- Perché i racconti non compaiono più spesso sui giornali italiani? Non sarebbe piacevole ogni giorno trovare sui quotidiani un racconto sempre nuovo?
- Sulla terza pagine dei quotidiani un tempo comparivano le firme di Giovanni Papini, Umberto Saba, Luigi Pirandello e di Grazia Deledda: era il salotto buono, che poi è scomparso
- Il racconto toglie fretta. Suggerisce lentezza e noncuranza. Dopo un’abbuffata di realtà, con la lettura delle notizie di cronaca o di politica, può persino essere salutare
Quando, nel 2001, fu insignito del ruolo di Poeta laureato – la dicitura corretta sarebbe “Poeta laureato Consulente per la poesia della Biblioteca del Congresso” ed è un incarico che negli Stati Uniti viene conferito ogni due anni a un poeta illustre e di rilievo – Billy Collins ricambiò quel prestigioso mandato proponendo, tra le altre cose, Poetry 180.
Con quel progetto invitò tutti i giorni gli insegnanti delle scuole superiori a leggere agli studenti di ogni classe una poesia di un autore americano contemporaneo. Collins, che aveva scelto personalmente i componimenti da leggere ad alta voce ogni mattina in tutte le classi d’America, desiderava che la poesia fosse «parte della vita quotidiana» e 180 sono i giorni di cui si compone l’anno scolastico da quelle parti.
Ora magari tirare in ballo la poesia sarebbe un azzardo eccessivo e improponibile, ma perché sulla falsariga del progetto del poeta statunitense non si potrebbe immaginare un consumo quotidiano di letteratura breve? Non sarebbe piacevole poter trovare sui quotidiani ogni giorno in edicola un racconto sempre nuovo? Non ci starebbe bene un racconto al giorno, come la famosa mela? A parte rare eccezioni, come lo è questo quotidiano che da tempo ha ormai l’abitudine di ospitarli nelle proprie pagine culturali, perché i racconti non compaiono più spesso sui giornali italiani?
Nella storia
I quotidiani dell’Ottocento e del primo Novecento avevano quattro pagine. Le prime due ospitavano la politica e la cronaca, mentre nella terza pagina compariva la puntata del romanzo d’appendice, oltre alle rubriche che variavano di giorno in giorno. Infine, sulla quarta pagina erano stampate le notizie considerate meno rimarchevoli insieme alle pubblicità.
La terza pagina, in quanto antesignana della sezione culturale che oggi troviamo sui giornali, comparve per la prima volta sul Giornale d’Italia diretto da Alberto Bergamini. Negli anni la terza pagina avrebbe ospitato elzeviri, racconti di viaggio, corsivi e tutto quel circo di polemiche frivole e curiosità che non sarebbero mai più mancate neanche nelle testate più autorevoli.
Inoltre, fu l’occasione per gli scrittori di farsi conoscere dal grande pubblico. Comparivano le firme di Giovanni Papini, Umberto Saba, Luigi Pirandello e di Grazia Deledda. Era il salotto buono, la terza pagina, e nel salotto buono potevano accedere unicamente i più distinti. Poi, più o meno a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, la terza pagina scomparve un po’ dappertutto. Più che svanita, però, si può dire che traslocò nei supplementi del fine settimana, come Tuttolibri, Robinson o La Lettura. È forse da allora che i racconti hanno trovato sempre meno spazio nei quotidiani italiani.
Realtà e fiction
Certo, il quotidiano è il luogo d’adozione del racconto del reale, ma perché non dovrebbe esserlo anche del racconto di fiction? Del depistaggio, del miracolo, dell’enigma, dell’invenzione stupefacente, pure del soprannaturale e del magico, se sono in grado di sconvolgere lo stato d’animo di un uomo?
Non sarebbe bello veder scandite le proprie mattinate, oltre che dalle notizie appena giunte dal mondo, anche da un racconto? Non sarebbe bello, per una pagina soltanto, contravvenire al tempo reale? Mettere un attimo il naso fuori da ogni transazione.
La lettura di un racconto, tra le pagine di un quotidiano, ci donerebbe la pia illusione di poter abbandonare per qualche minuto l’arena pubblica, di poter scartare la corrente interminabile di aggiornamenti che scorre tumultuosa e irrefrenabile. Anche soltanto immaginarsi, almeno per un istante, fuori dalla trappola del tempo dà una piacevole soddisfazione, quasi fisica.
Proprio questo quotidiano ha ormai la consuetudine di ospitare tra le sue pagine culturali, oltre a interventi d’attualità e recensioni, anche racconti di autori italiani. Per questo è nato anche il suo inserto culturale Finzioni che fa produrre molte short stories. Brevi prove narrative che forniscono un’ipotesi di evasione dal mondo di cui si sono appena lette le novità, o che di quel mondo restituiscono qualche fulgore altrimenti destinato a scomparire in mezzo al frastuono di fondo.
Togliere fretta
L’uomo che ora legge un giornale desiderando di acquisire qualche conoscenza sul mondo somiglia a un uomo sotto una cascata grandiosa, che con un imbuto alla bocca provi a raccogliere quell’acqua. L’uomo che legge un racconto sta sulla pietra accanto a quella cascata, asciutto e con un filo d’erba in bocca.
Il racconto toglie fretta. Suggerisce lentezza e noncuranza. Ed è persino salutare, dopo un’abbuffata di realtà, solitamente una cibaria parecchio grassa e sapida, portare al palato qualcos’altro.
Tra la cronaca nera e la notizia di un’inchiesta giudiziaria, tra una lenzuolata politica e un’intervista di costume, credo che ci stia proprio bene un racconto. È come vestire con uno spezzato al matrimonio di un amico. Non lo fanno in molti, ma se lo fai bene sarai tra i più eleganti.
Ci sono racconti che prendono lo stesso spazio che prenderebbe una lista della spesa, ma a differenza di una lista della spesa scarabocchiata sul retro di uno scontornino o nel lacerto di un foglio bianco rinvenuto in un cassetto della cucina, quelle righe non te le scorderai mai.
Oltre la tenda
Il racconto ha le fattezze, le sembianze adatte alla postura di un lettore di quotidiani. È una traccia, un segmento, un momento, qualcosa che per indole è promiscuo. Può inventare miti, favole a orologeria. Può essere una storia che abbia la forza di allontanarsi dal nostro mondo. Può perdere ogni rapporto con chi li ha scritti. Può proporre un realismo ovattato in uno stupore lucido, coniugando una precisione realistica e un’atmosfera magica.
Ci sono racconti che sono trappole per topi, nei quali all’improvviso si rimane imprigionati, altri che sono navicelle spaziali, che ci portano a una velocità impressionante così lontano da casa al punto che una volta conclusa la lettura ci verrà il dubbio che qualcosa chez nous sia cambiato mentre eravamo in viaggio.
Non so se chi legge i quotidiani, oltre al desiderio di essere aggiornato su quel che sta succedendo intorno a lui, sfogli le pagine alla ricerca di interpretazioni magiche alla vita di ogni giorno, se consideri la propria esistenza ancora tutta da scoprire e voglia cercare dei cenni di ciò che forse si nasconde dietro a un sipario nascosto.
La narrativa breve, come un’indagine investigativa ma diversamente da questa, sbircia oltre la tenda. Certo, l’arte può pure contribuire al divertimento e all’intrattenimento, ma può anche proporsi come “religione del mistero”, per citare Bontempelli. Ed è lo stupore, lo sbalordimento, il disorientamento, in modo in cui l’uomo si affaccia dinnanzi al mistero che talvolta provocano i racconti. La vita vissuta, quella che tra l’altro compare sin dalla prima pagina dei quotidiani, è appena un presagio di quelle che non abbiamo vissuto.
Lavorare verticalmente
I racconti – lesti, sentenziosi eppure dubbiosi – stanno così a loro agio sulla carta dei quotidiani che mi sorprende non trovarli più spesso stampati a piena pagina adornati di una bella illustrazione colorata.
Julio Cortázar citava un suo amico, un altro scrittore argentino che amava molto la boxe, che gli diceva «che in quella lotta che si instaura fra un testo appassionante e il suo lettore, il romanzo vince sempre ai punti, mentre il racconto deve vincere per knock-out». Oltre al destro che spesso ci rifila la cruda realtà, non vogliamo gustarci anche un knock-out che ci faccia andare al tappeto ancora più valorosamente?
Lo scrittore di racconti, esattamente come il giornalista, sa che non ha come alleato il tempo; «la sua unica risorsa è quella di lavorare in profondità, verticalmente, tanto verso l’alto quanto verso il basso dello spazio letterario».
Le movenze tra i due si accordano. Eppure, come si diceva in precedenza, in Italia non è così abituale trovare sulle pagine di un quotidiano un racconto di fiction. Può magari capitare d’estate, perché forse si ritiene che per leggere un racconto sia meglio star sdraiati su un’amaca o in riva al mare, o nelle sezioni locali.
Il posto nell’editoria
In Italia sono cinquemila gli editori che pubblicano almeno un libro all’anno, e da qualche tempo a questa parte alcuni di loro sono nati con il solo proposito di pubblicare racconti. Racconti Edizioni fondata sei anni fa da Stefano Friani ed Emanuele Giammarco ha pubblicato, tra gli altri, James Baldwin, Appunti da un bordello turco di Philip Cheallaigh, Margaret Atwood, La moglie di Martin Guerre di Janet Lewis, James Purdy.
E ancora più recentemente è arrivata Tetra, la casa editrice di Danilo Bultrini e Luca Verduchi che, sotto la direzione editoriale di Roberto Venturini, promette quattro uscite l’anno, il quattro del mese, con quattro racconti di quattro scrittrici e scrittori italiani diversi alla volta. Non raccolte, ma per ogni libro un racconto lungo. I lettori italiani, insomma, li apprezzano. O no?
Niccolò Ammaniti racconta che Gian Arturo Ferrari, allora a capo della Mondadori, quando lui gli propose una raccolta di racconti (era Fango) gli disse assai gentilmente: «Caro Ammaniti lasciamo perdere, il momento è delicato». Passavano intanto gli anni e ogni volta che lo scrittore gli proponeva una nuova raccolta quel che si sentiva ripetere dagli editori era sempre la stessa cosa. E così anni dopo, nel 2012, Ammaniti avrebbe licenziato una raccolta di racconti proprio con quel titolo. Il momento è delicato, con Einaudi Stile Libero. E ora che il nostro momento è senza ombra di dubbio ancora delicato di allora? Non c’è da dubitare che ci siano editori e quotidiani che con spavalderia pubblicheranno ancora la migliore narrativa breve.
Rifugio dalla realtà
Il racconto che compare su un quotidiano è un rifugio dall’epidemia e dalla guerra. Dal costo delle bollette. Forza gli argini della quotidianità. Nulla può raggiungerci. A volte le notizie annoiano, altre volte atterriscono. Le uniche notizie che possono darci il buon umore le troviamo nella pagina sportiva quelle poche volte che la squadra per cui facciamo il tifo ha finalmente vinto una partita.
Secondo Hegel la lettura del giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno. Su carta o online, ci consente tuttora di localizzarci nel mondo di questa mattina. E se con le notizie del giorno si misura la temperatura del mondo (e questa è una stagione rovente), con i racconti se ne misura il battito cardiaco o la pressione arteriosa o il colesterolo, oltre alle ansie, ai piccoli affanni, insomma a tutte quelle cose a cui i medici non danno poi troppa importanza ma che non fanno prendere sonno.
Letteratura in volo
Dopo il progetto Poetry180 Billy Collins, per essere all’altezza del marchio di “Poeta laureato Consulente per la poesia della Biblioteca del Congresso” e del proprio stipendio annuale, una somma di 30mila dollari che poteva essere spesa per pagarsi «vino, bollette della luce, un cappello nuovo…», propose un’altra iniziativa: diede vita a un canale radio sulle linee aeree della Delta Airlines unicamente dedicato ai componimenti poetici «in modo che la gente potesse ascoltare poesia in cuffia mentre guardava le nuvole, invece di sfogliare svogliatamente le pagine di quelle deprimenti riviste di acquisti in volo».
Era l’occasione per chiunque di chiudere gli occhi, prendere un bel respiro, il respiro più profondo di cui ciascun viaggiatore era capace e lasciarsi trasportare non solo da un motore aeronautico ma anche dal ritmo e dallo stile di un poeta.
E non sarebbe bello scordarsi persino di essere in volo, ascoltando magari il racconto di Francis Scott Fitzgerald Tre ore tra due aerei: la storia di Donald che, in viaggio per lavoro, fa scalo in una cittadina del Midwest dove vive una compagna di scuola di cui era innamorato; le telefona e lei gli dice di raggiungerlo a casa sua, è da sola e si stava bevendo un whiskey dopo cena; Donald è vedovo e Nancy è quasi certa che il marito la tradisca con una di New York; ricordano i bei tempi trascorsi insieme, una gita in slitta e altre amenità, e per loro fortuna diventano presto «due interessanti estranei invece di due impacciatissimi amici d’infanzia»; bevono insieme nel salotto di casa di Nancy, e succede che si baciano; lui allora le confessa di avere persino detto alla moglie, un giorno di molti anni prima, di amarla come da bambino aveva amato lei, Nancy; poi, sfogliando l’album delle vecchie foto che lei è andata a prendere al piano di sopra, Nancy gli dice che era carino e lo indica; è allora che Donald le dice che quello che lei ha appena indicato, quel ragazzetto in calzoncini corti su un molo con una barca a vela sullo sfondo non è lui, si chiamava Donald come lui, ma aveva un altro cognome; Nancy si irrigidisce, gli parla stavolta «dall’altro lato della stanza», e dopo avergli chiesto di mantenere quel loro segreto inopportuno, gli dà il numero della stazione dei taxi perché se ne vada al più presto.
Ci rattristeremmo per i destini di Donald e Nancy, soprattutto per il resto della serata che Donald trascorrerà da solo ripensando a quand’era un bambino innamorato, ma per quei dodici minuti che durerà la lettura del racconto di Fitzgerald chiunque di noi si scorderebbe di aver paura di volare.
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