aperto il concerto degli Stadio alla Festambiente dell’Alberese, in Toscana. Avevo 18 anni, ero su quel palco solo chitarra e voce. Quell’avvenimento mi ha rafforzato, ho capito che niente mi avrebbe più fermato dal fare la musica che piaceva a me».

Il cantautore Lucio Corsi, 32 anni, tra pochi giorni salirà sul palco dell’Ariston col brano Volevo essere un duro, scritto un anno e mezzo fa. «C'è chi dice che le canzoni non vadano spiegate, ma a me piace farlo. Il mio brano dice che spesso non si riesce a diventare ciò che si sognava di essere, ma che altrettanto spesso si sogna qualcosa che in realtà non è tanto meglio di ciò che siamo già». Volevo essere un duro, però non sono nessuno, cintura bianca di Judo, non sono altro che Lucio, dice il testo.

«Questo mondo ci vuole indistruttibili, inscalfibili, perfetti e solidi come le pietre, ma noi siamo molto più in bilico. L’equilibrio è precario, bisogna solo accettarlo», spiega seduto al tavolo dell'Antica trattoria ambrosiana, nel quartiere vecchia Milano di Niguarda, periferia Nord di Milano dove sembra di essere tornati negli anni ‘60, se non fosse per il 4, il tram “jumbo” che passa poco distante.

Di fianco a noi, ad ascoltarci, c’è il suo amico ritrattista Mille Lire, per la barba e la somiglianza con Marco Polo. «Pranziamo sempre insieme, e l’ho invitato anche oggi. Le mie canzoni nascono dalle storie vere, e le persone che bazzicano qui mi danno grandi spunti di vita. Mi servono sia per le canzoni ma anche per la vita fuori».

Credits: Simone Biavati
Credits: Simone Biavati

Perché va al Festival di Sanremo?

Ho passato anni con la lotta interiore, vado oppure no? Tanti artisti che amo, come Franco Battiato e Paolo Conte, non ci sono mai andati. Poi altri che amo altrettanto ci sono andati tipo Lucio Dalla, Ivan Graziani, Vasco Rossi, Rino Gaetano. Qui in trattoria Carletto, Costa, Giusy (il personale della trattoria, ndr), da anni mi dicono “vai a Sanremo!”. E ora non possono più dirmi niente.

E poi ora ha una casa discografica, la Sugarmusic di Caterina Caselli, che vorrà che lei si esponga.

Sono grato di lavorare con loro. Ho anche un disco in preparazione, che uscirà dopo Sanremo e ci tengo anche io a farmi conoscere. Non da ultimo ho partecipato a un Sanremo immaginario nella serie Vita da Carlo, con Carlo Verdone su Prime Video, e la cosa mi divertiva. Una storia vera sotto forma di bugia, la chiamo io. Filava tutto troppo perfettamente per non provarci.

Lei è toscano, di Vetulonia, cos’ha imparato in questi anni a Milano?

All’inizio suonavo in strada. Insegna tante cose, perché le persone passano di fretta. La parte difficile è farle restare. Troppo facile suonare dal palco, quando il pubblico è già lì.

Nascere e crescere in Maremma l’ha aiutata o penalizzata?

È il luogo in cui sono nato e in cui voglio vivere, è il Far west italiano. Non potrei desiderare di meglio.

Ha sempre voluto fare musica?

Da quando ho memoria sì. Ero un bambino quando mio padre e mia madre mi fecero vedere The Blues Brothers. Ne rimasi estasiato, c’era dentro tutta la musica più bella della storia e loro erano due supereroi che si rialzavano in qualsiasi situazione. Era impossibile non voler essere loro.

Credits: Simone Biavati

Quindi tutta la sua infanzia l’ha dedicata alla musica?

No, sono nato e cresciuto in campagna, in Maremma, e tra i miei passatempi preferiti c’era la ricerca delle larve di cetonia sotto i tronchi marci. Ho scritto anche di questo. A un certo punto mi sono appassionato alla paleontologia, ma il richiamo della musica era più forte.

Della scuola che ricordo ha?

Ero l'unico con i capelli lunghi, che suonava, ero identico ad adesso. Ho fatto lo Scientifico a Grosseto, ricordo poco dei professori, ma tutto dai miei compagni di classe. Ho imparato in quella fase a convivere con altre persone che non hanno le mie stesse passioni e che sono diverse da me.

Oggi cos’è che la spinge a cantare?

La voglia di fuggire dalla realtà, raggiungere un’altra epoca, la voglia di calarmi in panni che non sono miei. Quando una canzone racconta la realtà per com'è mi annoia mortalmente. La musica serve a ingannarci, mentre nella vita di tutti i giorni credo sia importante non raccontarsi bugie, non fingere. Ho sempre attinto da artisti che lo hanno fatto, e questo mi ha ispirato.

Ad esempio?

Penso alle canzoni di Paolo Conte, ai brani di Bob Dylan, Joni Mitchell, di Peter Gabriel coi Genesis, e poi il glam rock.

Mi dica la prima strofa di un pezzo che le viene in mente.

Un gelato al limon di Paolo Conte. “Ti offro l'intelligenza degli elettricisti, così almeno un po' di luce avrà, la nostra stanza negli alberghi tristi, dove la notte calda ci scioglierà”.

E una sua di strofa?

Tutta la canzone Cosa faremo da grandi, è quella a cui sono più legato.

C’è un consiglio che ha capito col tempo?

Cresci piano piano, un piccolo passo alla volta. Perché mi ha dato la voglia di fare sempre meglio.

C’è un’edizione del Festival di Sanremo a cui vorrebbe tornare?

Quando Rino Gaetano si presentò con frac e ukulele. O quando Vasco cantò e poi portò via il microfono. E quando Ivan Graziani arrivò col suo pezzo Maledette malelingue, benedetto il rock’nroll.

Perché duetterà con Topo Gigio?

Mi ha insegnato come non diventare una marionetta, mi ha insegnato come fare a tagliare i fili di chi ti vorrebbe far muovere a suo piacimento. Esordì in televisione nel 1959 proprio con la voce di Modugno. In qualche modo è come se incontrasse nuovamente la sua canzone.

Credits: Simone Biavati

Nel 2019 Alessandro Michele, lo stilista allora di Gucci, dopo il tour con Bianconi la invitò a sfilare a Palazzo Pitti. La moda la segue anche a Sanremo?

No, deciderò cosa indossare in base a come mi sento. Non voglio interferenze. Sul palco, al centro, per me deve esserci solo la musica. Al massimo si possono notare gli strumenti dell’orchestra.

Sente di essere dove voleva essere?

Il mio brano dice che la vita talvolta può essere meglio di quello che sognavamo. Quindi sono dove dovevo essere.

Come sarà il 17 febbraio, quando il Festival sarà alle spalle?

Spero solo di evitare le lame dentro a questo frullatore di cui tutti parlano.

Credits: Simone Biavati
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