«Washington punta a spazzare via ogni limite sul digitale», avvertono gli eurodeputati. Gli Usa vogliono dagli europei anche più spese militari, deregolamentazione, divorzio dalla Cina
Questo venerdì il commissario Ue al Commercio è tornato a trattare (in videochiamata) con Washington, che preannuncia nuovi dazi contro il settore farmaceutico: Ursula von der Leyen martedì incontra l’industria del farmaco.
Bruxelles vuole negoziare, ma Washington che cosa vuole?
Via libera agli oligopolisti
Nel “Liberation Day After”, cioè il giorno dopo l’annuncio dei dazi, Andrew Ferguson, presidente della Federal Trade Commission degli Usa, era all’Atlantic Council di Washington con la vicepresidente di Commissione Ue Teresa Ribera.
L’agenzia diretta da Ferguson dovrebbe occuparsi di libera concorrenza, ma la presidenza trumpiana si regge sugli oligopoli; e l’Ue stessa sta cambiando il suo approccio, dall’antitrust dell’èra Vestager ai «grandi campioni» della “competitività” draghiana.
Ribera sta appunto lavorando a una riforma. Nel frattempo l’interlocutore americano si è premurato di farle sapere quanto lui sia «suspicious» – a dir poco diffidente – riguardo al Digital Markets Act e alle leggi che a suo dire «puntano alle aziende americane».
Un lasciapassare per Musk
Ci sono già contenziosi aperti nell’ambito delle regole digitali delle quali l’Ue si è dotata negli ultimi anni (il Digital Services Act, il Digital Market Act, l’AI Act). A dicembre del 2023 la Commissione Ue ha aperto un procedimento contro X per valutare se l’azienda «possa aver violato il Digital Services Act in ambiti legati a gestione del rischio, moderazione dei contenuti, dark pattern, trasparenza pubblicitaria e accesso ai dati per i ricercatori».
All’epoca il commissario era Thierry Breton, insultato da Musk, e che ha perso all’ultimo un secondo mandato dopo un accordo tra Macron e von der Leyen.
Da allora sono successe molte cose: l’insediamento di Trump, gli interventi di Musk su X per sostenere AfD, le domande dei cronisti a von der Leyen per capire se l’applicazione delle regole rischiasse di finire insabbiata sotto le pressioni Usa.
In queste ore fa scalpore la cifra ipotizzata dal New York Times per la multa che Bruxelles potrebbe affibbiare a Musk a conclusione di indagine (un miliardo di dollari); la Commissione liquida la notizia: «Il procedimento è ancora in corso, non c’è una proposta di multa».
Sfondare i vincoli tech
Le regole non dovrebbero essere oggetto di trattativa, ma gli interessi privati in Usa sono al governo (e lo è Musk: vale anche per tutti i potenziali affari con istituzioni e governi europei). Gli attacchi contro le regole Ue sono frontali e multipli: partono dall’amministrazione Trump, compreso Vance, legato all’imprenditore tech Thiel, e dai big come Zuckerberg, convertito al trumpismo.
Abbiamo chiesto a Brando Benifei, che presiede la delegazione dell’Europarlamento per le relazioni con gli Usa, cosa vuole Washington (dove atterrerà mercoledì): «Che si applichino in modo poco incisivo gli obblighi di trasparenza sulle informazioni tecniche, sulle contromisure per evitare la generazione di contenuti violenti e illegali e sulla tutela del diritto d’autore nell’AI Act».
Per l’eurodeputata verde tedesca Alexandra Geese gli Usa «vorrebbero abolire tutta la legislazione: Dsa, Dma e AI Act». «La mia impressione – dice a Domani – è che diversi attori abbiano diversi interessi principali: Apple e Google il Dma, X e Meta il Dsa. Trump vuole fare un favore alle aziende che lo sostengono e in più ha capito che i social sono lo strumento principale per sostituire governi democratici con regimi autoritari alleati».
Abbattere le regole
Finora l’Ue è stata una «regulatory power», cioè una potenza normativa capace di imporre standard globali. Abbattere le regole significa snaturare l’Ue e azzopparla sul piano geopolitico.
Ma è ciò a cui Trump punta. Nel giardino delle rose, ha fatto riferimento alle regole come altra forma di dazio; è lo stesso slogan che i leader europei, da Macron a Meloni, usano per giustificare la deregolamentazione avviata in Ue (sugli obblighi delle corporation in ambito socioambientale).
Le regole come lacci di cui liberarsi: è la visione imperante, meloniana («non disturbiamo le imprese») e di von der Leyen, che su questo negozierà, anche se senza proclami. Nei sogni di Trump c’è pure l’attacco al principio di precauzione: tutela i consumatori e tiene fuori dal mercato Ue polli al cloro, carne agli ormoni, ogm.
Dalla Cina alla Groenlandia
Comunque vada il negoziato sui dazi anti Ue, quelli contro la Cina potrebbero incentivarla a usare il mercato europeo come sbocco alternativo: von der Leyen teme il dumping, pensa a contromisure (mentre tarda su quelle in reazione agli Usa); gli osservatori dicono che i dazi potrebbero per paradosso allontanare invece che riavvicinare Ue e Cina.
Trump fa una mossa a tenaglia: pretende che l’Ue stia contrapposta alla Cina (che per lui è la rivale) e al contempo attacca e mira a indebolire l’Ue.
Caso esemplare è l’assalto sulla Groenlandia: «Non permetteremo che dipenda dalla Cina», ha ribadito Marco Rubio. Ma l’assalto trumpiano non si è placato neppure dopo le promesse del governo danese di aumentare i suoi contributi alla difesa dell’Artico.
Come con l’accordo sui minerali di Kiev, Trump mira a saccheggiare per sé le risorse e a lasciare agli europei le esternalità negative.
Le spese e le armi
Last but not least: la Casa Bianca vuole che gli europei spendano di più in armi, possibilmente americane; nel lanciare l’ultimo modello di jet, Trump ha parlato di «air dominance» (dominio aereo) Usa.
Alla Nato il segretario generale Mark Rutte ha detto, giusto questo venerdì, che «abbiamo sentito un messaggio chiaro da Rubio, sia sull’impegno Usa nella Nato, sia su una aspettativa netta che l’Europa debba assumersi più responsabilità per la sicurezza comune e che continui ad aumentare le spese militari».
Aspettativa corrisposta: «Quindi investiremo molto di più, come alcuni hanno già cominciato a fare. Ed abbatteremo le barriere regolatorie alla produzione industriale».
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