Un sorprendente sondaggio di YouGov ha rivelato che il suo partito di estrema destra Reform è diventata la prima forza nel paese con il 25 per cento, un punto sopra ai laburisti (scesi al 24 per cento) e quattro sopra ai conservatori (fermi al 21 per cento). Il cavallo di battaglia dei migranti e l’effetto Trump
«I politici? Ammettiamolo, sono quasi tutti degli idioti». Parola di Nigel Farage, in un’intervista al tabloid londinese Evening Standard. Che il tratto distintivo del leader di Reform Uk sia la rudezza ma anche la capacità di arrivare dritto al punto, è ormai noto. Nonostante i fallimenti politici, gli scandali e l’incoerenza dimostrata nel corso della sua carriera, Farage è quanto mai sulla cresta dell’onda nel Regno Unito. Tanto che il cuore dell’intervista, così come il dibattito nell’opinione pubblica britannica, è incentrato sulle sue possibilità di diventare il prossimo primo ministro. Segnale che tanto stolto non deve essere, malgrado non abbia escluso il suo nome dalla lista dei cosiddetti idioti in politica.
Reform primo partito nel Regno Unito, il sondaggio
L’ipotesi che Farage possa succedere a Keir Starmer tra circa quattro anni non sembra essere solo una speculazione. Secondo lui stesso, le chance sono del 35/45 per cento. Lo scorso lunedì, un sorprendente sondaggio di YouGov ha rivelato che il suo partito di estrema destra Reform è diventato la prima forza nel paese con il 25 per cento, un punto sopra ai laburisti (scesi al 24 per cento) e quattro sopra ai conservatori (fermi al 21 per cento). E pochi giorni dopo, un nuovo sondaggio di un piccolo istituto, Find Out Now, ha inquadrato Reform al 29 per cento, contro il 25 per cento del Labour e al 18 per cento dei Tories.
Sono solo sondaggi, certo. Ma mai finora il partito di Nigel Farage era stato dato come primo. E l’aver superato stabilmente i conservatori è il successo principale. Non è un caso che ora il leitmotiv di Farage, per convincere gli elettori di destra a votare per lui, sia diventato: «Se volete battere i laburisti, non sprecate il vostro voto con i Tories e scegliete Reform». Un completo ribaltamento rispetto a pochi mesi fa, quando prima delle elezioni di luglio erano i conservatori a battere sullo stesso concetto.
La battaglia contro i Tories è senza esclusione di colpi. Reform, che fa della lotta ai migranti il suo core business, parla del partito conservatore come del partito delle immigrazioni di massa, visto quanto detto e fatto dai recenti ex premier. Il tema è molto sentito nel paese. Tanto più che pochi giorni fa, l’Office for National Statistics ha previsto una crescita demografica nel paese, tra il 2022 e il 2032, del 7,3 per cento. La popolazione potrebbe arrivare a 72,5 milioni di persone da qui ai prossimi sette anni, tutto grazie alla migrazione netta, visto che il numero di nascite e decessi sarà quasi uguale: la stima è che 9,91 milioni di persone arriveranno nel Regno Unito, contro i quasi cinque che se ne andranno. Anche da questi numeri, si può capire il motivo dello scontro e dell’uso politico dell’argomento immigrazione.
Il futuro di Farage e di Reform
Farage, che ha smentito le indiscrezioni riguardo la possibilità di apparentamenti o futuri accordi con fronde di conservatori per creare un partito unico, punta in alto. Pur avendo eletto cinque deputati a luglio, l’ex leader dell’Ukip (e poi del Brexit Party) ha ammesso allo Standard che il partito «non era in grado di combattere per le elezioni generali» perché senza «una struttura». Per questo ha promosso le adesioni al partito, che – secondo quanto annunciato da Reform – hanno superato le 200mila unità.
E poi alcuni suoi candidati lo hanno deluso, ha raccontato ancora, sottolineando come ora il partito abbia maggiore capacità di scelta dei propri rappresentanti. «Non ci faremo più beccare con lunatici o maniaci», ha tuonato. Si alza l’asticella dei requisiti, almeno. Fa riflettere anche il proposito di «essere un partito politico non settario e non razzista», annunciato da Farage. Come se fosse un obiettivo da raggiungere in un futuro non meglio specificato e non la base da cui partire per qualsiasi partito in una democrazia.
Pur di diventare premier, tuttavia, difficilmente disdegnerà l’aiuto di estremisti. Anche perché il sistema elettorale britannico, il First past the post – cioè chi prende più voti in un collegio guadagna quel seggio – in generale avvantaggia i grandi partiti sfavorendo quelli più piccoli. Il primo posto a livello nazionale nei sondaggi, quindi, non per forza è indicativo di una maggioranza in parlamento.
Perché ha successo l’estremista Farage?
In molti, dentro il Regno Unito ma soprattutto fuori dai confini britannici, si pongono una domanda: ma come è possibile che una figura come Farage riesca a raccogliere ancora così tanto consenso? Sono diversi i fattori da tenere in conto. Il primo è che il 60enne è riuscito a riciclarsi dopo aver associato il suo volto quasi esclusivamente alla battaglia per la Brexit, un tema che ormai sembra interessare più all’Unione europea che ai cittadini britannici. Lo ha fatto non abbandonando il carattere populista, usando il suo indubbio carisma e buttandosi su un altro tema facilmente polarizzante come l’immigrazione, costringendo le altre forze politiche a rincorrerlo.
E poi ha sfruttato, e continua a sfruttare, la crisi e la sfiducia attorno ai due partiti tradizionali: i conservatori post Brexit incastrati da scandali e lotte intestine e ora da una leadership, quella di Kemi Badenoch, attualmente impalpabile, e dei laburisti che dopo pochi mesi al governo si trovano con un crollo verticale dei consensi a causa soprattutto di un’economia in difficoltà. Proprio nello spazio generato dall’erosione di laburisti e soprattutto conservatori, sta emergendo Farage.
Il rapporto con Musk e il modello Trump
Ad ogni modo, tra i motivi del successo di Farage c’è anche la ricerca del rapporto diretto con gli elettori, visto che gli incontri e i comizi sono frequenti, oltre allo sfrenato uso dei social tra TikTok e X, cioè l’ex Twitter, il social di Elon Musk. Oltre ai rapporti oltreoceano. Nonostante i numerosi governi di destra conservatrice in Europa, Farage infatti preferisce fare sponda con Washington. L’asse con Musk è controverso. Dopo un intenso sostegno dell’uomo più ricco del mondo, tanto che sembrava imminente un finanziamento multimilionario alla causa di Reform, la mancata apertura del brexiteer a Tommy Robinson – estremista di destra pluricondannato ma supportato dal proprietario di X – ha comportato un’improvvisa giravolta. Musk ha invocato un cambio di leadership in Reform, senza badare al fatto che il merito dell’attuale successo del partito sia da attribuire a Farage. Ora la situazione sembra essere rientrata, con Musk che ha ripreso a rilanciare i post e le dichiarazioni dell’ex leader di Ukip.
Non che sia una sorpresa. Farage ha un legame molto forte con Donald Trump: è andato negli Usa in campagna elettorale perché invitato ai comizi del repubblicano, i colloqui sono costanti e soprattutto Farage vede in Trump, nella sua imprevedibilità, un modello da replicare – in piccolo e in salsa britannica – anche a Londra. Se mai entrerà a Downing Street ha già annunciato di voler creare un Doge, sullo stile di quello americano, per combattere gli sprechi nelle amministrazioni pubbliche.
«Penso che l’effetto di Trump nel Regno Unito nei prossimi quattro anni potrebbe essere trasformativo. Noi tendiamo ad adottare ciò che fanno loro», ha spiegato uno speranzoso Farage, prima di aggiungere: «Ci hanno dato il woke, ma poi gli abbiamo dato il principe Harry». Basterebbe anche solo questa frase per descrivere chi è Farage e perché conquista i britannici.
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