- L’ex premier intravede il sorpasso sulla Lega ed è gasatissimo. «I progressisti siamo noi», «la sinistra genuina sarà costretta a votare M5s».
- Orlando attacca, Letta non scende troppo nella polemica: accetterà confronti solo con Meloni.
- Colpi bassi: qualcuno fa circolare voci velenose di scissioni a sinistra, nel caso in cui il Pd non dovesse acciuffare un risultato pieno almeno per il partito. Ci sarebbero dirigenti «pronti a fare il salto».
Il possibile sorpasso della Lega da parte del M5s scatena i grillini contro Matteo Salvini. L’affondo sul Pd invece lo fa Giuseppe Conte in prima persona. Il fatto è che ora l’ex premier crede davvero a un risultato imprevisto, e migliore delle premesse.
Ha sempre detto di non fidarsi dei sondaggi, ma intendeva quelli che davano il Movimento in picchiata. Ora che la curva risale secondo quasi tutti gli istituti, ha cambiato idea. Ieri sul Corriere della Sera Nando Pagnoncelli ha dato il M5s a un passo dai leghisti – 13,5 per cento contro il 13,4 – in recupero di 2,1 punti rispetto a un mese fa. E la supermedia di YouTrend lo colloca all’11,8, in risalita di quasi un punto. Numeri che secondo chi lavora con l’ex premier si “sentono”: «Il vento è cambiato. C’è molto entusiasmo. Le piazze sono stracolme. La gente percepisce sempre più che c’è un nuovo corso, cioè il nuovo Movimento di Conte. Questo spinge un trend positivo».
Non è la prima volta che Conte riempie le piazze, e non è detto che i voti arrivino davvero. Ma intanto l’avvocato è gasatissimo. E affonda sui due fronti opposti. Quello dell’ex alleato gialloverde Matteo Salvini; e quello dell’ex alleato Enrico Letta, leader del defunto campo largo giallorosso. Con un curriculum così, e con coraggioso sprezzo del ridicolo, ieri su Radio Cusano Campus l’ex premier ha illustrato «il percorso di coerenza» del M5s, «con i suoi princìpi e valori».
Il Pd ha «deciso cinicamente di buttare a mare un’esperienza di governo importante, con la prospettiva riformatrice sperimentata con il Conte II, per abbracciare le velleità politiche di Luigi Di Maio, Bruno Tabacci, Carlo Calenda e Mariastella Gelmini, e poi si è visto che Calenda è inaffidabile». Sono finiti i tempi del «né di destra né di sinistra». Dai giornali spiega che «Letta e i vertici del Pd hanno rinunciato al campo progressista per l’agenda Draghi», e invece loro sono «in condizione di dire a un elettorato genuino di sinistra: guardate che i temi della transizione ecologica, della legalità, dell’etica pubblica, dell’antimafia della giustizia sociale sono nel nostro Dna».
Pd, allarme giallo
Letta non scende troppo nella polemica. La ricerca della polarizzazione dello scontro fra lui e Giorgia Meloni impone le sue regole: accetterà confronti solo con lei. All’indirizzo di Conte però replica che «non ci si inventa progressisti. Parlano le storie personali». A sbottare invece è il ministro del Lavoro Andrea Orlando: «Mentre i Cinque stelle riflettevano se erano di destra o di sinistra, lo scontro con la destra e gli attacchi di Confindustria sui temi sociali, delocalizzazioni, blocco dei licenziamenti, li ho sostenuti io da solo». E Debora Serracchiani gli si rivolge dai social: «Caro Conte che c’entra la sinistra con i decreti Salvini? Non eri tu a presentarli con tanto di foto?». Una foto che in queste ore viene rilanciata dai cellulari ai social.
Ma dove davvero finiranno i voti del maltrattato popolo della sinistra resta un argomento sensibile, e un mistero glorioso. Anche perché se al nord il Movimento viene dato a una cifra, e bassa, ci sono alcuni temi che al sud hanno un fascino giustamente irresistibile. Come il reddito di cittadinanza: Conte, che sarà in Campania nel weekend, spinge sul tasto, forte dei dati Istat (secondo cui il sussidio ha evitato la condizione di povertà assoluta a un milione di persone).
Il Pd brandisce la sua «agenda sociale» (sul punto specifico nel programma c’è scritto che il reddito «andrà ricalibrato secondo le indicazioni elaborate dalla Commissione Saraceno, a partire dall’ingiustificata penalizzazione delle famiglie numerose e/o con minori»). Epperò la difesa della misura non da tutte le anime del partito viene fatta con la stessa convinzione.
La sinistra «genuina»
Dalla war room del Nazareno viene comunque spiegato che il M5s «non è il partito di Conte ma di Grillo. Al maquillage last minute di chi ha sempre rifiutato classificazione destra/sinistra crede non l’elettorato di sinistra ma una parte della base storica grillina». E poi «chi non riusciva a scegliere tra Macron e Le Pen come può porsi come nuovo Mélenchon?».
Da qui si scommette sulla campagna “Scegli”, partita il 26 agosto. Secondo un monitoraggio di IziLab per Repubblica sui social sta andando bene: il Pd ha ottenuto il picco di engagement su Twitter e 103mila interazioni su Facebook. Il M5s ribatte con il claim “Dalla parte giusta”. «Non dovete scegliere tra il nero e il rosso, dovete scegliere su cose concrete. Non è la roulette», dice Conte nei comizi. Conclusione: «Se un elettore di sinistra vuole realizzare gli obiettivi di una forza progressista, è addirittura costretto a votare il M5s rispetto all’offerta corrente. Siamo la forza più progressista, è evidente».
Poi ci sono i colpi sotto la cintola. Due giorni fa Il Foglio ha riferito una battuta di Conte in una riunione riservata: «Con me tanti dem e un ex segretario». L’allusione era a Pier Luigi Bersani, che smentisce. Ma è vero che l’ex segretario continua a regalare credibilità all’ex alleato ripetendo che la rottura è uno sbaglio e che «dopo il 25 settembre c’è il 26», cioè il giorno in cui si dovrà ricucire. Anche nel Pd qualcuno lo pensa, in vista delle regionali del Lazio, dove la coalizione giallorossa non si è mai rotta. Ma c’è anche di meglio, anzi di peggio: qualcuno fa circolare voci velenose di scissioni a sinistra, nel caso in cui il Pd non dovesse acciuffare un risultato pieno almeno per il partito. Ci sarebbero dirigenti «pronti a fare il salto» verso Conte. Letta non ci crede. Ma insiste, e forse avverte: «L’unica sinistra siamo noi».
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