Un giovane costruttore impara dal miglior manipolatore d’America come diventare quello che oggi tutto il mondo conosce. Questa è la storia raccontata da The Apprentice, un film diretto dal regista Ali Abbasi che racconta l’ascesa di Donald Trump quale tycoon dell’edilizia famoso in tutto il paese, partendo come figlio prediletto di un modesto costruttore del Queens per il quale andava in giro a raccogliere gli affitti ogni mese, rischiando pure di essere aggredito da qualche inquilino riottoso.

In più, la Trump Organization, allora guidata dal padre Fred, era sotto indagine da parte del governo federale per discriminazione nei confronti degli inquilini afroamericani, scartati a prescindere dalla lista degli aspiranti affittuari.

Così il futuro presidente degli Stati Uniti, interpretato da Sebastian Stan, decide di rivolgersi all’avvocato più brillante ma dalla fama più sinistra, Roy Cohn, interpretato da Jeremy Strong. Chi era Cohn? Classe 1927, era un avvocato di famiglia ebraica progressista che per seguire la sua ambizione personale era entrato giovanissimo nell’entourage del controverso senatore del Wisconsin Joseph McCarthy, l’autore della caccia alle streghe all’inizio degli anni Cinquanta per stanare le presunte infiltrazioni comuniste a Hollywood e nelle file del governo federale.

Proprio in questa veste aveva spinto per far condannare a morte i coniugi Rosenberg come spie sovietiche, sincerandosi che anche Ethel fosse mandata al patibolo nonostante fosse una madre di figli piccoli.

Poi era diventato l’avvocato di alcune figure della mafia newyorchese e amico di alcune figure del sottobosco politico, come il leader di Tammany Hall Carmine DeSapio, ed era stato anche l’avvocato difensore dell’arcidiocesi di New York e del controverso cardinale Francis Spellman.

All’epoca in cui inizia il film, la prima metà degli anni Settanta, si faceva anche notare come la persona giusta per risolvere le controversie legali, anche con le cattive maniere: minacce, ricatti e ritorsioni. Metodo con cui riesce a ottenere che la causa contro la famiglia Trump venga archiviata grazie proprio al materiale compromettente riguardante un funzionario chiave del dipartimento di Giustizia.

Non solo: grazie ad alcune registrazioni illegali riesce a far ottenere che il primo albergo costruito dal giovane e rampante imprenditore sulla Quarantaduesima strada non paghi tasse di proprietà. Del resto, la New York anni Settanta è una città in seria difficoltà, pesantemente indebitata e alle prese con una criminalità fuori controllo anche a Manhattan. Così anche un investimento che all’epoca appariva sconsiderato poteva plausibilmente ricevere un simile favore.

L’eredità di Nixon

Da quel momento, il timido e impacciato Donald comincia a trasformarsi: insegue l’amore di una donna di origine ceche chiamata Ivana Zelnickova, che diventerà la sua prima moglie, ricoprendola di doni anche se era già impegnata, non temendo di rendersi ridicolo.

Passa anche sopra la malcelata omosessualità del suo consigliere Cohn che inizia sempre di più a preoccuparsi del suo cliente che si indebita sempre di più, passando da un’impresa all’altra, compreso un forte investimento fatto nella decadente città marittima di Atlantic City in New Jersey, dove ambisce, senza successo, a costruire un’alternativa a Las Vegas.

La spregiudicatezza del futuro presidente non si ferma di fronte a nulla, amici, familiari e anche lo stesso fratello Freddy con problemi d’alcolismo vengono travolti dalla sua totale mancanza d’empatia. Quello che conta per lui è il successo e l’apparire.

Al momento, e nel frattempo la narrazione raggiunge gli anni di Ronald Reagan, pensa solo ad apparire e ad essere famoso, sfidando apertamente il sindaco dem della Grande Mela Ed Koch. Roy Cohn, nel frattempo, comincia a essere sempre più malato: ha l’Aids, che Donald definisce sprezzantemente «il cancro dei gay» e perde totalmente il favore del suo ex pupillo, del suo “apprendista” che aveva così bene appreso le sue tre regole per la vittoria: ovvero attaccare senza pietà, negare sempre l’evidenza e proclamare sempre la vittoria, anche quando si perde.

Una caratteristica questa vista sinistramente in azione dopo le elezioni presidenziali del 2020, quando lo stesso Trump che è entrato in quella politica che un tempo definiva “da sfigati” l’ha però gestita, secondo i metodi che gli aveva inculcato quell’avvocato che aveva conosciuto in gioventù.

Un apprendistato che, come prova l’amicizia con il giovane consulente di Richard Nixon Roger Stone, aveva radici profonde anche nel partito repubblicano che nei primi anni trattava il tycoon come un corpo estraneo. Tutto sommato, ed è questa la tesi di fondo di The Apprentice, non lo era. Anzi, ha portato alle estreme conseguenze i metodi subdoli di Richard Nixon.

© Riproduzione riservata