Non li abbiamo visti arrivare. Hanno caricato in anticipo i tormentoni estivi su Spotify e YouTube un mese prima di quando ce li aspettavamo, a tradimento. Colpa del cambiamento climatico: alluvioni e tormentoni. O forse delle multinazionali discografiche, frettolose di monetizzare sulla nostra soglia d’attenzione sempre più bassa intasando un mercato già saturo in partenza con canzonette spesso indistinguibili l’una dall’altra.

Non rivangare con nostalgia il passato

Tocca prenderla con leggerezza e guardare con disincanto dai vetri di questo trenino di ritmi che ogni stagione fa tappa in tutte le stazioni della nostra distratta psiche. Inutile rivangare con nostalgia un passato remotissimo in cui le canzoni balneari sono scritte da Paolo Conte, Lucio Battisti e Franco Battiato. Il primo tormentone “certificato” della storia è del 1961 è Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco.

L’anno dopo Edoardo Vianello incide Con le pinne fucile ed occhiali e Ennio Morricone la arrangia in studio con una bagnarola per ottenere il suono di un tuffo. Sul retro della copertina del 45 giri di Sapore di Sale, 1963, c’è una lunga nota che inizia cosi: “È stata chiesta a Paoli una sua impressione musicale sull’estate…”.

Potremmo andare avanti all’infinito - e recuperare in qualche mercatino la storia dei tormentoni di Enzo Gentile con la prefazione di Gianni Mura - oppure tentare di leggere le hit estive come testimonianza dello spirito del tempo, come esperienza mistica e lisergica che ci astrae dal reale tormento di guerre, PNNR e talk show.

Già, perché nonostante Ia e algoritmi della musica nell’era della sua riproducibilità tecnica, il tormentone mantiene - spesso nell’errore, nell’inciampo retorico, nella banalità delle intenzioni - una sua verace originalità e dei tratti comuni tra le canzoni dei vari artisti che vanno oltre al trend del momento, raccontandoci un po’ chi siamo e che cosa siamo diventati.

Sesso e Samba di Tony Effe e Gaia, già pronosticato finalista di questa disgraziata Coppa del Tormentone, è uno delle tante hit create in laboratorio mettendo insieme un maschio etero tamarro (spesso rapper in crisi, ma d’estate l’analista è in vacanza) e una donna che dopo l’empowerment invernale cede al tema d’amore o alla frivolezza: Gué e Rose Villain in Come un tuono, Tedua e Annalisa in Beatrice, Ghetto Love di Icy Subzero e Clara, Storie brevi di Tananai e Annalisa.

Non sono canzoni d’amore

No, non sono canzoni d’amore, ma maschi e femmine che chattano con l’altro da sé, non c’è passione e pure il sesso evocato è solo metaforico (“non siamo troppo diversi come sesso e samba”). Siamo sempre in un remake di Ferie d’agosto o Un Gatto in Tangenziale ma la nuova playa di Coccia di Morto è popolata da borghesi (“tu sei un po’ finto borghese” canta Annalisa al povero Tananai) che si atteggiano a maranza, la Milano bene che andava a Forte dei Marmi e la Roma di stanza a Capalbio ora cercano il ghetto di Ibiza luccicante di Miu Miu e Balenciaga, e nell’attesa trasformano la Capitale in un’improbabile Rio De Janeiro, tropicalismo cacio e pepe.

Sia Tony Effe, già a 4 anni comparsa in Viaggi di Nozze di Verdone, che Gaia, figlia di una ex famosa ballerina classica ora protagonista del jet set milanese all’ombra di Maurizio Cattelan, non cercano aderenza tra testo e vita vera. Idem per Rose Villain, il padre è un industriale del Nord, Gué, famiglia di intellò di sinistra, Annalisa, laurea in fisica e genitori insegnanti.

Il racconto dell’estate di questa Italia nazional-popolare non è affidato alle star della strada e delle classifiche come Baby Gang, Simba La Rue e Neima Ezza, troppo presi dal tormento della vita vera per pensare ai tormentoni o a love story sulla spiaggia. C’è una nuova classe dirigente del pop che ha approfittato di questa mutazione sociale per cui oggi un ragazzino ricco si vuole vestire come un maranza, tuta del PSG e Nike Tn, e non viceversa.

E anche i sentimenti - quelli alla base delle canzoni, veri motori di struggimento - si imbarbariscono: “Vuole un figlio con me solo per farlo ricco e bello/ Sto contando milioni, mi dispiace, non ho tempo” canta Tony a Gaia, alla faccia del romanticismo, che è morto, sepolto senza ironia, altro che educazione all’effettività, siamo al ground zero.

Niente moralismi

Niente moralismi però, che l’estate è lunga e psicologicamente faticosa. Anche per chi viaggia da sola, come Elodie, Emma e Anna: hai voglia a fare la “self made bitch” come canta Anna in 30° (“Sì, d'estate sono molto più baddie/ Pure lui non sembra avere difetti/ E per me va loco come per la coco/ Mi stressa troppo, baby, non fare foto”) o la anti Femme Fatale come da titolo del pezzo di Emma (“Per questo male che rimane anche dopo le tre/ Ed affogare il cuore nello chardonnay”), alla fine il sogno di questi amori verticali (“Ma giurami che non mi dirai/ C’est la vie/ Dai vicoli allo Skyline/ Fino a qui è così” canta Elodie in Black Nirvana) impossibili e neanche troppo desiderati lasciano spazio solo all’idea che di quello struggimento per cui il pop è andato in fissa dai tempi che furono oggi non sia più così indispensabile.

Ce lo conferma con ironia anche Angelina Mango con Melodrama - “Non vuole seratе di gala/ Una drama queen in sala/ Voglio le serate struccata/ Melodrama, meno dramma” - che non è tempo di illudersi, di fare piani d’amore sullo scoglio, o preparativi per chissà che deludenti incontri, meglio una serata a casa struccata davanti alla tv, e il melodramma me lo vedo su Netflix o, per i più coraggiosi, in qualche talk di Rete 4.

Certo, politicamente questo andazzo è difficile da collocare, prendiamo il tormentone come il simbolo dell’astensione dal voto, si fa prima. Anche perché se aspettiamo che arrivi il tormentone di sinistra (quello di destra c’è ogni anno, mascherato e remixato) allora… campa cavallo! Pure il leader di tutti gli alternativi, Calcutta, quando qualche anno fa ebbe per le mani un vero e proprio tormentone estivo, Oroscopo, arrivò addirittura a rinnegarlo, a non suonarlo più dal vivo, o al massimo a riprodurlo con una voce robotica alla Daft Punk come se vivesse di vita propria, lontano da lui.

Per alcuni artisti, più o meno impegnati, più o meno alternativi, il tormentone rimane un tabù, una volgarità, una resa al sistema. Difficile dargli completamente torto, tuttavia non possiamo affidare la nostra estate alla musica indie, a uno come Gazzelle che in Mezzo Secondo ti dice “sei bella come Kurt Cobain”! Piuttosto mi tengo Coccia di Morto versione urban trap, i Ricchi e Poveri scongelati con i remix alla Skrillex, o la rediviva Pedro di Raffaella Carrà in versione tunz tunz per la gioia di vecchi, all’acquagym della piscina, e bambini, alla baby dance del campeggio.

Soffrirà solo chi la hit estiva non l’ha fatta

Quello che è certo è che non saremo noi a scegliere i tormentoni, come fossero Adelphi da portarsi in spiaggia, ma saranno loro a scegliere noi. E, spero si sia capito per chi ha letto fino a qui, non ci tormenteranno per nulla. Soffrirà solo chi la hit estiva non l’ha fatta: nessuno ricorda mai che la lambada, apice inarrivabile di tutti i tormentoni, fu rubata dalla multinazionale discografica Cbs a un povero gruppo di musicisti andini (Los Kjarkas) coi poncho e i charango, la cui vendetta azteca-montezuma pende da allora su tutti noi.

Per gli insofferenti, odiatori d’estate alla Bruno Martino, tocca aspettare l’autunno, magari sperando che da quelle storie Instagram di Fedez in studio con il mammasantissima dei producer dell’elettronica colta Lorenzo Senni - che pubblica per l’etichetta Warp di Aphex Twin - ne esca qualcosa di buono per farci dimenticare di questo ennesimo Festivalbar 2024.

Nel frattempo ripetiamo come un mantra i versi del poeta Nico Fidenco: “Ti voglio cullare cullare, posandoti su un’onda del mare del mare, legandoti a un granello di sabbia”. Coraggio, settembre è dietro l’angolo.

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