Questo martedì i trattori tornano in piazza a Bruxelles: è l’ultima settimana prima delle elezioni e il nuovo corteo agricolo è un chiaro tentativo di prolungare l'impatto sulla politica europea da parte del settore produttivo che più ne ha influenzato il corso nel 2024, avviando il rigetto delle politiche ecologiche dell’Unione europea. Hanno già vinto diverse battaglie; la Commissione ha fatto marcia indietro sui pesticidi e sui requisiti ambientali per accedere ai sussidi. Ma i trattori vogliono continuare a incidere e puntano a influenzare il voto per l'Europarlamento.

Le frange più estreme

A manifestare questo martedì sono i più reazionari e vicini alle destre estreme. I temi della protesta sono gli stessi delle barricate dello scorso inverno: no al Green Deal, no alla transizione, no alla lotta contro i cambiamenti climatici. Inizialmente, l'obiettivo di questa protesta era paralizzare la città portando centomila trattori da tutta Europa. La scala della manifestazione sarà in realtà di poche migliaia, abbastanza comunque per fare rumore e generare caos. Non ci saranno i grandi gruppi, non aderiscono i membri di Copa-Cogeca.

Ci saranno però gli agricoltori olandesi di Farmers Defence Force, nati nel 2019 come collettivo antianimalista, che dall'anno scorso avevano iniziato a codificare questo tipo di rivolta agricola contro il sistema. Ci saranno i francesi di Coordination Rurale, organici al Rassemblement National, gli spagnoli di Plataforma 6F, alleati con Vox, e soprattutto i tedeschi di Land Schafft Verbindung, molto vicini ad AfD e noti amplificatori delle fake news xenofobe su terre rubate agli agricoltori per darle ai migranti.La parte più interessante di questa storia è però chi ha facilitato questo tentativo degli agricoltori più reazionari di influenzare il voto europeo: l'Ungheria di Viktor Orbán.

La manifestazione del 4 giugno è infatti stata preceduta da una serie di incontri e convegni tra i vari gruppi reazionari coordinati dall’MCC Brussels, il think tank con sede nella capitale belga e diretta emanazione del Mathias Corvinus Collegium.

Si tratta di un centro di formazione nato nel 1996 e col tempo finito nella rete di influenza di Fidesz, il partito di Orbán: negli ultimi anni il Mathias Corvinus Collegium ha ricevuto 1,3 miliardi di euro di finanziamenti dal governo e addirittura il 10 per cento delle quote di MOL, l'azienda oil and gas di stato di Budapest.

Come spiega Clare Carlile di Desmog, che ha collegato i fili dei sovranisti di Visegrad dietro la nuova protesta dei trattori a Bruxelles, «questo centro studi fa parte del più ampio piano di Orbán di influenzare la politica del continente, in questo caso creando la vistosa immagine di una grande ondata di caos e insoddisfazione nei confronti dell'Ue». Il capitale politico di Orbán e dei sovranisti è l'euroscetticismo, la rabbia degli agricoltori è il bancomat presso cui prelevarlo, la protesta del 4 giugno gli ultimi fuochi (probabilmente anche letterali) prima che si aprano le urne.

Orbán è sempre stato pubblicamente dalla parte di queste manifestazioni, a gennaio aveva pubblicato un video dalle proteste dicendo: «Siamo dalla parte delle persone, anche se Bruxelles continua a ricattarci».

Senza altri orizzonti

Nella piattaforma di richieste della manifestazione c'è scritto che il Green Deal e le leggi collegate portano addirittura al furto dei terreni. Le tesi della protesta contengono di tutto, dalla rivendicazioni contro l'agrivoltaico alla lotta contro la burocrazia e i calendari agricoli imposti dall'Ue, fino alla la denuncia che la tutela della biodiversità sarebbe una minaccia alla proprietà privata.

Un punto di vista interessante su come sia stato possibile arrivare a ciò lo offre Morgan Ody, agricoltrice francese e componente di La Via Campesina, la più grande rete globale di piccoli agricoltori. «La crisi sociale nelle aree rurali d'Europa è un problema reale, che i partiti progressisti per decenni hanno ignorato, focalizzandosi solo sulle aree urbane, come se i problemi degli agricoltori non esistessero». La scintilla del malcontento è stata nel conflitto tra le richieste del libero mercato e gli obblighi della transizione.

«Per stare sul mercato, ci hanno chiesto nel corso degli anni di essere sempre più competitivi, e quindi di produrre cibo sempre più economico. Poi sono arrivate le richieste ambientali, che hanno aumentato i costi di produzione. Si può rinunciare ai pesticidi, ma ciò richiede più forza lavoro, e quindi costi più alti. Si può produrre biologico, ma anche questo richiede più personale e più costi.

In mezzo tra queste due tensioni ci siamo trovati noi». I partiti di sinistra non hanno offerto nessuna lettura, per le destre è stato facile interpretare questo conflitto suggerendo di smantellare la transizione, anche se i primi a subire il danno sarebbero gli stessi agricoltori, visto che il loro è uno dei settori più colpiti dalla crisi climatica. «I gruppi di estrema destra hanno dirottato una protesta legittima», conclude Carlile. Il 4 giugno è l'ultimo atto del ciclo.

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