A mezzo secolo da quel paradossale colpo di stato al contrario, il documentario di Luciana Fina lo racconta. Il film è un omaggio al ruolo del cinema nella lotta all’autoritarismo e un’antologia di una stagione straordinaria
«A un certo punto, era d’estate, andavamo tutti in Portogallo. Non mi ricordo più perché… Sì, per andare a vedere un colonnello. Si chiamava Otelo de Carvalho... Chi era?». Tra memoria e oblio, Nanni Moretti in Bianca del 1984 restituisce la suggestione, il fascino e forse l’ipnosi della Rivoluzione dei Garofani nel Portogallo di dieci anni prima, quando i militari – tra i cui comandanti v’era De Carvalho – si sollevarono contro la dittatura di Marcello Caetano, l’erede di António de Oliveira Salazar.
In pochi giorni, anzi per la verità nel giro di sedici ore, essi misero fine a un regime fascista durato 48 anni e posero le premesse per la liquidazione dell’ex impero colonialistico che ancora vigeva dall’Angola al Mozambico alla Guinea Bissau (il cosiddetto «Ultramar»), e da Goa a Macao a Timor Est, lungo la rotta per le Indie. Il segnale della ribellione in divisa fu la canzone Grândola, vila morena del cantautore dissidente José Afonso, trasmessa alla radio poco dopo la mezzanotte del 25 aprile 1974, una data storica che echeggia la Festa della Liberazione italiana del 1945. Del resto, come Bella ciao, anche Grândola è stata “rilanciata” in anni recenti dalla serie televisiva spagnola La casa di carta con le sue strofe battagliere: «Grândola, città bruna / terra di fratellanza / è il popolo che comanda / dentro di te, o città…».
Ma non mancarono altre canzoni in quelle tumultuose ore di Lisbona, tra cui il Baile dos passarinhos, versione portoghese del Ballo del qua qua che qualche anno dopo sarebbe stato portato al successo in Italia da Romina Power. Precedette alle quattro del mattino del 25 aprile il comunicato iniziale dei rivoltosi… «Una presa in giro del vecchio regime ormai morente oppure un brano già in scaletta? Non lo sapremo mai. Poi venne l’ora dell’inno portoghese, A Portuguesa».
A ricordarlo è Marco Ferrari, giornalista e scrittore che alla Revolução dos Cravos ha dedicato il romanzo-memoir Alla rivoluzione sulla due cavalli edito da Sellerio nel 1995 e riproposto da poco per i tipi di Laterza con l’appendice di uno struggente “Ritorno a Lisbona 50 anni dopo”.
Il golpe al contrario
Già, è trascorso mezzo secolo da quel momento per certi versi paradossale perché a battersi per la democrazia furono appunto i giovani ufficiali figli delle classi abbienti e stanchi del sangue nelle fallimentari campagne d’Africa; una sorta di colpo di stato al contrario, immediatamente fatto proprio dal popolo. Così il Portogallo anticipò d’un anno la Spagna nell’epilogo delle ultime dittature fasciste europee, il fosco lascito dell’epoca di Mussolini e Hitler. Simbolicamente, i militari che a Santiago del Cile nel settembre 1973 hanno assassinato Salvador Allende, a Lisbona infilano i garofani rossi nella canna dei fucili, accettandoli dalle ragazze che se li tolgono dai capelli per porgerli ai soldati e ai carristi.
E c’è chi li offre agli esuli che scendono dal treno Sud Express. È il famoso “Comboio da Liberdade” entrato festosamente il 28 aprile 1975 nella stazione di Santa Apolónia a Lisbona, dove una targa ricorda che a bordo v’era il leader socialista Mario Soares, futuro premier e due volte presidente della Repubblica. Altri preferirono l’aereo, come Antonio Tabucchi, lusitanista di pregio e prossimo all’esordio da scrittore, che festeggiò a casa in Toscana con il poeta surrealista e anta-salazarista Alexandre O’ Neill, per poi raggiungere Lisbona nei giorni successivi (il suo romanzo Sostiene Pereira del 1994 diventerà un film con Marcello Mastroianni diretto da Roberto Faenza).
Il documentario
Certo, quei garofani restano un’icona dell’ultimo Novecento come, in seguito, le istantanee della caduta del muro di Berlino e dei ragazzi cinesi di piazza Tienanmen. Mentre Alla rivoluzione sulla Due Cavalli, la leggendaria Citroën 2CV nel libro di colore giallo («l’auto dei sovversivi»), sarà portato sullo schermo dal regista Maurizio Sciarra che nel 2001 si aggiudica il Pardo d’oro del Festival di Locarno, una commedia on the road con l’esordiente Adriano Giannini, Andoni Gracia e Gwenaëlle Simon. Sono loro i tre giovani che arrivano a Lisbona da Parigi quando la rivoluzione è già bella che compiuta e nel finale si intruppano in un corteo di bandiere rosse. In realtà la folla è diretta allo stadio per la partita di calcio Benfica-Oriental, che domenica 28 aprile 1974 fu vinta dalle “furie rosse” del Benfica 8-0.
Sciarra è originario di Bari al pari di Luciana Fina, artista e cineasta trasferitasi a Lisbona oltre trent’anni fa, la quale adesso rivisita nel documentario Sempre le immagini della Rivoluzione dei Garofani provenienti dagli archivi della Cinemateca Portuguesa e della RTP (Rádio e Televisão de Portugal). Sarà che la Città della Luce fra il Tago e l’Atlantico, «una luce che si può toccare» secondo Fernando Pessoa, serba più di un’essenza “mediterranea”.
O sarà che i registi, per tutti Alain Tanner (Dans la ville blanche, 1983) e Wim Wenders (Lisbon Story, 1994), sono attratti dalla sfida molto portoghese di «filmare l’invisibile, dove solo Manoel de Oliveira, forse, era riuscito», come scrive il giovane critico Nicola Curzio nel libro postumo Prima che tutto torni buio (Laterza, 2022), evocando «la saudade dello sguardo» di Vítor Gonçalves, Miguel Gomes, Gonçalo Tocha, João Nicolau...
Autori di varie generazioni le cui radici visionarie sono pur sempre nel cinema rivoluzionario che rivive nel montaggio di Sempre, presentato alle Giornate degli Autori dell’ultima Mostra di Venezia e ora all’inizio del viaggio italiano a partire dal cinema Farnese di Roma (26 settembre). Infatti, il film diretto e prodotto da Luciana Fina con la stessa Cinemateca Portuguesa è innanzitutto un omaggio al cinema, al suo vigore nel suscitare più che riflettere la Storia nel passaggio cruciale dal fascismo alla liberazione e nel processo di costruzione del nuovo Portogallo.
L’antologia di una stagione
Vale come antologia di una stagione straordinaria, dalle riprese dei pedinamenti di una coppia da parte della polizia segreta P.I.D.E., la Policia Internacional Defesa Estado a suo tempo organizzata dai nazisti, alle occupazioni studentesche, dalle sommosse africane per la decolonizzazione all’intervento delle Forze Armate, nei filmati dei cineasti che scesero in piazza o in vario modo furono partecipi. Il tutto ibridato con le manifestazioni odierne per la casa, il lavoro o i diritti delle donne.
Archivio e attualità. Dice Fina: «Le immagini del passato ci guardano e reclamano la nostra presenza, recuperarle dagli archivi significa anche interrogare il cinema, i suoi gesti, ed elaborare un’idea di futuro». Fanno testo i versi di Franco Fortini, il nostro grande poeta e saggista scomparso giusto trent’anni fa, che scandiscono la sequenza di Allarmi siam fascisti! di Lino Del Fra, Cecilia Mangini e Lino Micciché (1961) utilizzata a mo’ di incipit in Sempre.
Eccoli in ordine sparso: «Dire di sì: di sì / perché lo fanno tutti, / perché ho quattro creature, di sì / perché bisogna far carriera, di sì / perché non vogliamo più essere morti di fame, di sì / perché ci credo, di sì/ perché non ci credo. / Perché tanto nulla conta. / Perché io non conto nulla. Di sì, / perché non ho più compagni».
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