- «Le slide?». Quando Matteo Salvini tira fuori le diapositive, durante il confronto tra leader al Forum Ambrosetti di Cernobbio, l’alleata Giorgia Meloni è la prima a mostrarsi sorpresa per il coup de théâtre. Con la sua proiezione di frasi degli imprenditori e articoli dell’Economist, il leader leghista sulle prime adatta il linguaggio alla platea. Ma basta poco perché getti la maschera: quelle diapositive gli servono per martellare sullo stesso punto, e cioè il fallimento delle sanzioni contro Mosca.
- Mentre su questo la leader di Fratelli d’Italia si tiene stretta al «fronte occidentale», Meloni svela e rivendica anche tutte le sue attitudini sovraniste. «Aveva ragione chi diceva che l’Europa doveva fare di meno», e ancora: «Ci chiamavano autarchici, ora è chiaro che avevamo ragione noi», dice mentre spiega di voler mettere mano al Pnrr.
- In questo contesto il segretario dem, Enrico Letta, punta tutto sulla «affidabilità» del Pd. Si aggrappa a Draghi Calenda, secondo il quale «non c’è un pericolo fascismo», mentre Conte accusa «gli orfani di Draghi» di non avere una visione e punta tutto sull’ambientalismo.
«Le slide?». Quando Matteo Salvini tira fuori le diapositive, durante il confronto tra leader al Forum Ambrosetti di Cernobbio, l’alleata Giorgia Meloni è la prima a mostrarsi sorpresa per il coup de théâtre. Con la sua proiezione di frasi degli imprenditori e articoli dell’Economist, il leader leghista sulle prime adatta il linguaggio alla platea. Ma basta poco perché getti la maschera: quelle diapositive gli servono per martellare sullo stesso punto, e cioè il fallimento delle sanzioni contro Mosca. Mentre su questo la leader di Fratelli d’Italia si tiene stretta al «fronte occidentale», Meloni svela e rivendica anche tutte le sue attitudini sovraniste. «Ci chiamavano autarchici, ora è chiaro che avevamo ragione noi», dice mentre spiega di voler mettere mano al Pnrr. In questo contesto il segretario dem, Enrico Letta, punta tutto sulla «affidabilità» del Pd.
«Mi accusano di putinismo»
Quando Carlo Calenda, Enrico Letta, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani arrivano a Cernobbio, e Giuseppe Conte si collega da Napoli, la polemica sulle sanzioni è già deflagrata. Dopo la chisura a tempo indefinito di Nord Stream 1, il leader leghista ha ripetuto più volte che le sanzioni vanno «ripensate», e Fratelli d’Italia ha già dato segni di imbarazzo. Al Forum Ambrosetti, il leader leghista non retrocede: continua a puntare il dito contro le sanzioni, e utilizza quel messaggio a suo favore, per lanciare esche al mondo imprenditoriale. «Ieri ero a vedere la partita con Scaroni e Pompeo», dice il leader leghista coprendosi le spalle con l’ex ad di Eni, ora Rothschild, che pure ha contestato le sanzioni, e con l’ex segretario di stato Usa. «Invece del sanzionato colpiamo il sanzionatore, gli imprenditori si lamentano che nessun politico osi dubitare dell’utilità delle sanzioni». Cita Confcommercio, Confartigianato, dice che «la sopravvivenza delle aziende si fa adesso: se non stanziamo trenta miliardi di debito adesso, ne dovremo mettere 100 dopo». Nel pomeriggio, in tv, incalza: «Mettiamo un tetto ai prezzi e la differenza la paghi lo stato». Dal Forum Ambrosetti Salvini lancia l’ultimo amo al bacino elettorale della Lega degli albori, e promette un ministero a Milano. «Facciamo un ministero per l’Intelligenza artificiale e la digitalizzazione a Milano, uno in più, senza togliere niente a nessuno».
L’antieuropeismo di Meloni
«Il Pnrr va rivisto, le priorità vanno aggiornate. E propongo che senza aspettare l’Europa scorporiamo il mercato dell’energia». L’intervento di Meloni guarda in due direzioni. Da una parte la leader rivela fino a che punto l’armamentario sovranista e antieuropeista sia ancora presente nella sua destra: «Aveva ragione chi diceva che l’Europa doveva fare di meno e meglio». L’argomento della globalizzazione fallita – punto fermo di tutte le recenti campagne elettorali dell’estrema destra, Marine Le Pen compresa – serve a difendere il ripiegamento sulla dimensione nazionale: «Ci chiamavano autarchici ma ora anche Macron parla dell’importanza dell’autosufficienza. Le catene di valore devono essere nazionali». Mentre rivendica «la patria», Meloni è anche pronta a sottomettere il dibattito nazionale sotto la priorità di «stare nel blocco giusto». «Mentre dibattiamo di sanzioni e armi, pensate davvero che la nostra posizione sia rilevante per qualcuno? Faranno senza di noi, e non ci conviene sfilarci. La guerra in Ucraina è la punta dell’iceberg di un conflitto più ampio, siamo divisi in blocchi, se perde l’occidente ci ritroviamo sotto l’influenza cinese, quindi bisogna combattere questa battaglia».
La scia di Draghi
Mentre Antonio Tajani di Forza Italia, interrogato su una eventuale “maggioranza Ursula”, promette di «non tradire gli elettori» e quindi di restare ancorato a destra, dal campo opposto dà le stesse garanzie Letta: «Se vinciamo governiamo, altrimenti siamo all’opposizione, ma sia chiaro: l’alternativa a noi evoca Polonia e Ungheria». Il dem punta tutto su «affidabilità, atlantismo, e il sostegno che abbiamo dato a Draghi. Il mio partito su questo è stato tra i più lineari». Nella stessa domenica, il segretario del Pd scrive su twitter che «il nostro programma supera finalmente il Jobs Act e il blairismo», e dice a Cernobbio che «le idee di Carlo Cottarelli sono fondamentali per noi», nel giorno in cui lui è all’apertura della campagna elettorale di +Europa. Si aggrappa a Draghi Carlo Calenda – il più applaudito – che al Forum Ambrosetti sostiene che «non c’è un pericolo fascismo». «L’italiano più illustre del mondo è stato sfiduciato per motivi di bassa cucina elettorale. Non ricominciate con destra e sinistra, il problema di questo paese è il conflitto ideologico. Voglio usare il metodo Draghi: dire dei sì e dei no». Di tenore opposto Giuseppe Conte: «Fate gli orfani di Draghi invece di prendervi la responsabilità di una visione». Mentre Calenda dice che «l’ecologismo può portare alla desertificazione industriale», Conte al contrario inizia e impronta il suo intervento proprio dall’urgenza e dall’opportunità economica e sociale della transizione ecologica.
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