Il cancelliere sarebbe nelle condizioni migliori per intestarsi la leadership europea. Ma il salto non arriva: con gli alleati parla sempre più di responsabilità che di guida
Gli astri sono allineati. Basterebbe un passo, ma sembra che non arriverà, almeno non a breve. Lo Spiegel racconta una circostanza in cui l’ex premier olandese Mark Rutte, nel frattempo passato alla presidenza della Nato, chiede a Olaf Scholz di prendere posizione su un certo tema: «Devi intervenire», «Ma se tu stesso stai in silenzio!». Secondo le fonti del settimanale sarebbe andata pressappoco così, ma è soltanto una delle ultime occasioni in cui il cancelliere ha dimostrato che di diventare il protagonista della scena politica proprio non ha intenzione.
Eppure, ci sarebbero tutte le condizioni per ambire a quel posto e anche la necessità di qualcuno che prenda in mano la situazione. Dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, Emmanuel Macron aveva tentato di raccogliere l’eredità della cancelliera, a cui lo legava un ottimo rapporto, ma non era sembrato mai in grado di tenerne il passo e di assumere il ruolo di autorevole e credibile guida dell’Europa com’era riuscita lei a suo tempo.
Macron è riuscito a vincere la sua scommessa contro Marine Le Pen, ma il suo azzardo elettorale ha restituito una situazione politica difficilissima in Francia che gli lascia meno spazio di manovra per affrontare la politica estera e meno spalle coperte per ambire a muoverla da vero protagonista. Scholz, da parte sua, si è disamorato del motore francotedesco. Tra lui e il presidente non c’è mai stato feeling, dal punto di vista economico le cose non vanno. Non sono sfuggite dunque le manovre del cancelliere verso est: il ritorno in carica di Donald Tusk ha dato a Scholz l’occasione per lavorare sui rapporti con la Polonia. Dopo un’iniziale freddezza una maggiore disponibilità di Berlino sulle riparazioni per la Seconda guerra mondiale ha migliorato la situazione, offrendo al governo tedesco anche l’occasione di resuscitare il Triangolo di Weimar, che include anche i francesi.
Intanto, in ambito Nato, verrà realizzato un nuovo quartier generale della Marina a Rostock a difesa del mar Baltico: lo governeranno a turno militari tedeschi e polacchi.
L’America
D’altra parte, oltreoceano – a meno di sviluppi delle prossime ore – gli Stati Uniti si avviano a grandi passi verso una nuova presidenza Trump, soprattutto dopo lo scatto di reni dell’ex presidente successivo all’attentato. Ma il cancelliere sa trattare con Trump. Durante la sua ultima presidenza era ministro delle Finanze e all’ombra di Merkel che teneva il punto sulla bussola morale provava a trovare soluzioni pragmatiche, come quella necessaria per ribilanciare la costruzione del Nord Stream II, il gasdotto che avrebbe collegato Russia e Germania nel mare del Nord. Washington chiedeva compensazioni importanti e Scholz era pronto a concederle per chiudere il doppio accordo con Russia e Usa, poi la guerra ha cambiato le carte in tavola.
Portando, tra le altre cose, la Zeitenwende, e con lei il fondo speciale per la Bundeswehr, le forze armate. Su questa spinta di riarmo Scholz ha in parte contribuito a spingere anche gli altri paesi europei ad avvicinarsi al traguardo di spesa del 2 per cento del Pil in investimenti militari. In realtà, i soldi sembrano non bastare: è notizia delle scorse settimane che il ministro della Difesa Boris Pistorius non abbia ricevuto il denaro che si aspettava nella legge di bilancio per il prossimo anno. Questo, nonostante l’operazione sia stata venduta come grande sforzo economico e perfino maggiore impegno politico: ora rischia di non avere il seguito di cui avrebbe bisogno per impostare un vero cambiamento strutturale nella difesa tedesca.
Al di là del contesto europeo – dove, come sul piano federale, la sua massima è sempre stata “chi la dura la vince” – anche sul piano geopolitico mondiale Scholz non ha ancora trovato (o voluto trovare) la chiave giusta per impostare il discorso come vorrebbe. Il weiter so (avanti così),, un classico della politica tedesca (si tratta di uno storico slogan elettorale della Cdu), sembra aver contagiato anche lui. Difficilissimo recidere definitivamente i legami con la Russia, nei primi mesi di guerra, quando i colleghi europei lo spingevano ad accelerare i tempi. Una volta fatto il passo, la Germania è però diventata il secondo maggior fornitore di armi per l’Ucraina.
Il resto del mondo
Scholz ha anche provato a giocare sul solido – giudicato da alcuni controverso – legame economico che unisce Berlino e Pechino, senza ottenere però dai cinesi veri passi avanti sul rapporto preferenziale con Putin. Durante il suo viaggio lo scorso aprile aveva provato a chiedere a Xi Jinping di intervenire sulla linea russa: «La parola della Cina ha grande peso in Russia». Parole cadute nel vuoto, tanto che la Cina non ha nemmeno partecipato alla conferenza di pace in Svizzera.
Da Mosca intanto non apprezzano gli sforzi del cancelliere. Lo testimonia una notizia che non ha avuto troppo risalto ma ha preoccupato molto i corpi intermedi dell’amministrazione pubblica: i preparativi per assassinare il capo di Rheinmetall. La Cnn a inizio luglio ha rivelato i piani russi per l’omicidio di Armin Papperger, a capo del principale produttore di armi in Germania. Solo un intervento dei servizi segreti americani e di quelli tedeschi, che hanno rafforzato la protezione personale dell’ad, hanno potuto evitarlo. Si tratterebbe di uno all’interno una serie di attentati da mettere in atto contro chi fornisce armi a Kiev.
Dopo la scoperta, la ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha esortato pubblicamente gli alleati Nato e quelli europei a mostrarsi uniti contro l’ennesima faccia della guerra ibrida da parte della Russia nei confronti degli alleati Nato. Ma l’attentato non ha avuto vere conseguenze (perlomeno pubbliche), se non l’indignazione della maggioranza dei partiti.
Sembra che la reazione, lo scatto, alla fine non arrivino mai. Neanche a inizio mese, quando Scholz ha partecipato al vertice Nato. L’aspettativa era che il cancelliere riuscisse a convincere gli Stati Uniti che l’Europa resta importante nelle geografie atlantiche anche nel caso in cui venga eletto Trump. Scholz è stato lodato per gli investimenti militari e apprezzato dagli altri leader per la sua affidabilità, ma la pretesa di intestarsi la leadership non c’è stata e non ci sarà, almeno a stretto giro: il cancelliere parla molto più volentieri di responsabilità che di guida.
Non è detto che sia una formulazione che basti per farsi percepire come autorevole dagli alleati. Ma Scholz è inamovibile. Lo ha detto chiaramente alla fine del vertice: «La Germania è una potenza intermedia. Assumere qualcosa di diverso da politico tedesco sarebbe soltanto una mania di grandezza».
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