Un patto sulla difesa: è questo uno degli ami coi quali Londra sta provando a riagganciare Bruxelles e a rientrare nel campo di interesse europeo. In vista dell’incontro con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il premier laburista britannico Keir Starmer si esercita nel «reset» delle relazioni tra Unione europea e Regno Unito con l’attitudine che gli è propria: niente grandi visioni né annunci radicali, bensì qualche gesto pragmatico di appeasement, con fini altrettanto pragmatici.

Qualche concessione per il comparto agricolo, per dirne una. Come va dicendo da tempo, per Starmer il punto è di «far funzionare» Brexit – «make Brexit work» e cioè collaudarla meglio – ma di rivederla del tutto non se ne parla proprio.

Bruxelles ricambia con altrettanta prudenza dal versante suo: dopo anni di sfibranti negoziati, di «sausage war» e di «cherry picking» (con Londra che faceva cioè la «guerra delle salsicce» o provava a prendere dall’Ue solo le opportunità per sé favorevoli), adesso l’Ue manda a dire a Downing Street che prima di sperare di riaprire i negoziati deve almeno dar prova di rispettare quelli già conclusi.

Starmer e i piccoli passi

«Finché sarò in vita, non vedremo il Regno Unito rientrare nell’Unione europea, e neppure nel mercato comune e nell’unione doganale». Persino poche ore prima del voto del 4 luglio che gli ha consegnato il governo con margine inaudito, Keir Starmer ha voluto chiarire che non sarà lui il premier delle rivoluzioni copernicane anti Brexit. Gli europeisti che lo hanno sostenuto nel 2020 in occasione della sua elezione a leader laburista hanno già avuto tempo e occasioni per smaltire la delusione.

È lontano quel 2016 in cui Starmer, nominato da Jeremy Corbyn come ministro ombra dell’uscita dall’Ue, invocava un secondo referendum per scongiurare che Brexit divenisse effettiva. Prima come leader di partito e poi come guida del paese, il laburista moderato ha fatto intendere di non voler rivedere radicalmente la questione.

Il suo obiettivo è semmai di “aggiustare” Brexit rivedendo in forma migliorativa gli accordi con l’Ue. «Ovvio che avrei voluto sentire qualcosa di più incoraggiante: da europeista convinta, che ha lottato contro la Brexit, non la accetterò mai», dice a Domani Elena Remigi, eletta nel Consiglio generale degli italiani all'estero, fondatrice del progetto “In Limbo” e che si occupa dei diritti dei cittadini europei e britannici con la Brexit. «Ma sono anche realista e mi rendo conto che ormai la frittata di Brexit è fatta. Per quanto si sia dimostrata un disastro, la percentuale di contrari non è ancora dirompente». Sei su dieci, dicono gli ultimi sondaggi YouGov. «Starmer non vuole porsi come figura divisiva»: invece di prospettare un orizzonte di rientro nell’Ue, procede un passo alla volta.

Il reset con Bruxelles

Il primo passo è stato un giro di valzer di incontri. Oltre a Starmer stesso, che ha parlato di un «reset» delle relazioni e che ha battezzato la stretta di mano con Charles Michel quando ha ospitato a Londra un incontro della Comunità politica europea, anche i membri del suo governo si sono dati da fare con gli incontri e le promesse. «Torniamo sul palco dell’Ue»: David Lammy, segretario di stato agli Affari esteri. «Serve una cooperazione strutturata con Bruxelles»: Nick Thomas-Symonds, che ha la delega agli Affari europei.

E l’Ue? Dopo i tempi di Boris Johnson che sabotava il protocollo nordirlandese, e dopo quelli di Rishi Sunak nei quali si è faticosamente siglato il “quadro di Windsor”, ora Bruxelles fa presente che prima di ventilare nuovi negoziati bisognerebbe quantomeno rispettare quelli già conclusi.

L’Ue chiede «serie dimostrazioni di impegno». Londra mostra «good faith» - buona fede, intenzioni serie – esibendo iniziativa: Starmer ha iniziato proponendo un patto Ue-Londra per difesa e sicurezza, ma sta pure provando a riallineare la normativa nel settore agroalimentare nella speranza così di addolcire – se non Brexit tutta – almeno qualcuno degli effetti più spiacevoli del divorzio.

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