La presidente del Consiglio ha ragione nel cercare la sponda del più grande imprenditore del mondo per attirare investimenti in Italia e anche nell’utilizzare questa amicizia per mandare ambasciate amichevoli a Donald Trump. Ma intorno alla triade Meloni, Harris e Trump ci sono delle ambiguità che sarebbe meglio dipanare
Cosa c’è di sbagliato nel sodalizio tra Elon Musk e Giorgia Meloni? Nulla. La presidente del Consiglio ha ragione nel cercare la sponda del più grande imprenditore del mondo per attirare investimenti in Italia e anche nell’utilizzare questa amicizia per mandare ambasciate amichevoli a Donald Trump.
Già perché Trump a novembre ha grosso modo le stesse possibilità di vittoria di Kamal Harris e, per una leader di destra, sarebbe assurdo se non imprudente disinteressarsi del candidato repubblicano. Questa operazione di riavvicinamento al trumpismo attraverso Musk però non è priva di tensioni per Meloni poiché, ad esempio, non gradita a Forza Italia, che ha già lanciato strali a mezzo dei suoi parlamentari contro il proprietario di X, accusato di eludere il fisco con la sua big tech.
Un attacco a Musk e Trump che maschera un avviso dei berlusconiani alla premier di non esagerare nel cercare la benevolenza del candidato repubblicano. Proprio intorno alla triade Meloni, Harris e Trump ci sono poi delle ambiguità che sarebbe meglio dipanare.
Stare con Trump
Restando su Trump è bene prendere coscienza che le idee in politica estera del tycoon sono piuttosto confusionarie. Sappiamo che Trump vuole una politica commerciale più aggressiva verso la Cina e che, senza illustrare piani, promette una pace con l’Ucraina.
Su questo secondo aspetto è bene fare attenzione: Trump nel suo primo mandato aveva promesso di ridurre il contributo americano alla Nato e la presenza dei soldati americani in Europa, ma ha finito la legislatura coi risultati opposti a quelli dichiarati nel 2016. Dunque, una eventuale vittoria di Trump non garantirà con certezza una riconciliazione con Vladimir Putin e la fine del conflitto nel giro di pochi mesi.
Chi crede questo rischia di avere sorprese, ad esempio ci si potrebbe ritrovare di fronte a una politica di deterrenza muscolare verso Putin magari finalizzata a un accordo futuro con la Russia. Chi pensa di anticipare Trump, sulla cui linea politica domina l’imprevedibilità, facendo sparire il supporto militare a Kiev o infilandosi in perniciose distinzioni tra armi difensive e offensive, tra battaglie in Ucraina e oltre confine rischia di non ricavare alcun vantaggio in politica estera oltre che contribuire a danneggiare la sicurezza europea.
Stare con Harris
Della relazione di Trump si parla sempre per il ruolo polarizzante del tycoon, ma nessuno ha ancora esplorato le potenziali relazioni tra Harris e Meloni. A oggi questo rapporto è un salto nel buio. L’unico dato concreto è la buona convivenza che Meloni ha saputo stabilire con Joe Biden. Ma come ha detto in modo piuttosto gelido la stessa presidente del Consiglio, con Harris non si conoscono.
Meloni e la candidata democratica sono per molti versi agli antipodi: Meloni è l’underdog di periferia che cresce nella destra identitaria, fa della politica il proprio mestiere, sfrutta l’onda populista, imbraccia l’euroscetticismo e il conservatorismo, finisce a governare da realista giocando in modo ambiguo tra identità e opportunità; Harris è la figlia dell’élite accademica dell’Ivy League che aderisce alla sinistra radicale, ella si ricava un ruolo da avvocata e da tecnica di alto livello, poi sceglie la politica incanalandosi nel pensiero progressista e woke più all’avanguardia, nel 2020 viene scelta come vicepresidente per soddisfare l’ala sinistra dei democratici e nel 2024, più per destino che per merito, si proietta verso la Casa Bianca.
Sono due profili antitetici: Meloni e Harris rappresentano l’una per l’altra tutto ciò che detestano sul piano politico. Si può ribattere che nelle relazioni internazionali, tra un impero e uno stato seguace come l’Italia, queste divisioni contino poco ma come si è visto comunione di intenti e simpatie personali possono avere un loro peso.
Ci si può aspettare, dunque, che una eventuale presidenza Harris parta con delle riserve e delle rigidità nei confronti di Meloni, se non altro per le divergenze nella visione di politica di fondo. In quel caso toccherà alla premier dissipare ancora una volta i dubbi dell’alleato più importante allentando ancora di più le relazioni con la rete internazionale dei sovranisti.
Ma, come si è visto, una vittoria di Trump non fornisce molte garanzie in più a Meloni, anzi per l’entourage repubblicano la presidente del Consiglio è percepita come una ex dura e pura che si è troppo moderata per mera convenienza. E probabilmente non basterà l’intercessione di Musk per far sì che Meloni superi Salvini nella lista degli alleati preferiti da Trump.
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