Il dissenso non resta circoscritto alla Calabria di Occhiuto: malcontento anche in Sicilia. Le mosse del vicepremier finiscono sotto accusa per la timidezza verso gli alleati
L’autonomia differenziata rischia di spaccare l’Italia nei prossimi mesi e per gli anni a venire, come hanno ripetuto tanti esperti. Intanto ha già spaccato il centrodestra. Se la prima crepa era confinata a Forza Italia, in Calabria, nelle ore successive si è propagata altrove, in altre zone del Mezzogiorno, fino a toccare altri partiti, come la Lega.
Lo smottamento è iniziato con conseguenze imprevedibili. Perché nessuno può dirsi al sicuro e gli effetti possono colpire anche Fratelli d’Italia. Nel partito di Giorgia Meloni monta una certa preoccupazione per il movimento di opinione, molto critico verso l’autonomia, che si sta creando al Sud.
Del resto, il primo campanello è suonato con il voto alle europee: il Pd di Elly Schlein ha preso più voti di FdI nella circoscrizione meridionale. E non è passata inosservata la lettera degli industriali di Napoli scritta poche ore prima del passaggio definitivo della riforma Calderoli alla Camera. L’invito era chiaro: «Fermatevi».
Autonomia famigliare
Il nervosismo più forte si coglie comunque dentro Forza Italia. Gli attacchi di Roberto Occhiuto, presidente della regione Calabria, sono destinati a lasciare strascichi.
«Il centrodestra rischia adesso un boomerang elettorale», ha detto il vicesegretario di FI in un’intervista a Repubblica. Peraltro aprendo uno scontro in famiglia. Appena a gennaio, Mario Occhiuto, senatore di FI e fratello del presidente, diceva in aula a palazzo Madama: «Chi teme che il paese possa spaccarsi per questa riforma può dormire tranquillo».
Intanto a macchia di leopardo i dirigenti azzurri prendono le distanze dalle scelte dei vertici. In Sicilia Renato Schifani, si è allineato alla strategia del segretario Antonio Tajani. «L’autonomia migliorerà i servizi», ha detto il presidente della regione Sicilia. Rinfocolando la sfida a distanza con Occhiuto, un lungo derby per avere maggiore peso nel partito al Sud.
Ma dentro Forza Italia siciliana non tutti la pensano allo stesso modo. Appena pochi giorni fa, Luisa Lantieri, vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana in quota Forza Italia, ha messo agli atti la propria posizione: «L’autonomia differenziata non la possiamo permettere». Un ragionamento messo in bella mostra sul sito personale di Edy Tamajo, “mr. preferenze” in Sicilia per FI: alle ultime europee ha ottenuto 121mila voti.
Non proprio un endorsement alla riforma leghista. Un altro campione di consenso in Sicilia, Marco Falcone (100mila voti alle elezioni di giugno), si era già espresso un mese fa. «Serve un ulteriore approfondimento», aveva dichiarato elencando una serie di dubbi.
Dietro le affermazioni di Schifani, dunque, i forzisti siciliani non sono così granitici. La vicenda indebolisce, su scala nazionale, la leadership di Tajani, che era uscita rafforzata dal voto delle europee. I malumori aumentano intorno a una strategia troppo accondiscendente verso gli alleati.
Forza Italia è debole: dal premierato all’autonomia, finendo ad altri dossier centrali, come il redditometro e i bonus edilizi, che hanno visto sempre soccombere gli eredi politici di Silvio Berlusconi.
Si sono limitati a gesti simbolici, ma sostanzialmente inutili, come gli ordini del giorno al ddl Calderoli e le dichiarazioni polemiche consegnate alla stampa, per esempio, sulla retroattività delle detrazioni del Superbonus.
Risveglio tardivo
Il problema autonomia non ha solo le tinte azzurre di FI. A rompere il silenzio nella Lega, è stato Filippo Mancuso, presidente del consiglio regionale in Calabria, peso massimo del partito di Matteo Salvini in quella regione. Alle ultime europee è stato candidato, portando a casa 22mila preferenze. «La legge approvata si è rivelata un pasticciaccio difficile persino da decifrare», ha commentato.
L’accusa, consegnata a una nota ufficiale, è stata pesante: «Il parlamento, anziché prediligere la semplificazione e la chiarezza normativa, cedendo alla fretta che non è mai buona consigliera, ha approvato un testo confusionario». Altro che «riforma storica» come ripetono in coro i leghisti. Certo, quello di Mancuso, insieme agli altri dissidenti dell’autonomia, suona come un risveglio tardivo. Il ddl Calderoli era uno dei capisaldi del partito in cui milita ed era messo nero su bianco nel programma di governo. I correttivi andavano fatti prima.
E allo stesso tempo l’accelerazione sui tempi di approvazione era storia nota da settimane. Fatto sta che il clima tra i salviniani del Sud è quello del rompete le righe. Frotte di portatori di voti tacciono e meditano di migrare sotto altri tetti politici.
Per smorzare le tensioni, alcuni parlamentari meridionali del centrodestra si sono esposti. «Non potrei mai votare qualcosa contro la mia Campania che al contrario voglio vedere crescere per il bene dei nostri figli e della terra per cui mi batto da sempre e che merita il meglio», ha detto il deputato campano della Lega, Andrea Zinzi. Stessi toni usato da Marco Cerreto, eletto con Fratelli d’Italia a Montecitorio: «Non mi sento traditore per aver detto sì all’autonomia che consentirà alle regioni di essere centrali». Uscite pubbliche per provare a sedare gli animi.
Ma con lo sguardo rivolto all’eventuale attuazione della riforma: serve la definizione dei livelli essenziali di prestazione. Sul punto, comunque, il governo non è intenzionato a metterci un euro. Giancarlo Giorgetti lo ha fatto capire chiaramente: «La riforma punirà i cattivi amministratori, e premierà quelli bravi». Soldi in più? Di questi tempi nemmeno a parlarne.
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