Per Bankitalia c’è il rischio di revisione al ribasso del Pil. E al Ministero dell’Economia hanno preso atto che non ci sono risorse per una reale riduzione delle tasse per i redditi tra 35mila e 60mila euro
Niente sconto al ceto medio. Almeno per ora non ci sono risorse disponibili. E i comuni possono diventare il bancomat del governo Meloni con la scusa della spending review. Al ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) stanno sfogliando la margherita dei contenuti da inserire nella prossima manovra economica.
Gli spazi sono notoriamente stretti e rischiano di ridursi ulteriormente perché il Pil potrebbe non raggiungere l’1 per cento stimato dal governo. «La revisione dei conti economici trimestrali pubblicata venerdì scorso dall’Istat comporterebbe una correzione meccanica al ribasso di due decimi di punto percentuale della stima per l’anno in corso», ha sottolineato la Banca d’Italia in audizione davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato.
E su un punto non si transige: bisogna «assicurare che l’incidenza del debito pubblico si collochi stabilmente su una traiettoria discendente», sottolineano da Palazzo Koch.
Niente sgravi
Quindi, l’ambizione di ridurre la pressione fiscale (con l’eventuale aumento in busta paga) per i redditi compresi tra i 35mila e i 60mila euro resterà frustrata. Salvo che dal cilindro dei conti pubblici non esca fuori il coniglio di risorse che finora non sono state individuate.
Al Mef ne sono consapevoli. «Chi ancora racconta di manovre fatte in deficit significa che non ha compreso le nuove regole europee», spiegano a Domani da via XX Settembre. Il pilastro della manovra resta il taglio al cuneo fiscale. C’è poi il secondo punto al centro degli obiettivi del governo.
Gli investimenti sulla natalità, che andranno in due direzioni: un potenziamento dell’assegno unico e l’allargamento dei congedi parentali. Per il resto chi attende qualche rivelazione di Giancarlo Giorgetti, chiamato in audizione in parlamento, dovrà mettersi l’anima in pace. Il ministro dell’Economia ripeterà i soliti concetti sul Piano strutturale di bilancio (Psb). Non sarà anticipata nemmeno una bozza delle misure da inserire nella prossima legge di Bilancio. «Anche perché sono tuttora in fase di studio», spiegano fonti di governo vicine al dossier.
I «sacrifici per tutti», annunciati da Giorgetti, saranno declinati solo nei prossimi giorni, quando sarà elaborato il Documento programmatico di bilancio (Dpb), propedeutico alla prima versione della manovra. Certo, il ministro dell’Economia ha dovuto correggere il tiro di quel discorso. «Gli è un po’ scappata la frizione», è il ragionamento che rimbalza da palazzo Chigi. Il confronto con l’Abi (Associazione bancaria italiana) è in corso con Forza Italia in assetto di battaglia per evitare qualsiasi intervento che chiami in causa gli extraprofitti. Giorgetti, comunque, dovrà dare qualche risposta ai vari interlocutori, che hanno già fissato una serie di paletti nel primo giorno di audizioni a Montecitorio.
La Corte dei conti ha definito il Piano strutturale di bilancio come la «previsione di un percorso che si presenta in ogni caso impegnativo». Per i magistrati contabili, insomma, il rispetto di quel documento non sarà affatto facile. Il faro è acceso sulla riforma delle pensioni.
Nei fatti non potranno essere mantenute le promesse sul superamento della legge Fornero e l’introduzione di Quota 41 (la possibilità di andare in pensione con l’unico requisito di 41 anni di contributi).
Sulla previdenza, si legge nel documento della Corte dei conti, si fa appello a «un approccio che consideri la sostenibilità di lungo termine del sistema tanto sotto il profilo finanziario quanto dal punto di vista sociale». Toccherà a Giorgetti spiegare al leader del suo partito, Matteo Salvini, che i sogni di gloria previdenziali sbatteranno ancora contro la realtà.
Anche il filogovernativo Cnel di Renato Brunetta ha sottolineato questo aspetto richiamando «un urgente bisogno di una riforma organica del sistema previdenziale». Niente interventi a tempo, come invece sta facendo il governo Meloni.
Scure sui comuni
Sullo sfondo della legge di Bilancio c’è il convitato di pietra: l’ennesima spending review imposta agli enti locali. Già in passato Giorgetti aveva imposto dei tagli motivati dal fatto che sono arrivate molte risorse dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
All’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) hanno fiutato l’aria, potrebbe esserci un bis di tagli: «Ulteriori ipotesi di tagli sul comparto dei Comuni, o comunque di richiesta di contributo per il risanamento della finanza pubblica, diventerebbero veramente estremamente gravosi, soprattutto per tutta una serie di enti che hanno già difficoltà e sono già in crisi di vario genere», ha evidenziato il sindaco di Novara, Alessandro Canelli (Lega), ricordando che negli anni è già arrivato un «contributo» complessivo di 14 miliardi di euro.
I comuni hanno trovato subito il sostegno delle opposizioni, come lascia intendere il capogruppo del Pd in commissione Bilancio, Ubaldo Pagano: «Se credono di poter spremere gli enti locali per racimolare risorse, è giusto che gli italiani sappiano quali sono le conseguenze: comuni in default finanziario e servizi pubblici azzerati». Un menù tutt’altro che appetibile.
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