Un premier socialista che va a stringere mani a Pechino, una amministrazione trumpiana che va su tutte le furie e Xi Jinping in persona che invita l’Europa a fare squadra contro la guerra commerciale sferrata in modo arbitrario dalla Casa Bianca. In tutto questo dov’è l’Ue? Tatticamente più dialogante di prima con la Cina, ma sostanzialmente in attesa che partano i negoziati con quello che per Ursula von der Leyen resta l’alleato per definizione: Washington.

Lo schema di Bruxelles

Il commissario Ue al Commercio aveva già riaperto le interlocuzioni con la Cina, dove si è recato a fine marzo; l’ultima telefonata coi suoi omologhi cinesi risale a martedì. Questo venerdì il premier socialista spagnolo a Pechino ha incontrato il suo omologo e pure Xi Jinping. A luglio il viaggio cinese spetterà alla stessa Ursula von der Leyen, in occasione di un vero e proprio summit Cina-Ue.

Si intravede uno schema di gioco affine a quello che la presidente di Commissione ha dovuto sviluppare con Donald Trump in assenza di un invito di lui alla Casa Bianca: prima ha spedito a Washington il commissario al Commercio, che ha avviato i canali e che lì tornerà lunedì; poi da Washington passerà un capo di governo (Giorgia Meloni in questo caso) sempre «coordinandosi con l’Ue».

E c’è da scommettere che pure von der Leyen metterà la faccia nello Studio Ovale, quando sarà il momento. Il commissario Maroš Šefčovič è in contatto quotidiano con gli Usa, ha già predisposto i negoziati (l’avvio dei quali Meloni spera di poter spacciare come proprio trofeo americano) e «It is not a negotiation until it is» cioè quando Trump fischia il via.

La presidente della Commissione europea – il cui stile accentratore è ormai conclamato – tira tutte queste fila. Ma riguardo alla propria esposizione usa massima cautela tattica: niente proclami di riavvicinamento alla Cina e paziente attesa con Trump. Nel frattempo la tensione tra Washington e Pechino sale di giorno in giorno, e appena gli europei sfiorano la Cina gli Usa lanciano messaggi di fuoco.

Tra i due litiganti

Ora che Trump ha anche tolto le limitazioni ai getti d’acqua, potremmo veder sgorgare fiotti di lacrime da coccodrillo dal volto di Scott Bessent. Infatti il segretario al Tesoro Usa va dicendo che gli europei dovrebbero far blocco con gli Stati Uniti nella contrapposizione con la Cina dopo che Washington stessa ha colpito ripetutamente gli europei senza curarsi dell’alleanza, relegata pubblicamente a un «kiss my ass». Lo stesso blocco di fatto (dazi colossali) alle esportazioni cinesi spingerà quell’export verso il mercato europeo sottoponendolo a pressioni e rischio di dumping. Gli attacchi alla Groenlandia, quelli commerciali, quelli alle regole, la marginalizzazione nei negoziati sull’Ucraina e chi più ne ha più ne metta: di fronte a una tale quantità e gravità di affondi trumpiani, persino la filoatlanticissima Ursula von der Leyen ha cominciato cautamente a rivolgersi a Pechino.

Più che di una reale svolta della Commissione, al momento si tratta innanzitutto di un tentativo di mitigare l’impatto (e il dumping) generato dall’aspro scontro tra Usa e Cina e, chissà, magari di far leva su quello scontro per vantare un potere di mediazione. In quest’ottica vanno rilette le dichiarazioni di Bessent: «Se davvero il governo spagnolo dice che bisogna allinearsi di più alla Cina… Beh, sarebbe come tagliarsi la gola da soli. Sapete chi è il principale trasgressore del sistema commerciale globale? È la Cina. Sono loro gli unici che hanno fatto una escalation: producono senza fine e invadono con le loro esportazioni. Con i nostri alleati – anche se l’alleanza non è perfetta – alla fine troveremo un accordo, e potremo negoziare con la Cina come gruppo».

Quando Trump ha lanciato i dazi, pur dissentendo su questa opzione, nel suo discorso von der Leyen ha detto di «concordare con Trump che altri stiano avvantaggiandosi in modo scorretto delle attuali regole del sistema commerciale globale». Ha pure detto di «essere pronta a supportare gli sforzi per adattare il sistema». Da ormai anni la Cina segue la Russia nei documenti prodotti dalle istituzioni europee, come realtà dalla quale guardarsi.

Xi, Sánchez e gli «orizzonti»

I dazi degli Usa contro la Cina sono al 145 per cento, e Pechino ha appena alzato i suoi contro gli Usa al 125 per cento, con messaggio di Xi Jinping annesso: «Non ci facciamo intimorire».

Questo venerdì, durante la visita del premier spagnolo, il presidente cinese si è espresso anche sui rapporti con l’Europa: «Cina e Ue – due grandi economie mondiali sostenitrici del libero commercio – devono corrispondere alle loro responsabilità internazionali, lavorare insieme per salvaguardare la globalizzazione e l’ecosistema commerciale, respingere congiuntamente azioni unilaterali e prepotenze arbitrarie. Così tuteleranno i propri interessi e aiuteranno anche la comunità internazionale, rafforzando ordine e regole».

Quanto a Sánchez, a Pechino, oltre ad annunciare la firma di accordi e protocolli tra Spagna e Cina, ha sottolineato che si muove nel rispetto e in sinergia con l’Ue, «della quale la Cina è un socio». Il summit Ue-Cina si terrà a Pechino a luglio, nella seconda metà del mese. Intanto crescono i rumor su una intesa in lavorazione sulle auto elettriche, per le quali l’Ue aveva imposto dazi nel 2024; ma già all’epoca neppure la Germania era d’accordo. Šefčovič interloquisce al riguardo con Pechino già da prima del suo viaggio di marzo.

Ai cronisti che gli chiedevano se temesse di inasprire le relazioni con gli Usa, il premier spagnolo ha risposto che i suoi sforzi non vanno letti in ottica di contrapposizione ma semmai «di difesa del sistema multilaterale». «Il momento è complesso e bisogna allargare l’orizzonte».

I dazi di Trump accelerano le relazioni tra gli altri attori: a febbraio von der Leyen era in India a lavorare a un’intesa, e l’India dà segno di voler accelerare. Come pure la nostra Confindustria: «L’accordo di libero scambio Ue-India è una priorità strategica», ha segnalato in simultanea alla missione di Antonio Tajani a Nuova Dehli.

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