I fatti di Bologna dimostrano una cosa che la Commissione Segre va dicendo da anni: le associazioni neofasciste vanno chiuse. Perché sono un rischio per la tenuta dell’ordine democratico nel presente
«Siamo gendarmi inquadrati, non rompete le palle». Forse potevamo bastare queste gentili minacce piovute sulla testa della polizia italiana, per capire di non essere di fronte a un raduno di scout dell’azione cattolica, pronti a marciare pregando per la democrazia repubblicana, in nome degli ideali di libertà del povero Don Luigi Sturzo.
Ma i militanti di CasaPound, scesi in piazza in 700 a Bologna hanno giustamente rivendicato, non senza orgoglio, la loro vera natura. «Boia chi molla», perché noi sì che «ce ne freghiamo della galera».
Un atto di provocazione nella città medaglia d’oro al valor militare della Resistenza, che si colora di indecenza in un paese che dovrebbe rispetto ai morti e ai loro famigliari, rimasti a conservare la memoria di vite spezzate dall’eversione neofascista. Perché sfilare a pochi passi dalla stazione del 2 agosto 1980, che inghiottì la vita di 85 persone (molti erano bambini che aspettavano solo di andare in vacanza al mare) lo si può e lo si deve fare, ma da patrioti veri.
Ovvero rispettando i luoghi della memoria, fermandosi a leggere i nomi delle vittime, magari in silenzio, nel rispetto di chi fu colpito da un attentato vigliacco e criminale, come lo erano i deliri eversivi dei Nar, con tutti i loro accoliti. Invece, nel 2024, dobbiamo assistere allo scempio di un passato già di per sé molto doloroso, perché qualcuno si crede ancora manipolo di un bivacco morto e sepolto dalla storia e grida che la rivoluzione fascista trionferà a colpi di “manganello e bombe a man”.
I fascisti di CasaPound (che tali si autodefiniscono) intimano a una funzionaria di polizia di far abbassare gli scudi agli agenti già schierati in assetto antisommossa, ringraziando un funzionario delle forze dell’ordine con tanto di pacca sulla spalla, dimostrando peraltro una baldanzosa sicumera nell’assenza di rispetto per la divisa e per il ruolo.
Una coincidenza storica
Sui social la “rete dei patrioti” annuncia che andrà a replicare l’esperimento anche in altre città. Ma a dispetto di una manifestazione dove pare che siano i manifestanti a dare ordini alla polizia di stato (e non il contrario), forse varrebbe la pena di riflettere sulla data scelta per organizzare una manifestazione che suona tanto di raduno provocatorio, in coincidenza (forse non casuale) con la strage di Palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920.
Quando sotto gli occhi impassibili e compiacenti della prefettura, le squadracce fasciste di Arpinati, spararono sulla folla radunatasi sotto la sede del municipio di Bologna dove era in corso l’insediamento della nuova giunta socialista, dopo la vittoria alle elezioni amministrative. Un assalto finito a colpi di bombe a mano che provocò 10 morti e 58 feriti e lo scioglimento del consiglio comunale per motivi di ordine pubblico.
Una vittoria strepitosa per i fascisti, nessuno dei quali venne arrestato o condannato per la violenza squadrista. Quel tragico bilancio, forse esalta ancora le menti di qualcuno che si sente in diritto di celebrare il culto del sangue e della violenza, nutrendosi di pestaggi e aggressioni addirittura contro chi osa ironizzare su CasaPound attraverso la rete dei social. Nel febbraio 2016 fu presentata un’interrogazione parlamentare per chiedere al ministro dell’interno di far luce su un’organizzazione che aveva all’epoca prodotto 20 arresti e 359 denunce per aggressioni, atti di violenza, e persino per il reato di stupro.
La tenuta della democrazia
La Commissione Segre lo va denunciando da anni: le associazioni neofasciste non vanno chiuse (in applicazione della legge Mancino) perché c’è il rischio che tornino i fez e l’olio di ricino del ventennio mussoliniano. Vanno chiuse perché sono pericolose per la tenuta dell’ordine democratico, nel nostro tempo. Perché istigano all’odio, alla violenza, perché diffondono parole e gesti di intolleranza razziale o religiosa, perché esaltano l’antisemitismo e inneggiano al pestaggio non solo di immigrati ma anche di gay o disabili (che nel suprematismo fascista sono “anormali”). Perché nel culto di una virilità superomista credono ancora che i corpi delle donne siano da assoggettare alla volontà del maschio (con o senza consenso della “preda” femminile).
È pericolosa la seduzione che possono esercitare sulle giovani menti, e sarebbe interessante un’indagine seria da parte delle istituzioni per capire quali libri circolano fra questi gruppi e di quali discorsi, di quali parole si nutrono coloro che sono scesi in piazza a Bologna.
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