- Anche se uno dei temi forti è l’energia, gli enormi lampadari di cristallo sono stati accesi tutti: non c’è sobrietà alcuna. Nella sala che ospita i capi di stato e di governo, se ne contano una trentina: molti, ma comunque meno dei leader stessi, che sono quarantatré. Nel castello di Praga è stato celebrato questo giovedì il battesimo della «comunità politica europea», il progetto di matrice macroniana.
- L’Eliseo lo ha lanciato il 9 maggio, quando per Macron la «confederazione», poi diventata «comunità», rispondeva all’esigenza di dare segnali di benvenuto all’Ucraina, e ad altri paesi in coda per entrare nell’Ue, senza però vender loro illusioni. Nel frattempo il quadro si è evoluto.
- Quel che è certo è che, se si limita a un paio di incontri all’anno con il «vicinato», la costruzione resta fragile. Quel che è ancora da vedere è fino a che punto i leader europei faranno naufragare il piano per una riforma interna all’Ue: l’Europarlamento chiede una convenzione, i governi rinviano le prime decisioni a fine novembre. Ma si può allargarsi senza anche rafforzarsi?
Anche se uno dei temi forti è l’energia, gli enormi lampadari di cristallo sono stati accesi tutti: non c’è sobrietà alcuna. Nella sala che ospita i capi di stato e di governo, se ne contano una trentina: molti, ma comunque meno dei leader stessi, che sono quarantatré. Nel castello di Praga è stato celebrato questo giovedì il battesimo della «comunità politica europea», progetto di matrice macroniana che nelle intenzioni dell’Eliseo doveva essere «una nuova organizzazione europea che consenta alle nazioni sul solco dei nostri valori di trovare un nuovo spazio di cooperazione politica e di sicurezza».
Il nuovo formato
Con queste parole il presidente francese, Emmanuel Macron, ha lanciato il progetto, davanti all’Europarlamento, in un giorno scelto non a caso: 9 maggio, festa dell’Europa. Per Macron, la «confederazione», poi diventata «comunità», rispondeva all’esigenza di dare segnali di benvenuto all’Ucraina, e ad altri paesi in coda per entrare nell’Ue, senza però vender loro illusioni. Nel frattempo il quadro si è evoluto: Mario Draghi ha convinto prima Macron e Olaf Scholz, e di conseguenza gli altri leader Ue, ad assegnare lo status di candidata all’Ucraina e alla Moldavia; era il Consiglio europeo di giugno, lì Draghi falliva sul tetto al gas, ma riusciva sul futuro europeo per Kiev. Il percorso di ingresso consente ora alla Commissione di poter intervenire sui percorsi di riforma interni all’Ucraina, ritenuti da Bruxelles e dai governi punti chiave per gestire le sorti degli investimenti per la ricostruzione. Cosa resta quindi della «comunità politica», fatta per far sentire chi aspetta l’ingresso nell’Ue meno fuori dalla stanza delle decisioni, ma neppure del tutto dentro? Resta l’anticamera, delle decisioni. O meglio, una grande sala per confrontarsi su guerra ed energia, ma pure tante stanzette antistanti, per bilaterali e scambi. Succede così, a Praga, di vedere Macron chiacchierare col presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, che a sua volta incontra il premier armeno; o di ritrovare vecchie conoscenze: c’è anche il Regno Unito di Brexit con Liz Truss.
Cosa viene dopo
«Aiutandoci, aiutate voi stessi»: è intervenuto in remoto anche il premier ucraino. Proprio la guerra ha accelerato sia i processi di adesione sia la costruzione di un gruppo più ampio. Josep Borrell, che come Alto rappresentante si occupa della politica estera dell’Ue, dice che «questa comunità è il modo migliore per l’Europa per costruire un nuovo ordine di sicurezza». Ma se si limita a un paio di incontri all’anno con il «vicinato», la costruzione resta fragile. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato un messaggio che guardava a Praga: «È una responsabilità indifferibile di stati e istituzioni Ue trovare soluzioni innovative idonee per garantire sicurezza», ha detto, sottolineando che sulla difesa comune i passi fatti sono ancora «modesti». Proprio sul tema della difesa, molti governi, e famiglie politiche come quella popolare, sono pronti a spingere su un adeguamento dei meccanismi decisionali dell’Ue. Come Scholz ha osservato sempre a Praga, ma ad agosto all’università Carolina, se ci si allarga, anche le dinamiche interne all’Ue devono cambiare. Il punto è che però poi Berlino stessa non investe politicamente su un’idea di convenzione, che è il preludio per riformare i trattati, e sulla quale ha spinto invece – con tanto di voto – l’Europarlamento. Il consiglio Ue per gli Affari generali sta valutando le opzioni – convenzione, vere e proprie riforme, oppure le cosiddette “passerelle” per schivare l’unanimità – e voterà sul tema il 18 novembre.
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