Castelli di carta. A questo sembrano ridotti i governi di Francia e Germania, spazzati via dalle debolezze dei partiti e dei rispettivi leader, incalzati da opposizioni di destra e sinistra sempre più radicali.

Due casi diversi ma uniti dallo stesso sfondo: l’aprirsi dei fronti di guerra con le loro conseguenze economiche e sociali, la retrocessione della globalizzazione, la delegittimazione e il fallimento del dirigismo ambientalista, l’insicurezza provocata dall’immigrazione e dalla fatica dell’integrazione, gli stentati tentativi di rafforzare l’integrazione europea. Fino a pochi anni fa l’epicentro del declino era ben diverso.

C’era l’Europa fredda, transalpina, che cresceva con disciplina, dominava il continente con la sua stabilità politica. Il modello tedesco di Merkel, il modello nuovo di Macron come risposta ultimativa dell’establishment centrista. Oggi si gioca a fare a pezzi l’eredità della Merkel e si depreca Macron come nulla più di una grande illusione.

C’era poi l’Europa calda, mediterranea, debole, instabile, incapace di crescere. I dolori della Grecia sotto la Troika, ma soprattutto il terremoto dell’Italia, il paese dell’onda antipolitica e populista, instabile e caotica, ricettacolo di ricambio feroce dell’élite politica.

Una minaccia per l’euro, un incubatore di proteste radicali, populiste ed euroscettiche, pronto a contagiare il resto d’Europa. C’erano poi la Spagna e il Portogallo, anch’essi sintomi dell’incapacità mediterranea di modernizzarsi e adeguarsi alla globalizzazione e alle regole ordoliberali. I paesi mediterranei venivano chiamati con consueto complesso di superiorità anglosassone Pigs, maiali, con le finanze pubbliche precarie e il disagio socio-economico.

Quella Europa non c’è più, anzi è ribaltata. Dopo aver attraversato crisi finanziaria, crisi migratoria, fiammate populiste, riforme dolorose i paesi mediterranei sembrano aver conquistato una nuova stabilità. La Spagna è governata da una sinistra realista, gli altri paesi da coalizioni di centrodestra che hanno introiettata il vincolo esterno europeo e sopito gli istinti più euroscettici. Gli spread sono sotto controllo, le regole finanziarie europee rispettate, la riconversione energetica dopo la guerra in Ucraina è stata rapida, la crescita è sempre modesta ma in modo non dissimile dall’Europa fredda.

Tutti i paesi sono allineati alla politica della Nato. L’aver scaricato la prima crisi, finanziaria e dei migranti, sui paesi mediterranei non ha evitato che la seconda crisi, quella delle guerre e della globalizzazione, mordesse sull’Europa settentrionale. Segno di un modello che, anche quando appariva vincente, non era privo di debolezze.

Domanda interna debole, manifattura orientata all’export, dipendenza energetica, welfare elefantiaco, burocrazia pervasiva, ambientalismo ideologico sono il mix letale di errori che si sono sovrapposti negli anni.

Il risultato sono Germania e Francia con governi al collasso e con i partiti tradizionali di centrodestra e centrosinistra stretti nella morsa “rossobruna” delle Le Pene e delle Wageknecht, dei Melenchon e delle Weidel. Protagonisti che forse non governeranno nell’immediato ma condizioneranno pesantemente lo scenario politico e le scelte dei governi futuri, più di quanto non stia già avvenendo.

Due paesi che forse troppo a lungo si sono illusi di godere di uno statuto speciale, in virtù della loro potenza, rispetto agli altri paesi europei. Stessa sorte toccata ad altri virtuosi come l’Olanda, finita nelle mani di Wilders, e Austria, altro paese vittima dell’instabilità politica e con un grande partito di estrema destra.

Che lo scenario per l’Europa futura mostri tinte fosche non v’è dubbio, ma forse in questa seconda crisi si possono scorgere delle opportunità. La prima è per i paesi mediterranei, i quali dopo anni di sofferenza, debolezza e colpevolizzazione potranno far valere maggiormente i propri interessi in Europa: sull’immigrazione, sull’energia e sulle politiche per lo sviluppo industriale ad esempio.

La seconda è che per l’Italia, il più grande paese del Mediterraneo e con un governo ancora forte, si aprono sei mesi di vuoto politico europeo in cui Meloni non solo può ma deve prendere l’iniziativa per una integrazione europea realista e mirata ai settori fondamentali come difesa e tecnologia. La terza è che, se si guarda alla due crisi conseguenti l’una all’altra, l’élite europea espressa dai partiti moderati si è rivelata inadeguata a fronteggiare gli imponenti cambiamenti degli ultimi quindici anni.

Non è questione di voler avviare una caccia alle streghe a favore dei populisti, ma un fatto che si evince dal confronto impietoso con gli altri continenti e dall’analisi della situazione politica presente. Una classe governante che si è chiusa in se stessa, aggrappata al passato della globalizzazione illimitata, cullata in utopie dirigiste, oggi è alle corde e trema.

Di conseguenza, la grande crisi franco-tedesca potrà forse innestare nuova linfa, favorire il ricambio della classe politica, praticare una infusione di realismo, addomesticare gli estremisti. Proprio come accaduto ai paesi mediterranei. Che queste possano essere pie illusioni è plausibile, ma il declino appare così profondo da pensarle possibili.

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