Nella penisola iberica scoperta un’impresa portata a termine 20mila anni prima che gli esseri umani moderni, ossia l’Homo sapiens, mettessero piede nella regione. Ecco come funzionava
Un gruppo di archeologi ha scoperto nella penisola iberica una “fabbrica” per la produzione di catrame risalente a 65mila anni fa, che era stata costruita dai Neanderthal: un’impresa portata a termine 20mila anni prima che gli esseri umani moderni, ossia l’Homo sapiens, mettessero piede nella regione. Il catrame appiccicoso aiutava i Neanderthal a produrre colla per realizzare armi e utensili.
La cosiddetta fabbrica era in realtà un focolare progettato con cura, il quale consentiva ai Neanderthal di controllare con precisione il fuoco e gestire la temperatura della fiamma, la quale permetteva di ottenere le loro creazioni viscose.
Gli archeologi sapevano già che i Neanderthal utilizzavano colle, come ad esempio catrame e resina, nonché sostanze appiccicose ottenute dall’ocra, un minerale tra il giallo e l’arancione spesso utilizzato per l’arte rupestre. I Neanderthal utilizzavano questi materiali appiccicosi per impugnare, o attaccare a manici di legno, lame o punte di pietra, in combinazione con avvolgimenti di tendini o fibre vegetali. Ma il focolare appena scoperto, apparentemente scavato nel pavimento di una grotta in quella che oggi è Gibilterra, dimostra che i Neanderthal erano abili “ingegneri” che avevano messo a punto il processo di produzione della colla.
«La struttura ha rivelato un modo finora sconosciuto con cui i Neanderthal gestivano e utilizzavano il fuoco», hanno scritto i ricercatori nel nuovo studio, pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews.
Come funzionava
Il focolare dei Neanderthal sembra ingannevolmente semplice a prima vista: è una fossa rotonda, larga quasi 22 centimetri e profonda circa 10 centimetri, con pareti verticali nettamente tagliate.
Due brevi trincee lunghe circa due centimetri si estendono a nord e a sud della cavità. Ma, se i ricercatori hanno ragione, questa scodella scavata dai Neanderthal è una vera impresa di ingegneria di precisione. All’interno del focolare, gli archeologi hanno trovato tracce di carbone e cisto (piccoli arbusti sempreverdi) parzialmente bruciato, piccoli grumi cristallini di resina vegetale raffreddata e sottili rametti di arbusti locali.
Campioni prelevati dalle pareti e dal pavimento anneriti del focolare sono stati analizzati con la «gascromatografia-spettrometria di massa», un sistema che identifica le singole sostanze chimiche in un campione di materiale. Ciò ha rivelato tracce di urea e zinco dal guano (escrementi di uccelli o pipistrelli), sostanze chimiche associate alla combustione e resti della cera protettiva sulle foglie delle piante.
«Per realizzare queste cosiddette “fabbriche” di colla, i Neanderthal probabilmente riempivano la fossa con foglie di cisto prelevate nei dintorni, le quali producono una resina appiccicosa e marrone scuro quando vengono riscaldate», hanno scritto i ricercatori del nuovo studio. Poi, ricoprivano la fossa con uno strato di sabbia bagnata e terra, probabilmente mescolata con guano per aiutare a sigillare l’interno della fossa e a tenere fuori l’ossigeno, il che avrebbe impedito alle fiamme di bruciare il contenuto, ma al contempo di renderlo pastoso.
Infine, accendevano un piccolo fuoco in cima alla colonna di materiale usando rametti sottili, che avrebbero riscaldato le foglie di cisto nella camera sottostante.
«Ogni fase del processo e ogni caratteristica del focolare stesso sono state attentamente pianificate», hanno affermato gli archeologi. Il focolare doveva riscaldare le foglie di cisto a circa 150 gradi Celsius, ma non molto di più, e c’era bisogno di impedire che ci fosse troppo ossigeno in circolazione, perché troppo ossigeno avrebbe fatto bruciare la resina invece di fonderla.
Per studiare questo metodo, Ochando e i suoi colleghi hanno costruito una loro replica del forno, producendo abbastanza resina per infilare due punte di lancia e farle ricoprire. Ci sono volute circa quattro ore dal momento in cui hanno iniziato a raccogliere le foglie di cisto al momento in cui hanno finito di infilare le punte di lancia: sono persino riusciti a scheggiare le punte di lancia dalla selce locale mentre le foglie di cisto si scaldavano.
L’intero lavoro non richiedeva più di due persone. «I nostri colleghi hanno notato durante l’esperienza di archeologia sperimentale che devono gestire il fuoco che ricopre la pianta e anche aprire la crosta (la copertura sopra la fornace)», ha spiegato il coautore dello studio Francisco Jiménez-Espejo , dell’Andalusian Earth Sciences Institute. Questi ha suggerito che i due canali dritti su entrambi i lati della fossa erano utilizzati per rimuovere le foglie riscaldate prima che si raffreddassero.
«Questo perché sarebbe stato difficile “separare il catrame” dalle foglie raffreddate», ha spiegato. Se i Neanderthal lavoravano davvero in questo modo, non erano solo dei bravi ingegneri, ma erano anche bravi nel lavoro di squadra.
Il “buco gravitazionale”
Nell’oceano Indiano c’è una enorme area, grande quasi tre volte l’Italia, dove il livello del mare è molto più basso rispetto al resto del mondo, tant’è che mediamente è 106 metri più basso rispetto alle aree circostanti. Questo fenomeno, chiamato “buco gravitazionale”, ha incuriosito gli scienziati da che venne scoperto nel 1948. La risposta alla domanda su come e perché si sia formato un simile fenomeno è arrivata recentemente ed è legata alla storia geologica della Terra.
Per capirlo, ricercatori dell’Istituto indiano di scienze hanno realizzato 19 modelli al computer per simulare il movimento del mantello terrestre e delle placche tettoniche negli ultimi 140 milioni di anni. Il risultato vuole che il buco gravitazionale dell’oceano Indiano si sia formato dopo la morte di un antico oceano chiamato Teti, che esisteva tra i supercontinenti Laurasia e Gondwana.
Teti era appoggiato su un pezzo di crosta terrestre che scivolò sotto la placca eurasiatica. Questo processo ha creato una sorta di “bolla” di materiale meno denso nel mantello terrestre, proprio sotto il punto in cui si trova ora il buco gravitazionale. Essendo meno denso, questo materiale esercita una forza di gravità minore, causando l’abbassamento del livello del mare nella zona sovrastante.
Comprendere come si formano queste anomalie gravitazionali ci aiuta a capire meglio la struttura interna della Terra e i processi geologici che l’hanno modellata nel corso dei millenni. Inoltre, studi simili vengono condotti anche su altri pianeti, come Marte, per svelare i misteri della loro formazione ed evoluzione.
Scontri spaziali attorno alla Luna?
A settembre la sonda lunare indiana Chandrayaan-2 ha effettuato una manovra teleguidata da Terra per evitare un avvicinamento ravvicinato con la sonda sudcoreana Danuri. Lo si è saputo però solo recentemente grazie a un rapporto dell’Indian Space Research Organisation (Isro).
La relazione afferma che la sonda Chandrayaan-2 il 19 settembre scorso ha dovuto alzare la sua orbita per prevenire un avvicinamento troppo ravvicinato a Danuri, se non uno scontro, che era previsto due settimane dopo se la traiettoria di Chandrayaan-2 fosse rimasta invariata. Il rapporto ha inoltre rilevato che una successiva manovra, avvenuta il 1° ottobre, ha anche aiutato Chandrayaan-2 a evitare potenziali collisioni con altre sonde orbitanti attorno alla Luna, tra cui il Lunar Reconnaissance Orbiter (Lro) della Nasa.
Tali manovre di evitamento delle collisioni ora non sono più così rare attorno alla Luna. Chandrayaan-2, Danuri e Lro condividono tutti un’orbita quasi polare, quindi le sonde si avvicinano l’una all’altra sopra i poli lunari, così che il rischio di collisione è molto alto. Solo nell’ultimo anno e mezzo, il Korea Aerospace Research Institute (Kari), che gestisce Danuri, ha ricevuto 40 “allarmi rossi” di potenziali collisioni tra Lro, Chandrayaan-2 e Danuri. Nel 2021, Chandrayaan-2 ha spostato la sua orbita per evitare un previsto avvicinamento ravvicinato a Lro sopra il Polo nord della Luna.
Senza la manovra, le due sonde si sarebbero incrociate a soli 3 chilometri di distanza, ha detto l’Isro. Danuri stessa ha manovrato almeno tre volte da quando è entrata nell’orbita lunare nel dicembre 2022: una volta per evitare Lro, un’altra per evitare Chandrayaan-2 e per evitare la sonda giapponese Smart Lander for Investigating Moon (Slim) poco prima del suo atterraggio sul lato vicino della Luna a gennaio. Insomma un vero caos. La situazione si spiega facilmente perché al momento attuale non esiste un protocollo internazionale per risolvere i rischi di collisione.
Le tre agenzie spaziali – Nasa, Kari e Isro – condividono volontariamente i dati attraverso scambi di email e teleconferenze sulle traiettorie delle loro sonde. Le agenzie spaziali utilizzano principalmente una piattaforma sviluppata dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa chiamata Madcap che calcola il rischio di collisioni e genera avvisi.
«Al momento però, non esiste un meccanismo di consultazione internazionale o un protocollo mutuamente concordato per risolvere tali rischi di collisione», ha dichiarato Soyoung Chung, ricercatrice senior del Kari, in un vertice sulla sostenibilità spaziale all’inizio di quest’anno. «Con la nostra esperienza nell’operare Kplo [Korea Pathfinder Lunar Orbiter, ufficialmente Danuri], ci rendiamo conto che è necessaria una piattaforma di condivisione delle informazioni e protocolli internazionali mutuamente concordati per identificare e gestire il rischio di collisioni tra le missioni attorno alla Luna, proprio come facciamo sulla Terra».
Nei prossimi anni verrà costruita la stazione orbitante che spesso ospiterà astronauti. E se è pur vero che essa non sarà in orbita polare, ma ruoterà attorno alla Luna più o meno all’equatore, è anche vero che i satelliti polari attraversano tutte le latitudini e dunque il rischio di collisione esisterà e non sarà di poco conto.
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