Dopo il via libera definitivo del ddl Calderoli, l’autonomia differenziata è diventata legge dello stato, anche se per attuarla interamente mancano ancora alcuni tasselli fondamentali e le opposizioni stanno già progettando quesiti referendari e ricorsi alla Corte costituzionale.

A mancare è prima di tutto l’indicazione, da parte della commissione tecnica per i fabbisogni standard, dell’ammontare di risorse per garantire i livelli minimi essenziali nelle materie cosiddette “Lep” – su cui va garantita una prestazione equivalente in tutto il paese – individuate dalla commissione Cassese. Un livello, questo, che dipenderà dalle risorse economiche nelle casse statali: scarse, almeno secondo le premesse della finanziaria 2024.

Eppure, in particolare le regioni del nord hanno già iniziato a muoversi per ottenere l’intesa e quindi la delega delle materie non Lep, ovvero quelle che non richiedono l’identificazione del fabbisogno standard.

Lep e non lep

Le materie che le regioni possono chiedere di gestire sono 23 e si dividono in materie Lep e non Lep. Per le prime, il governo ha 24 mesi dall’entrata in vigore della legge per varare uno o più decreti legislativi per determinare gli importi. «Il fabbisogno standard corrisponde al valore economico necessario perchè il diritto venga soddisfatto in modo omogeneo», spiega Ivo Rossi, già dirigente del Dipartimento per gli Affari regionali e funzionario del ministero dell’Economia.

La gestione delle materie non Lep, invece, è attribuibile immediatamente «sulla base della spesa storica, destinando quindi a ogni regione ciò che oggi lo stato spende per l’esercizio di quella funzione nel territorio individuato». Proprio questo è il meccanismo che rischia di generare disparità tra nord e sud. La spesa storica è l’ammontare effettivamente speso dall’ente locale in un anno per l’offerta di servizi e, secondo dati ministeriali, nel Mezzogiorno la tendenza è quella di destinare meno risorse ai servizi. Proprio l’utilizzo di questo criterio per le materie non Lep è stato il principale oggetto delle critiche mosse dal presidente della Calabria, Roberto Occhiuto.

L’effetto, in ogni caso, sarà quello di creare un «doppio binario»: le materie Lep basate sui fabbisogni standard, le materie non Lep sulla spesa storica, «ma non è indicata una modalità di perequazione, nel caso in cui sia necessaria, né è identificata l’evoluzione nel tempo della dotazione finanziaria necessaria», conclude Rossi. Tutto è ancora incerto, quindi.

Le intese

Ora, in ogni caso, le regioni potranno iniziare con la contrattazione delle intese con lo stato: una volta avviata, ci sarà tempo 5 mesi per concluderla e l’accordo potrà durare fino a 10 anni, per poi essere rinnovato.

È prevista tuttavia una verifica ogni due anni e, se lo stato rileva che i livelli essenziali delle prestazioni non sono rispettati, è possibile la nomina di un commissario. Un nodo, però, riguarda lo scioglimento dell’intesa. «La legge prevede il trasferimento della competenza in via esclusiva alla regione, ma non esiste una clausola che prevede la supremazia statale. Dunque, l’intesa può essere sciolta solo per volontà di entrambe le parti: stato e regione», spiega Rossi.

Secondo la tesi dei sostenitori dell’autonomia differenziata, questo meccanismo di trasferimento delle competenze agli enti locali avrebbe anche una finalità di responsabilizzazione degli amministratori. In realtà non è esattamente così, perché con questa riforma la responsabilità riguarda solo il fronte della spesa, non quello della gestione dei propri tributi che effettivamente determina una minore o maggiore capacità amministrativa: «Lo stato rimane l’ente che riscuote e poi trasferisce i tributi alle regioni».

Il referendum

Sul fronte delle opposizioni, si sta già muovendo la macchina della raccolta firme per proporre il referendum abrogativo. Però il ddl Calderoli è un collegato alla finanziaria e l’articolo 75 della Costituzione impedisce referendum sulle leggi tributarie e di bilancio. In realtà questo apparente impedimento non è assoluto, e tutto dipenderà da come è scritto il quesito referendario.

«Le norme sottratte all’abrogazione dall’articolo 75 sono solo quelle con natura strettamente finanziaria», spiega il costituzionalista ordinario di Tor Vergata, Giovanni Guzzetta. «Dunque è escluso che il referendum sia ammissibile sull’intera legge, invece in teoria è possibile promuoverlo su singole parti e nel rispetto dei limiti stabiliti dalla Consulta, che sono sia di materia sia di tipo logico di omogeneità del quesito».

I consigli regionali della Campania e quello della Puglia, inoltre, hanno incaricato il loro ufficio legislativo di studiare la possibilità di ricorrere in via diretta alla Corte costituzionale contro la legge Calderoli. Anche in questo caso, però, il quadro legislativo è complesso.

«La giurisprudenza costituzionale prevede che le regioni possano sollevare conflitto e impugnare una legge in via diretta se questa lede le loro attribuzioni», dice Guzzetta. Quindi non per una illegittimità costituzionale generica, ma solo se esiste un nesso tra competenze regionali sottratte e legge statale. «Siccome la legge Calderoli disciplina una concessione di maggiore autonomia, in astratto non vedrei gli estremi per una lesione delle attribuzioni regionali, ma anche in questo caso dipenderà dai motivi di impugnazione».

In ogni caso, il percorso prima che l’autonomia venga effettivamente ottenuta dalle regioni e poi messa in pratica è lungo e pieno di ostacoli, sia politici che procedurali.

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