Il 30 giugno e il 7 luglio quasi 50 milioni di francesi saranno chiamati alle urne per rinnovare l’Assemblea nazionale, dopo che Emmanuel Macron ha scelto di convocare nuove elezioni a seguito della débâcle del suo partito alle europee e la crescita esponenziale di Rassemblement national, il partito di Marine Le Pen. Un azzardo o una decisione ben calcolata? 

Quel che si può dire è che c’è la possibilità che diventi premier per la prima volta un esponente lepenista, l’enfant prodige Jordan Bardella. Macron resterà all’Eliseo a prescindere dall’esito del voto, ma è sempre più probabile che lo farà coabitando con un capo del governo dal colore politico diverso. Ma come e per cosa si vota? Che tipo di governo ci sarà? La legge elettorale può condizionare l’esito del voto? E cosa dicono gli ultimi sondaggi?

Gli schieramenti in campo

Ormai da anni la competizione elettorale in Francia è tendenzialmente tripolare. Ma questa volta ci saranno alcune differenze, perché le sinistre correranno insieme nel Nouveau Front Populaire, quasi 90 anni dopo l’analogo esperimento del 1934, nell’Europa dei totalitarismi. Per provare a fermare le destre il Partito socialista, la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, i Verdi e il Partito comunista hanno scelto di unirsi in un unico cartello elettorale, con candidati unitari.

C’è poi Renaissance, il partito di Macron e del premier Gabriel Attal, stretto tra i due estremi. A destra la forza trainante è il Rassemblement national, mentre i repubblicani si sono spaccati sull’appoggio alla formazione di Le Pen e Bardella. Il presidente Eric Ciotti è stato espulso dal partito (decisione poi ribaltata da un tribunale). Alla fine saranno una sessantina le circoscrizioni in cui ci saranno candidati comuni, ma l’ala anti-Ciotti dei Républicains correrà da sola per la maggior parte dei seggi.

Per cosa si vota

Quelle che si terranno il 30 giugno e il 7 luglio saranno elezioni legislative, serviranno per rinnovare la composizione dell’Assemblea nazionale e non c’entrano niente con le elezioni presidenziali, che si tengono ogni quattro anni e che servono per eleggere il presidente della Repubblica.

La camera bassa è composta da 557 membri e, insieme al Senato, è uno dei due rami del parlamento francese. Nel sistema francese, la durata in carica del capo dello Stato è indipendente dall’Assemblea nazionale, perché non può essere sfiduciato in nessun modo. Altro discorso è l’efficienza nel governo, perché l’inquilino dell’Eliseo condivide alcune funzioni con il premier, espressione della maggioranza parlamentare (ma che non necessita di nessuna fiducia iniziale, diversamente dall’Italia, perché si intende “presunta” ed è nominato dal presidente della Repubblica).

Come si vota

In Francia si vota con un sistema elettorale uninominale maggioritario a doppio turno. Viene eletto un solo candidato per ognuna delle circoscrizioni che, come i deputati, sono 577. La loro dimensione non può superare i 150mila abitanti.

Per essere eletti al primo turno si dovrà raggiungere la maggioranza assoluta e un numero totale di voti pari almeno al 25 per cento degli elettori registrati. In una circoscrizione composta ad esempio da 100mila elettori, se in valori assoluti si ottengono 20mila preferenze, il dato non basta per risultare eletti, anche se si è raggiunto il 50 per cento più uno dei voti. Al secondo turno passano tutti i candidati che hanno superato il 12,5 per cento di consensi, e risulterà eletto chi prende un solo voto in più degli altri.

Una legge elettorale che penalizza Le Pen?

Le legislative del 30 giugno e del 7 luglio saranno inevitabilmente diverse dalle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Non solo per ragioni politiche – dall’unità delle sinistre alla chiamata al «voto utile» per fermare le destre – ma anche per le caratteristiche della legge elettorale. Per l’Europarlamento si è votato con un proporzionale puro, mentre il maggioritario porta a una distribuzione di seggi diversa rispetto alla forza proporzionale dei singoli partiti.

Il partito che ha ottenuto più voti al primo turno non necessariamente avrà un peso uguale nell’Assemblea nazionale, perché molto dipenderà dalle coalizioni che si formeranno al secondo turno. Questa dinamica tende spesso a sfavorire i partiti più estremi, perché gli elettori dello schieramento politico opposto tendono a scegliere – quando c’è una sfida a due – il partito “più vicino”. Per questa ragione, ad esempio, nel 2022 Rassemblement national ha visto i propri consensi diminuire al secondo turno. Per contro, la coalizione di Macron ha aumentato i propri voti tra i due turni, così come i partiti di sinistra.

Ma questa volta la meccanica anti Le Pen potrebbe non funzionare. Perché è più forte rispetto a due anni fa, e perché – anche a causa dell’unità delle sinistre – tutti e tre i poli potrebbero superare in molte circoscrizioni la soglia del 12,5 per cento, tripolarizzando anche il secondo turno e facendo così venir meno la logica del “voto utile”.

I sondaggi 

I sondaggi pre-elettorali confermano l’attrazione per il partito di Le Pen vista alle europee, e danno il Rassemblement national – insieme ai repubblicani di Ciotti (Lr-Ciotti) – intorno al 35 per cento. Il Nouveau Front Populaire è stimato al 29,5 per cento, dieci punti sopra la coalizione messa in piedi dal presidente Macron, Ensemble, al 19,5 per cento.

Il rischio di una “coabitazione”

Macron molto probabilmente non potrà contare su un premier del suo stesso partito, e sarà costretto a coabitare con un esponente di una formazione diversa. Secondo i sondaggi, il capo del governo potrebbe essere espressione di Rassemblement national, e Bardella è il vero favorito a sostituire Attal.

Ma c’è la possibilità che, vista la tripolarizzazione del sistema politico francese, l’esecutivo che si formerà dopo il 7 luglio non possa contare su una vera maggioranza parlamentare, e sarà costretto a governare potendo contare solo su una minoranza di deputati. Con la conseguenza di dover negoziare su ogni dossier, con un presidente della Repubblica appartenente a uno schieramento diverso. 

«La Francia è avvertita: potresti diventare l’Italia dopo le elezioni», è il titolo di un articolo di Politico. Il riferimento, come noto, è all’instabilità cronica dei governi italiani. Ma questa volta il rischio è che arrivi anche oltralpe. 

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