Silvio Berlusconi è atterrato a Ciampino e ora è diretto a villa Grande, la sua residenza romana da cui ha intenzione di seguire a distanza ravvicinata le prossime fasi di costituzione del governo. Il suo arrivo nella Capitale, un giorno prima rispetto alle previsioni (la prima seduta del Senato, dove è stato eletto, sarà il 13 ottobre) è il sintomo della tensione tra Forza Italia e l’alleato Fratelli d’Italia.

Nei giorni scorsi si è svolto un vertice ad Arcore, concluso però con un nulla di fatto e anzi con gran scorno del leader: Giorgia Meloni non ha ceduto, ha ribadito di voler presentare un governo di alto profilo e quindi, su una sedia delicata come quella del ministero della Sanità, non può sedere Licia Ronzulli.

Il caso Ronzulli

Parlamentare vicinissima al Cavaliere, ormai il suo factotum politico, Ronzulli aspira a un ministero di peso e la sua precedente professione in ambito sanitario la spinge a chiedere il dicastero che è stato di Roberto Speranza e che è anche uno di quelli che gestirà molti fondi del Pnrr.

Meloni, però, avrebbe opposto un netto rifiuto: l’autunno è alle porte e la pandemia non è ancora superata. I prossimi mesi potrebbero tornare difficili e per la Sanità lei pensa a un tecnico, in grado di gestire eventuali nuove ricadute di Covid, anche dal punto di vista della credibilità mediatica.

Questo ha incrinato i rapporti tra Berlusconi e Meloni, che il Cavaliere ha tradotto in un eloquente post su Facebook: «Non esistono, non possono esistere, fra partiti alleati, veti o pregiudiziali verso qualcuno. Se questo accadesse – ma non è il caso nostro - non lo potremmo mai accettare».

La divisione dei ruoli

Al netto del caso Ronzulli, Forza Italia deve discutere cosa le spetterà in dote nel nuovo governo. Il fatto che il partito si sia tirato fuori dalla divisione delle presidenze di Camera e Senato, che verranno affidate a un leghista (Roberto Calderoli il Senato, Riccardo Molinari la Camera) e a uno di Fratelli d’Italia (Ignazio La Russa il Senato, Fabio Rampelli la Camera), impone una compensazione nel governo.

Tradotto: ai quattro ministeri inizialmente previsti se ne potrebbe aggiungere un quinto di minor rilevanza. I nomi nella rosa di Berlusconi sono cinque, tutti con i loro punti di forza ma anche i punti deboli, e il leader non ha intenzione di metterli nelle mani di Meloni senza giocare un ruolo nella scelta dei ministeri da affidare loro.

Già nel governo Draghi, infatti, Berlusconi si era ritrovato tre ministri formalmente propri ma individuati e collocati direttamente dal premier e tutti e tre – Renato Brunetta, Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna – hanno lasciato il partito.

I nomi oltre a quello di Ronzulli sono quelli dell’attuale capogruppo al Senato, Anna Maria Bernini, del sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, della presidente del Senato, Elisabetta Casellati, del coordinatore del partito Antonio Tajani

Bernini

Bernini è forse uno dei nomi più spendibili: in parlamento da 15 anni e una legislatura da capogruppo al Senato, di professione avvocato, originaria di Bologna, il suo nome è il meno divisivo.

Per lei si pensa al ministero dell’Istruzione, ma potenzialmente può essere fungibile anche in altri ruoli. Su di lei Meloni non avrebbe appunti particolari da fare, ma rischia di essere sacrificata in una sorta di testa a testa con Ronzulli che, se non ottenesse la Sanità, potrebbe puntare proprio all’Istruzione.

Tajani

Ex monarchico, una carriera da europarlamentare e l’incarico prestigioso di presidente del parlamento europeo con il Ppe, Antonio Tajani è il coordinatore di Forza Italia. Proprio la sua dimestichezza con i livelli europei e lo standing internazionale guadagnato in Europa lo rende papabile per la carica di ministro degli Esteri.

Nei primi giorni di dialogo con Meloni, il suo eccessivo attivismo in chiave di ritorno personale sarebbe stato fonte di tensioni interne a FI e in particolare di fastidio da parte di Ronzulli.

Sisto e Casellati

I due nomi si rincorrono per la casella del ministero della Giustizia. Formalmente, prima di loro c’è il magistrato Carlo Nordio, voluto da Meloni in parlamento e scelta quasi naturale per via Arenula. Se gli incastri diventassero complicati, però, Forza Italia ha messo in campo due candidati possibili.

Francesco Paolo Sisto, attuale sottosegretario alla Giustizia, è un noto avvocato barese, ha grande dimestichezza con l’ambiente ministeriale ed è stato utile manovratore della macchina per la guardasigilli Marta Cartabia, meno abituata di lui alle sottigliezze romane. Il suo è un nome tenuto coperto, che vanta pedigree inferiore rispetto a Nordio ma che avrebbe un vantaggio: la capacità di far funzionare un ministero che, per la politica di FdI, non è centrale ma che può diventare una difficile grana da gestire, soprattutto se Nordio – da sempre considerato magistrato “esetico” e un battitore libero – entrasse in polemica con i suoi ex colleghi.

Contro di lui gioca il fattore del precedente governo, visto che Sisto è stato uno degli attuatori della riforma Cartabia, che il centrodestra vorrebbe parzialmente smantellare.

Elisabetta Casellati, invece, è l’attuale presidente del Senato, avvocata padovana ed ex membro laico del Consiglio superiore della magistratura. Anche lei conosce bene la macchina della giustizia, anche se non gli ambienti ministeriali. In parlamento non si è fatta amare a causa di un presunto cattivo carattere e la sua posizione si è indebolita nel corso dell’elezione del presidente della Repubblica, con i franchi tiratori interni anche al suo partito che ne hanno bruciato le aspirazioni quirinalizie.

Rimane un nome di peso nel partito, tanto da ottenere una candidatura blindata nel collegio di Potenza, ed è una figura che non potrebbe incontrare veti sulla professionalità, almeno sulla carta.

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