Se venisse condannata, sarebbe anche considerata ineleggibile per le elezioni presidenziali del 2027, dove al momento è data per favorita
Il 30 settembre è cominciato a Parigi un processo contro Marine le Pen e diversi alti funzionari del Rassemblement national coinvolti in un’inchiesta che li accusa di aver usato dei fondi del Parlamento europeo per finanziare il loro partito tra il 2004 e il 2016. Tra gli imputati ci sono anche 9 ex eurodeputati del partito, 12 ex assistenti parlamentari e 4 collaboratori.
Tra questi non figura Jordan Bardella, attuale presidente del Rn, al tempo collaboratore parlamentare. Secondo il giornalista di Liberation Tristan Berteloot, aveva contribuito a falsificare dei documenti e a fabbricare delle finte prove per dimostrare il suo lavoro a Strasburgo, mentre lavorava a Parigi per il partito. Bardella ha smentito queste insinuazioni definendole «un grossolano tentativo di destabilizzazione».
I precedenti
Il caso era cominciato nel 2015 quando l’allora presidente del parlamento, Martin Schulz, aveva segnalato delle incongruenze relative a un gran numero di contratti per assistenti parlamentari. Schulz aveva scritto al ministero della Giustizia francese che a sua volta aveva trasferito la questione alla procura di Parigi.
Secondo l’accusa questi assistenti non avrebbero mai lavorato al parlamento europeo, ma avrebbero solo fatto da prestanome, per poi svolgere le loro regolari mansioni all’interno del Rassemblement National (allora chiamato Front National). Lo statuto del Parlamento vieta espressamente che i fondi versati ai deputati per assumere assistenti siano utilizzati per finanziare l’attività politica nazionale.
Le accuse
La procura al momento ha chiesto cinque anni di carcere e l’ineleggibilità per Marine Le Pen: se le accuse dovessero essere confermate e la pena validata, ciò significherebbe che la leader non potrebbe concorrere alle elezioni presidenziali previste per il 2027.
Durante la requisitoria i due procuratori hanno descritto in maniera dettagliata l’architettura di un sistema che secondo loro era stato preparato dall’allora Front National tra il 2004 e il 2016, che consisteva per l’appunto nell’assumere assistenti parlamentari fittizi per farli poi lavorare per il Fn. Secondo il pm Le Pen era centrale all’interno di questo sistema: «Era lei a prendere le decisioni, il funzionamento del partito ha preso tutta un’altra direzione con il suo arrivo in testa». E ha aggiunto che «questo sistema mirava a fare del parlamento europeo la sua vacca da latte».
L’ex presidente del Rn ha detto più volte che secondo lei c’è «una volontà di impedire ai francesi di votare chi sostengono e di rovinare il partito» e ha negato ogni accusa.
Non è il primo partito accusato di aver beneficiato dei fondi europei per usi domestici. Il Rn sostiene che tutto il caso derivi dalle differenze culturali tra Parigi e Bruxelles in merito a cosa rappresenti il dipendente di un partito politico. «Nei partiti politici francesi essere pagati è l’eccezione e fare volontariato è la norma, ma non è così in altre culture politiche europee», aveva detto a Politico un importante funzionario di Rassemblement National chiedendo di restare anonimo: «L’approccio dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode alla politica è assurdo. Se un collaboratore è anche membro del partito, questo fa scattare un campanello d’allarme».
Il Parlamento europeo ha valutato il danno finanziario in 4,5 milioni di euro (6,65 milioni di dollari), ma ne chiede solo 3,4 (5,02 milioni di dollari), di cui una parte è stata rimborsata.
Il processo dovrebbe concludersi il 30 novembre e la sentenza arriverà all’inizio del 2025.
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