Per sostenere la transizione della pesca verso pratiche più selettive e meno dannose, la Commissione ritiene altresì necessario avvalersi di modelli che consentano, tra l’altro, la valutazione e la quantificazione dei benefici socioeconomici derivanti dal mantenimento in buona salute dell’ambiente marino
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
L’Ue ha promosso un Piano d’azione per proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini per una pesca sostenibile e resiliente, finalizzato a preservare stock ittici sani e una ricca biodiversità, nonché a ridurre l’impatto negativo causato dalla perturbazione dei fondali, dalle catture di specie sensibili e da altro. Ma l’Italia è molto critica verso alcune azioni messe in atto.
A febbraio 2023 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure per migliorare la sostenibilità e la resilienza del settore della pesca e dell’acquacoltura dell’Ue. Il pacchetto include una serie di misure, tra le quali si segnala, in particolare, il Piano d’azione dell’Ue per proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini per una pesca sostenibile e resiliente. Il Piano rientra nella politica comune della pesca, su cui nel giugno scorso la Commissione ha avviato una consultazione pubblica.
Il Piano è volto a garantire buone condizioni di conservazione dell’ambiente marino, che risente dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento degli oceani. Il fine è quello di preservare stock ittici sani e una ricca biodiversità; nonché a ridurre l’impatto negativo causato dalla perturbazione dei fondali, dalle catture di specie sensibili e da altro. In particolare, il Piano individua tre obiettivi: rendere le attività di pesca più sostenibili; garantire una transizione equa; rafforzare le conoscenze, la ricerca e l’innovazione.
Rendere la pesca sostenibile
Il Piano contribuisce all’attuazione della strategia europea sulla biodiversità per il 2030 che prevede l’impegno a offrire tutela giuridica al 30 per cento delle aree marine dell’Unione. Per conseguire tale traguardo, la Commissione ha invitato gli stati membri ad adottare misure per proteggere e gestire efficacemente le aree marine protette.
A tale fine, è considerato fondamentale il ripristino e la tutela dei fondali marini, data la loro importanza per la biodiversità marina e per il contrasto ai cambiamenti climatici grazie alla capacità di assorbimento del carbonio. Anche per questa finalità, la Commissione ha invitato gli stati membri a proporre raccomandazioni comuni e ad adottare misure nazionali per eliminare gradualmente la pesca di fondo con attrezzi attivi – in particolare la cosiddetta pesca a strascico, tra le attività più diffuse e dannose per i fondali marini e i relativi habitat – in tutte le aree marine protette al più tardi entro il 2030 e a vietarla nelle aree di nuova istituzione. Sono proposte altre azioni tese a ridurre le catture accidentali di specie minacciate.
Garantire l’equità
Il Piano sottolinea, in coerenza con la nuova strategia del Green Deal europeo, i vantaggi economici di una migliore conservazione degli ecosistemi marini, stimando che proteggere il 30 per cento degli oceani consentirebbe di aumentare di otto milioni di tonnellate le catture, con una crescita di circa il 10 per cento rispetto ai dati attuali.
La Commissione sottolinea, comunque, la necessità di una transizione graduale affinché gli stati membri tengano conto delle esigenze delle comunità locali, prevedendo un sostegno anche finanziario; l’importanza che gli stati facciano un uso strategico dei finanziamenti dell’Ue per la conservazione dei mari, aumentino anche i finanziamenti nazionali e incoraggino gli investimenti privati al medesimo fine; l’esigenza di sviluppare nuovi modelli commerciali, per ridurre l’impronta ambientale del settore attraverso la digitalizzazione e l’uso di attrezzi e tecniche innovativi.
Rafforzare la ricerca
La Commissione europea sottolinea che l’attuazione del Piano d’azione richiede una solida base di conoscenze, da rafforzare mediante raccolta di dati e monitoraggio scientifico sistematici. Ciò deve riguardare non solo le catture di pesca ad alto rischio e il potenziale impatto di tutti i segmenti di flotta interessati, comprese le navi più piccole, ma anche la pesca ricreativa, le imbarcazioni che la praticano e il loro impatto sugli stock e sull’ambiente marino. Ulteriori attività di ricerca e di raccolta di dati dovrebbero essere tese a migliorare le conoscenze sullo stato dei fondali marini e sugli effetti delle attività di pesca sugli habitat dei fondali stessi.
Per sostenere la transizione della pesca verso pratiche più selettive e meno dannose, la Commissione ritiene altresì necessario avvalersi di modelli che consentano, tra l’altro, la valutazione e la quantificazione dei benefici socioeconomici derivanti dal mantenimento in buona salute dell’ambiente marino.
Il ministro Lollobrigida
Dopo l’adozione del Piano, il ministro per l’agricoltura e la sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, si è detto contrario ad azioni quali quelle di contrasto alla pesca a strascico, che penalizzerebbero «i nostri pescherecci con regole rigide che sono inapplicabili verso i paesi terzi». Insomma, per Lollobrigida, siccome certe regole sono destinate agli stati membri, e non ad altri paesi, non andrebbero applicate nemmeno ai primi. Un controsenso.
Poi, nell’ambito di una manifestazione pubblica contro le politiche Ue sulla pesca, il ministro ha pure affermato che occorre «rafforzare l’Europa attraverso consapevolezze maggiori della capacità dei nostri produttori di garantire la nostra libertà, anche con la garanzia della sovranità alimentare». Qualunque cosa ciò voglia dire, è palese lo scarso del ministro verso ciò che serve fare per tutelare i nostri mari.
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